Educare agli schermi figli e genitori: possibilità o privilegio?

Il virtuale è già diventato reale? È ancora possibile far vivere i ragazzi in un mondo che mette al bando gli schermi? Secondo le migliaia di persone che in poche ore hanno firmato la petizione su Change.Org per vietare l'uso degli smartphone agli Under 14, sì. Un appello che ha chiesto al governo italiano di impegnarsi “per far sì che nessuno dei nostri ragazzi e delle nostre ragazze possa possedere uno smartphone personale prima dei 14 anni e che non si possa avere un profilo sui social media prima dei 16". La petizione - sottoscritta da intellettuali e personalità del mondo dello spettacolo - chiede così un'ulteriore stretta sull'uso dei cellulari dopo il divieto in classe fino alla terza media deciso dal governo. Dietro c’è la volontà di accogliere "ciò che le neuroscienze hanno ormai dimostrato”: ovvero che alcune aree del cervello, fondamentali per l'apprendimento cognitivo, “non si sviluppano pienamente se il minore porta nel digitale attività ed esperienze che dovrebbe invece vivere nel mondo reale". Gli effetti negativi sulla salute Un’inversione di marcia che non riguarda solo l’Italia. La Svezia vuole vietare qualsiasi tipo di schermo ai bambini al di sotto dei due anni, che non dovrebbero mai essere esposti ai display di smartphone e tablet. Mentre gli adolescenti non dovrebbero utilizzarli per più di tre ore al giorno. Sono le nuove linee guida della Folkhälsomyndigheten, l'autorità sanitaria pubblica svedese, che ha invitato i genitori e i tutori dei minori a riflettere sulle modalità con cui interagiscono con i dispositivi elettronici, che possono avere effetti negativi sulla salute, tra cui il peggioramento della qualità del sonno e sintomi di ansia e depressione. Intanto nel Regno Unito a febbraio scorso è nata 'Smartphone Free Childhood' che ha 60mila membri e si sta espandendo in Australia, Usa, Emirati Arabi, Brasile, Canada e Sudafrica. Ma in un mondo iperconnesso siamo ancora in tempo per mettere dei confini netti al mondo digitale? E gli spazi offline con quali risorse possono essere occupati da genitori che lavorano a tempo pieno? "I più piccoli? Devono prima imparare a usare il corpo" “Non c’è nessuna novità, da circa 10 anni la comunità scientifica suggerisce di non far utilizzare schermi ai bambini e alle bambine sotto i tre anni, perché a quell’età devono imparare a usare il corpo”, commenta il professor Michele Marangi, pedagogista esperto di tecnologie e docente del CREMIT dell’Università Cattolica di Milano. “È corretto limitare tutto ciò che è artificiale fino ai due anni. Prima serve l’esperienza fisica, poi quella mediata”. Mentre per quanto riguarda i bambini più grandi, non esiste un’età corretta per iniziare a maneggiare gli schermi: “Ciò che funziona con un figlio può non funzionare con un altro”, osserva Marangi. Ma quello che si può imparare, è farne un uso più consapevole possibile: “Per esempio, guardare gli schermi prima di dormire è assolutamente sconsigliato. Così come stare al cellulare o guardare la tv mentre si mangia”. Ma questo vale anche per i genitori: da tempo diverse ricerche sul campo parlano di technoference, ovvero l’interferenza tecnologica: i dispositivi digitali possono interferire con le interazioni e le connessioni relazionali in famiglia, anche interrompendole. “Per esempio”, spiega l’esperto, “una madre non avrebbe mai usare il cellulare mentre allatta, perché il neonato non vede il suo sguardo. Così se un papà usa lo smartphone mentre gioca con il bambino di pochi mesi non gli dedica la giusta attenzione”. "Abolire gli schermi? Impariamo ad addomesticarli" Imporre un divieto degli smartphone agli adolescenti, sempre più connessi dei tempi della pandemia, è realistico? Secondo Marangi – autore del libro “Addomesticare gli schermi” non lo è, perché “il digitale è ormai ovunque”. Per questo dire ‘non usiamoli’ può essere bello ma impraticabile”. La chiave è imparare a dosarli, non a subirli. Un esempio semplice è il paragone con il cibo: “Se a mio figlio piace molto una marmellata, non gliela vieto, ma d’altra parte gli insegno che non può mangiare solo quella, perché gli farebbe male”. I confini si possono negoziare insieme. “Anche perché se io genitore li uso di continuo, come posso vietarli a mio figlio?”