Il fumettista teramano ha disegnato la storia scritta da Chip Zdarsky per approfondire l'infanzia e l'adolescenza del Crociato Incappucciato, e le dinamiche che lo hanno portato a essere quello che è. L'intervista
Prima di Batman, c’era Bruce. Un ragazzo ferito, privato dei punti di riferimento, solo e pieno di rabbia, ancora incapace di gestirla. È lui il protagonista di Batman: Il Cavaliere, la miniserie a fumetti scritta da Chip Zdarsky e disegnata dall’italiano Carmine Di Giandomenico che in Italia viene pubblicata in volumi cartonati da Panini Comics (il primo volume, Genesi, è disponibile al prezzo di 21 euro per 160 pagine). Un nuovo viaggio alla scoperta delle origini canoniche del Pipistrello che si inserisce cronologicamente prima dello storico Anno Uno di Frank Miller e David Mazzucchelli. Una storia destinata a riscrivere le coordinate di un personaggio iconico come pochi altri, una sfida importante per il disegnatore teramano, come ci ha spiegato lui stesso.
Quello che avete messo su carta tu e Chip Zdarsky è un Batman diverso dal solito. Fotografato in un momento della sua vita di cui sapevamo ancora poco, ancora prima di Anno Uno.
La cosa che mi ha affascinato da subito è che fosse una storia dedicata solo a Bruce Wayne, che fino ad ora non si era mai consolidato oltre al ruolo di Batman. Il percorso realizzato per lui da Chip mi ha intrigato da subito proprio per il fatto che la storia si sviluppa da quando lui ha 8 anni fino alla piena maturità. Sono le storie che mi piace toccare, anche quando ho avuto il mio percorso in Marvel cercavo storie che non fossero strettamente supereroistiche. Dopo tanta azione su The Flash, per due anni ho trovato un po’ di respiro creativo per staccare un po’ da quella dinamicità.
La fase dell’addestramento e della crescita l’avevamo vista forse al cinema con Batman Begins. Ma questo è un Bruce ancora più giovane.
Quella parte del film di Nolan in cui Bruce lascia Gotham era stata accennata anche nei fumetti anni prima, per rendere il personaggio più completo a 360 gradi. I riferimenti cinematografici vengono in automatico perché quel Batman è più noto e popolare di quello fumettistico, però Chip è riuscito a creare un pathos molto europeo. Disegnandolo mi sembrava della volte di entrare nel mondo di Diabolik, del noir all’italiana, anche perché tutta la storia si sviluppa all’interno di un viaggio che lui fa in Europa e in Asia, ha un sapore più globale, non è circoscritto solo a Gotham.
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Quello che avete creato è un Bruce più rabbioso e istintivo, che si fa pochissimi scrupoli e sembra disposto a tutto per raggiungere il suo obiettivo. Ma anche decisamente ingenuo e in qualche misura tenero. Cosa è stata la vostra ispirazione?
A ispirarmi graficamente, leggendo la sceneggiatura di Chip e dove puntava, questo ragazzino che non sa cosa fare, l’idea di cancellare quasi il Bruce Wayne triste per metterne in campo uno che ha un forte senso di rivalsa, sono state esperienze personali di vita mia che mi hanno creato una sensazione di simbiosi emotiva col personaggio. Ho puntato molto sugli sguardi, sulle sue fragilità, su una rabbia più nervosa e meno lineare. Bruce è un ragazzino che ha perso una guida e che deve ancora trovare il controllo che avrà il da uomo maturo. Mi sono divertito anche ad anticipare la presenza di Batman inserendo degli easter egg che già dalla prima pagina rimandavano al simbolo del pipistrello...
Avete lavorato praticamente in contemporanea alla realizzazione di The Batman per il cinema. C’è stata qualche forma di coordinamento?
Contatti col reparto cinematografico, che io sappia, non ce ne sono stati. Credo che le analogie siano state frutto della coincidenza, d’altronde il personaggio è sempre stato pervaso da questo senso di rabbia e di vendetta. Quando uscì il trailer io e Chip siamo rimasti un attimo sorpresi, però. E ben venga questa coincidenza che appartiene alla matrice del personaggio da sempre.
Ok, ci sono certamente elementi di continuità col Batman e il Bruce a cui siamo abituati, ma c’è stata anche una forte spinta modernizzatrice nel vostro lavoro.
