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Ilaria Alpi, 27 anni fa l'omicidio della giornalista e di Miran Hrovatin in Somalia

Cronaca
Foto: Archivio Ansa

Era il 20 marzo del 1994 quando la reporter fu uccisa a Mogadiscio insieme all'operatore. I due si trovavano nel Paese per seguire la missione Restore Hope. Un episodio ancora oggi poco chiaro ma per il quale è stata chiesta l'archiviazione delle indagini

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È domenica 20 marzo 1994, esattamente 27 anni fa, quando Ilaria Alpi viene uccisa a Mogadiscio: una vicenda lunghissima che comprende la creazione di una Commissione parlamentare, presunti tentativi di depistaggio, incarcerazioni e assoluzioni e richieste d'archiviazione. Ma per risalire all'inizio del caso, bisogna andare indietro fino al 1994, quando la giornalista del Tg3 fu vittima di un omicidio insieme al suo operatore Miran Hrovatin. I due si trovavano in Somalia per seguire la missione "Restore Hope" che vedeva impegnati militari italiani.

L’omicidio a Mogadiscio il 20 marzo 1994

Sono passate da poco le 14.30 quando una Toyota attraversa la capitale somala, diretta verso l'Hotel Amana. A bordo ci sono la giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e il cineoperatore Miran Hrovatin: sono appena tornati dal Nord del Paese, dove hanno incontrato il sultano del Bosaso. Alpi, allora 32enne, e Hrovatin - dirà poi l'inchiesta - hanno saputo di fatti e attività scottanti, connessi con traffici illeciti di armi e rifiuti di vasta proporzione. A poca distanza dall'albergo, da una Land Rover scendono diverse persone armate, almeno sette, e fanno fuoco. Un proiettile di kalashnikov colpisce alla tempia Ilaria Alpi, una raffica raggiunge Hrovatin.

Il sultano Abdullahi Mussa Bogar nel registro degli indagati

La procura di Roma avvia un’inchiesta e viene disposto un esame medico-legale esterno sul corpo della Alpi. L'esame parla di un colpo a bruciapelo alla nuca della giornalista. Il fascicolo viene affidato a Giuseppe Pititto, sostituto procuratore. È lui a verificare che sul cadavere della giornalista non è stata eseguita un’autopsia ma soltanto un esame esterno. Intanto, il 4 luglio 1994 il padre della reporter ricorda che la figlia, poco prima di morire, aveva intervistato il sultano di Bosaso e aveva annotato tutto su un taccuino poi scomparso. Il sultano, Abdullahi Mussa Bogar, viene iscritto nel registro degli indagati il 9 aprile 1996 come mandante del delitto, ma la sua posizione sarà archiviata. Intanto, il 4 maggio 1996, la salma di Ilaria Alpi è riesumata su ordine del pm Giuseppe Pititto per chiarire la dinamica dei fatti e il 25 giugno dello stesso anno la perizia balistica decreta che il colpo che ha ucciso la giornalista fu sparato a distanza, probabilmente con un kalashnikov.

L'arresto di Hashi Omar Hassan 

Il 12 gennaio del 1998, il cittadino somalo Hashi Omar Hassan si trova a Roma per testimoniare alla commissione sulle presunte violenze dei soldati italiani in Somalia. Viene arrestato per concorso in duplice omicidio volontario e indicato come componente del commando. La richiesta d'arresto è firmata dal pm Franco Ionta che aveva sostituito Pititto e fatto ripartire le indagini. Il pm aveva chiesto la condanna all'ergastolo, ma nel luglio del 1999 Hassan viene assolto. Intanto, per una nuova perizia balistica, i colpi mortali sono stati sparati a bruciapelo, da distanza ravvicinata. Quella di Alpi e Hrovatin sarebbe stata quindi un'esecuzione.

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La condanna di Hassan

Il 24 novembre 2000, poco più di un anno dopo l’assoluzione, la corte d'Assise d'Appello ribalta la sentenza di primo grado e condanna Hassan all’ergastolo. Hassan viene ritenuto colpevole ma i genitori di Ilaria Alpi non si dimostrano soddisfatti: si tratta di "una sentenza nera, non ci accontentiamo di questa verità. Vogliamo i mandanti veri". L’anno successivo, nell’ottobre del 2001, la Cassazione annulla la sentenza d'appello limitatamente all'aggravante della premeditazione e alla mancata concessione delle attenuanti generiche, ma conferma la condanna per omicidio volontario e rinvia il procedimento per nuovo esame ad altra sezione della corte d'assise d'appello. Il 26 giugno 2002, la corte di Assise d'Appello di Roma riduce a 26 anni la pena per Hashi Omar Hassan.

