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“Country Risk Map”, una mappa mostra il rischio d’investimento nei Paesi: male l’Italia

Economia
Ansa/Country Risk Map

Aswath Damodaran, professore di Finanza della Stern School of Business della New York University, insieme a Visual Capitalist ha creato una mappa del rischio di investimento nei diversi Paesi. Per l’Italia non emerge un quadro del tutto roseo: risulta essere lontana in classifica dalle maggiori economie europee, così come dai Paesi del G7. “Fanno meglio Botswana, Bulgaria e Messico. Una posizione che dovrebbe davvero far riflettere i governanti italiani”, dice l’investor Giovanna Voltolina

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Quali Paesi hanno il più alto rischio di investimento, in un contesto geopolitico in continua evoluzione? A questa domanda prova a rispondere Aswath Damodaran, professore di Finanza della Stern School of Business della New York University: insieme a Visual Capitalist ha creato la “Country Risk Map”, una mappa del rischio nei diversi Paesi. Per l’Italia non emerge un quadro del tutto roseo: con il 3,3% di “coefficiente di rischio”, per quanto rientri ancora in una soglia limite di esposizione per gli investitori (su una scala 0-25%), risulta essere ben lontana in classifica dalle maggiori economie europee, così come dai Paesi del G7.

La “Country Risk Map”

La “Country Risk Map” classifica tutte le economie del mondo principalmente in base a 3 fattori di rischio: il primo è il “Political Risk”, che tiene in considerazione il tipo di regime, il livello di stabilità e la corruzione del governo; poi c’è il “Legal Risk”, che valuta la tutela e l’applicazione dei diritti patrimoniali e contrattuali; il terzo è “Economic Structure”, cioè il livello di diversificazione dell’economia. Inoltre, gli esperti hanno analizzato anche il “Default Risk”, cioè la capacità di una nazione di ripagare il debito pubblico: si tratta di un parametro di cui tengono molto conto i mercati finanziari e che può creare turbolenze sui mercati. Tutti questi fattori, insieme ad altri, formano il “Country Risk”: il coefficiente di rischio d’investimento per ogni Paese. Gli Stati Uniti sono stati usati come base per misurare il rischio degli altri Stati.

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La classifica

Guardando la classifica, aggiornata a luglio 2023, ci sono 13 Paesi che possono fregiarsi del rischio 0,0% (conseguente a indicatori come i titoli di Stato con rating AAA, la bassa corruzione e la forte tutela dei diritti di proprietà): sono Usa, Svizzera, Svezia, Paesi Bassi, Germania, Canada, Liechtenstein, Nuova Zelanda, Norvegia, Singapore, Lussemburgo, Australia e Danimarca. Seguono le economie di Austria e Finlandia (0,6%). Per fare altri esempi, troviamo la Francia allo 0,8%; Regno Unito, Irlanda e Belgio allo 0,9%; Giappone all’1,1%; Spagna al 2,4%. I Paesi con il coefficiente di rischio maggiore sono Venezuela, Bielorussia, Libano, Siria e Sudan, al 24,8%.

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La posizione dell’Italia

L’Italia ha un coefficiente di rischio d’investimento pari al 3,3%, alto rispetto alle maggiori economie europee e ai Paesi del G7. “Per trovare l’Italia bisogna scorrere la classifica fino alla parte bassa e oltre il coefficiente di rischio 3,3%, dove a fare compagnia al Belpaese vi sono economie come Mauritius, Montserrat (Piccole Antille), Romania e India. Fanno meglio Botswana (1,8%), Bulgaria (2,4%) e Messico (2,9%)”, dice Giovanna Voltolina, mid-cap investor internazionale. “Una posizione – aggiunge l’investor – che dovrebbe davvero far riflettere i governanti italiani, laddove racconta di un’economia appesantita e significativamente gravata da fattori che invece dovrebbero essere i primi facilitatori e alleati dello sviluppo delle aziende. E oltretutto è una condizione che scoraggia e tiene lontani gli investitori internazionali, che ben volentieri investirebbero tanti capitali sulle nostre Pmi e sul nostro made in Italy ma che, classifica o meno, già autonomamente percepiscono il rischio di riversare capitali, e sarebbero tantissimi, per lo sviluppo di aziende italiane”. “Ma purtroppo all’estero siamo famosi per un sistema giuridico complesso e troppo ‘interpretabile’, un sistema giudiziario che rimane uno dei più lenti in Europa, nonché quello con una burocrazia e delle politiche economiche, nazionali e regionali, stravolte ad ogni cambio di governo”, conclude Voltolina.

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