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Un mese di sanzioni occidentali contro la Russia, ma il rublo recupera. Perché?

Economia

Lorenzo Borga

La Russia è ormai il paese più sanzionato al mondo e la sua economia è destinata a crollare in recessione quest'anno. Ma il rublo si sta rafforzando riavvicinandosi ai livelli pre-guerra. Perché? C'entra, ovviamente, il gas.

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Le prime sanzioni europee contro la Russia - dopo il riconoscimento delle repubbliche separatiste ucraine - risalgono al 23 febbraio. Un mese e un giorno fa. Da allora sono seguiti altri tre pacchetti di sanzioni decise dal Consiglio europeo, oltre a quelle introdotte dagli altri paesi occidentali.

 

Sono stati almeno tre i fatti storici che ricorderemo probabilmente anche nei prossimi anni.

Fuga da Mosca

Il primo è la fuga da Mosca dei principali marchi occidentali. Secondo la Yale School of Management in 169 sono usciti dal mercato russo, mentre 191 hanno sospeso le proprie operazioni nel paese. Alcuni sono simbolici, come Pepsi, McDonald's, Coca-Cola, che erano arrivati in Russia dopo la caduta dell'Unione Sovietica. Altri invece  erano preziosi per l'economia russa, per esempio le fabbriche di automobili di Volkswagen o i sistemi di pagamento americani MasterCard e Visa. Anche se non tutte le aziende occidentali hanno fatto questa scelta e alcune società faticheranno a vendere i propri asset a prezzi accettabili.

Boom dei sanzionati

Il secondo fatto storico è rappresentato dai 939 cittadini e organizzazioni russi che sono stati sanzionati dall'Unione Europea. Tra questi compare lo stesso presidente Vladimir Putin, come anche numerosi oligarchi vicini al Cremlino.

I loro beni - conti correnti, ville, yacht - nei paesi europei (Svizzera compresa) e Stati Uniti sono destinati a essere bloccati, ed è stata vietata loro la possibilità di viaggiare. Si tratta di un numero talmente elevato che alcuni governi non dispongono di sufficiente personale per controllare e confiscare tutti i loro patrimoni.

 

In Italia secondo il presidente del Consiglio Mario Draghi i beni bloccati ammontano a 800 milioni di euro. In Svizzera, che ospita alcune tra le banche più importanti del mondo, il conto supera i 6 miliardi di dollari.

Cortina di ferro finanziaria

Ma l'arma principale per Stati Uniti e Ue è la finanza. Sappiamo infatti quanto è globalizzato e pervasivo il sistema finanziario basato sul dollaro americano (e sull'euro). Su questo fronte sono stati bloccati i pagamenti verso la Banca Centrale russa (e dunque l'intero governo di Mosca) di cui sono state congelate anche più della metà delle riserve valutarie. Alcune tra le principali banche russe sono state inoltre estromesse dal sistema di pagamenti internazionali Swift. Ma l'accerchiamento della nuova cortina di ferro si interrompe sul gas naturale russo, che continuiamo a importare e a pagare caro (secondo la Iea 400 milioni di dollari al giorno).

Evidentemente le continue forniture di gas russo e il conseguente incasso di soldi freschi rappresenta la boccata d'ossigeno grazie alla quale Mosca riesce ancora a sostenere la propria economia. Le aziende esportatrici russe infatti sono costrette per legge dall'inizio della guerra a convertire l'80 per cento dei propri incassi in euro e in dollari in rubli, con lo scopo proprio di sostenere la valuta russa e l'intera economia.

 

Questa mossa (che risulterebbe ancor più efficace se si avverasse la richiesta di Putin di pagare il gas direttamente in rubli), assieme al rialzo dei tassi di interesse e al controllo dei capitali, sta provocando un recupero del rublo rispetto al dollaro. Ancora distante dal livello pre-guerra, ma ormai lontano anche dai picchi di svalutazione delle ultime settimane.

Per colpire duramente e in modo definitivo l'economia russa - già destinata a una recessione nel 2022 - i paesi del G7 dovrebbero bloccare le esportazioni degli idrocarburi. Ma sappiamo quanto in particolare l'Europa - e su tutti Italia e Germania - siano dipendenti dal gas russo. Una condizione che obbligherà le capitali europee ancora per diversi mesi a pagare caro il gas di Putin, e dunque indirettamente a finanziare la guerra in Ucraina.