. Per l’esperto anche bandire i cellulari in classe è un paradosso: “Dove se non a scuola si deve imparare a usarli in maniera intelligente? Quella è una sconfitta. Il mondo digitale non è un foglio Excell”. Un altro tema chiave, sottovalutato, è quello della scelta dei prodotti più adatti al consumo per i piccoli: “Spesso i genitori non sanno scegliere app a bassa intensità, quindi senza colori eccessivamente forti o troppa musica”, spiega il docente, che sottolinea come gli adulti abbiano un problema con il digitale: “Spesso il concetto è: o è gratuito o non lo uso. Ma questo non vale se devo comprare un libro o un vestito per mio figlio o mia figlia, è un tema culturale”. E allora un'altra domanda – ancora senza risposta è: chi educa i genitori al digitale? Una "digital box" per dosare l'uso degli schermi Sul divieto degli smartphone in classe diverso è il parere dello psicopedagista Stefano Rossi: “Ricordiamo che il cellulare è un potentissimo distrattore di massa. Nessuno più degli insegnanti si rende conto di quanto la soglia di attenzione delle nuove generazioni stia precipitando. Se un ragazzo si abitua su TikTok a fruire un video per 0,5 secondi come imparerà a stare in classe 60 minuti ad ascoltare?”, riflette Rossi, suggerendo che tra i banchi sia necessario proporre esperienze cooperative, lavorando anche in gruppi. “Perché siamo arrivati a un paradosso: dover allenare le nuove generazioni al mondo reale”. Va comunque fatto un distinguo, fuori dalle aule, per fasce d’età: “Lasciare a un bambino piccolo un cellulare è pericoloso: fino ai 10 anni i bambini non dovrebbero avere accesso autonomo a cellulari e tablet in autonomia senza supervisione dei genitori”, mentre per quanto riguarda gli adolescenti, ammette, il tema è più complesso. Un consiglio per far orientare i genitori in questo mondo è “dosare” le attività con gli schermi, come suggerito da Marangi. Un aiuto può essere quello di adottare una “digital box”: uno spazio simbolico in cui in determinati orari della giornata i cellulari vengono chiusi in una scatola che non li rende visibili. Ma i genitori devono essere d’esempio: un padre o una madre che a tavola risponde a mail o messaggi non è credibile nel momento in cui chiede al figlio di staccarsi dallo schermo. "Offrire ai figli un'alternativa al digitale? Un privilegio" Ma se gli studi sugli effetti negativi degli schermi sui più piccoli parlano chiaro, qual è il punto di vista dei genitori su quanto sia praticabile vietare i cellulari ai figli? Lo abbiamo chiesto a Sarah Malnerich e Francesca Fiore, autrici, attiviste femministe e fondatrici del progetto - privo di stereotipi edulcorati sulla maternità - Mammadimerda. “Sarebbe bellissimo rispettare quello che ci dicono gli studi. Ma va ricordato che offrire un’alternativa ai propri figli è anche un tema di privilegio rispetto alle proprie condizioni lavorative, economiche e sociali”, osservano. “Ci piacerebbe che i nostri figli ogni pomeriggio andassero a correre a piedi nudi nel parco insieme a noi genitori, poi magari a fare arrampicata. Ma sono attività che richiedono risorse sia economiche che di tempo”. Passando dalla teoria alla pratica, se due genitori lavorano a tempo pieno come possono “intrattenere” i ragazzi con attività offline togliendo loro i telefoni? “Magari avessimo delle alternative!”, dicono le due autrici. “Bisogna mettere le famiglie in condizioni di poterle offrire queste alternative, non si può scaricare sempre tutto sulle spalle dei genitori. Noi abbiamo l’onere della loro educazione, ma c’è una parte di cui si devono far carico lo Stato e la società”. "Più educazione digitale, meno senso di colpa dei genitori" Un esempio è quello dei tre mesi a casa da scuola appena trascorsi: “Chi poteva permetterselo ha mandato i figli ai campi estivi, mentre gli altri li hanno dovuti tenere a casa, indovinate a fare cosa? Riempire 16 ore dei nostri ragazzi senza schermi è difficilissimo”, dice Francesca. E allora, riflettono, anziché colpevolizzare i genitori, servirebbe una proposta collettiva con soluzioni concrete. “Sappiamo cosa è meglio non fare, ma quali alternative ci sono?”. Si fa leva spesso sul senso di colpa della madre, osservano: “Se ogni tanto vado a mangiare una pizza con la mia famiglia e mio figlio di 4 anni a tavola piange, perché devo rovinarmi la cena? Gli faccio vedere per mezzora YouTube e mi rifiuto di sentirmi in colpa perché sto già dando il massimo e ho diritto anch’io a degli spazi”. Oppure, sottolineano, c'è bisogno di soluzioni concrete: perché tutti i ristoranti non dispongono di un’area giochi? “Fare questa riflessione non significa voler abbandonare i figli davanti all’Ipad, i limiti si devono mettere ed è necessario un patto educativo sull’uso di questi strumenti". Oltre che di alternative, suggeriscono Sarah e Francesca, bisognerebbe parlare seriamente di educazione digitale. Perché vietare non è una soluzione, soprattutto se vedono noi i genitori essere sempre connessi. “È come dire a mio figlio che mi vede usare la macchina che lui deve andare a cavallo. Anche un po’ ipocrita, no?”. La questione è aperta.

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