Sì, ma io mi sono posto un limite in questo senso, ho fatto un lavoro un po’ subliminale. Dal primo al terzo numero c’è un’accelerazione temporale dagli anni 40 agli anni 80. Se si guardano gli scenari e le automobili si nota questo stacco. Poi la storia si ferma a quell’epoca, Bruce non ha un cellulare moderno ma uno Startac, per esempio…
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Se posso permettermi, nel tuo Bruce di ho ritrovato qualcosa di Dylan Dog. Non voglio dire siano uguali come dei gemelli, intendiamoci, ma si somigliano come potrebbero assomigliarsi discretamente due persone qualunque. È solo una mia impressione?
Per il volto di Bruce io ho preso come idea i character design del protagonista di Teen Wolf addolcendo la mascella. Il riferimento a Dylan Dog ci può stare più nelle atmosfere, visto che ho lavorato molto all’inserimento di chiaroscuri per renderlo più tenebroso, per dare più il senso di rabbia, perché è un personaggio che nasce dall’oscurità. In realtà somaticamente sono molto diversi.
Uno dei personaggi più interessanti è l’Ombra Grigia, completamente nuovo eppure per certi versi simile a Catwoman. Nel disegnarla ti sei allontanato moltissimo, però, dall’aspetto di Selina. È stata una scelta consapevole?
Chip voleva una donna più grande di Bruce, che facesse la ladra, che andasse a scassinare, che doveva avere degli artigli sui guanti… Sembrava Selina, paro paro. Quello che ho cercato io di fare è stato un piccolo omaggio al fumetto noir italiano, come se fosse una sorta di Eva Kant a livello di mood, tant’è che a un certo punto ha un trucco che ricorda quello di Eva. Un tocco di eleganza francese che Selina non ha.
Come si è sviluppata la collaborazione con Chip Zdarsky?
Lavorando insieme si è creato un affiatamento quasi alchemico, uno anticipava l’altro con le sue idee. Chip è sconvolgente e me ne sono accorto quando gli ho chiesto di scrivermi una prefazione per la mia esposizione personale all’ARF di Roma. Non lo avevo mai sentito per telefono, non avevamo mai avuto uno scambio intimo e personale, eppure mi ha scritto una prefazione che sembrava mi conoscesse da 20 anni. È stata una di quelle rare volte in cui ti trovi con uno sceneggiatore empatico e quando succede questo il 70% del lavoro scivola via senza alcun peso.
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Quanta libertà ti ha lasciato?
La scuola americana di solito lasciava molta libertà nella regia ai disegnatori, ora sta cambiando con l’arrivo di sceneggiatori con formazione televisiva e cinematografica. Ma quando Chip scrive una sceneggiatura ha ben chiaro chi la disegna e sa come lasciargli spazi di libertà. Alcune scelte di inquadrature sono state mie. C’è una scena ambientata a Parigi in cui io ho chiesto che negli occhi di un uomo che gli muore davanti lui potesse vedere il riflesso di sé bambino a 8 anni. Per la seconda volta, dopo tanto tempo, assiste impotente alla morte di un essere umano e la sua mente torna all’uccisione dei genitori…
Pensi che questa libertà che lascia ai disegnatori sia legata al fatto che lui stesso è un disegnatore?
Sì, ne sono convinto. Ha una sensibilità diversa, sa cosa vuol dire.
Che effetto fa lavorare su una storia che ha tutte le carte in regola per diventare uno dei capisaldi della continuity di Batman e della costruzione della sua biografia?
Quando mi hanno contattato per disegnarla non sapevo che fosse l’origine ufficializzata dalla DC, pre Miller-Mazzucchelli, è stata una sorpresa. È stato come se a te dicessero: scrivi un’introduzione a un libro di Umberto Eco. Ti tremano i polsi prima di iniziare a scrivere, no? La figura di Batman è stata rivoluzionata da Frank Miller, misurarsi con lui e Mazzucchelli è impegnativo. Ed è un genere, il noir, molto distante dal mio stile grafico. Mi sono messo in gioco ed è stata una bella sfida che mi ha fatto crescere anche graficamente. Sul momento ho cercato di non pensarci perché sennò andavo in paranoia.
Batman, Flash, Daredevil… Qual è il personaggio che ti ha divertito di più disegnare?
Flash sono stati due anni intensi, Batman ha il suo fascino. Daredevil era il mio personaggio Marvel preferito, quello con cui sono tornato a leggere i fumetti dei supereroi. Ci possiamo mettere anche lo Spider-Man Noir e ritrovarmelo al cinema in Spider-Man: Un nuovo universo è stato fantastico, ancora oggi scherzo con Sara Pichelli dicendole che quell’Oscar è anche un po’ mio. È difficile scegliere, ma se posso invece dire qual è il mio sogno nel cassetto, quello che coltivo da quando ero un bambino di 8 anni, è Superman. Quando ci arriverò avrò accontentato il bambino che c’è in me.