La commissione parlamentare d'inchiesta

Il 31 luglio 2003 nasce la Commissione parlamentare d'inchiesta Alpi-Hrovatin. Il presidente è l'avvocato Carlo Taormina. La Commissione dura tre anni, fino al 2006, quando, senza una soluzione unanime, Taormina si fa portavoce della tesi del rapimento fallito e porta avanti un punto di vista che indigna i genitori della vittima. "Ilaria Alpi era lì in vacanza", e le voci di un'esecuzione sono state messe in giro ad arte, sostiene affermando di essere in possesso di documenti segreti che proverebbero le sue parole. Ufficialmente la Commissione si schiera per l'ipotesi di un tentativo di rapina o di rapimento "conclusosi accidentalmente con la morte delle vittime". La versione alternativa, invece, ipotizza che la Alpi abbia scoperto un traffico di armi e di rifiuti tossici illegali nel quale erano coinvolti anche l'esercito e altre istituzioni italiane.

Le parole di Jelle che scagionano Hassan

Intanto, un anno dopo la chiusura della Commissione, la procura di Roma - il 10 luglio 2007 - chiede l'archiviazione per l'inchiesta sull'omicidio. Il procuratore sostiene che, oltre a quella di Hassan, è impossibile accertare con precisione altre responsabilità. Si tratta di un'ulteriore inchiesta aperta poco dopo la condanna di Hassan e per cui si era ipotizzato il "concorso con ignoti". Il 14 febbraio 2010, la famiglia Alpi ottiene un’importante vittoria, seppur parziale: il gip Cersosimo boccia la richiesta di archiviazione. Secondo lui, infatti, l’omicidio Alpi era stato appositamente commissionato per evitare che lei e il suo operatore riportassero in Italia quanto scoperto in Somalia. Tre anni dopo, nel 2013, inizia così un altro processo, questa volta a carico di Ali Ahnmed detto "Jelle". Era stato l’accusatore di Hassan e adesso deve rispondere di calunnia al fine di sviare le indagini. Hassan e la mamma di Ilaria Alpi si costituiscono parte civile. Nel 2015, Jelle si trova in fuga all’estero e afferma: "Hassan è innocente, io neanche c'ero. Mi hanno chiesto di indicare un uomo".

La desecretazione degli atti e l'assoluzione di Hassan

Il 16 dicembre 2013, su iniziativa di Laura Boldrini, la presidenza della Camera avvia la desecretazione degli atti delle Commissioni d'inchiesta sui rifiuti e sul caso Alpi. Il 14 gennaio 2014, gli avvocati di Hassan ottengono dalla Corte d’Appello di Perugia la riapertura del caso. C’è l’ok della procura, della Rai e della signora Alpi che si erano costituite parti civili. Il processo si conclude nel 2016, esattamente il 19 ottobre, quando la Corte d'Appello di Perugia assolve il somalo che nel frattempo aveva scontato comunque 17 dei 26 anni che gli erano stati inflitti. La madre della giornalista annuncerà l’anno dopo di voler rinunciare alla ricerca della verità perché "ho dovuto assistere alla prova di incapacità data, senza vergogna, per ben 23 anni dalla Giustizia italiana e dai suoi responsabili". Nel luglio del 2017, la Procura della Repubblica di Roma inoltra una richiesta di archiviazione sul caso dell'omicidio di Ilaria Alpi e dell'operatore Miran Hrovatin, avvenuti il 20 marzo 1994 a Mogadiscio, in Somalia.

Le nuove intercettazioni e la richiesta di archiviazione

Il 17 aprile 2018, durante l’udienza fissata per discutere la richiesta di archiviazione, il pm Maria Rosaria Guglielmi deposita alcune intercettazioni risalenti al 2012, ma trasmesse solo successivamente dalla Procura di Firenze. Si tratta di conversazioni fra persone di origini somale residenti in Italia che, parlando del caso Alpi, affermano: "L’hanno uccisa gli italiani". Luciana Alpi, al termine della camera di consiglio fissata davanti al giudice Andrea Fanelli, afferma: "Il gip ha fissato una nuova udienza per la discussione e noi faremo di tutto perché questa inchiesta non finisca in archivio. Da troppo tempo siamo in attesa di una verità che non arriva. Andiamo avanti insomma, anche se sono stanca". L’8 giugno 2018, il pm chiede l’archiviazione delle nuove intercettazioni ritenute sostanzialmente irrilevanti e inutili all’avvio di nuovi accertamenti. Una richiesta però respinta il 26 giugno dal gip di Roma che dispone altri 180 giorni per ulteriori indagini sull'omicidio della giornalista. Una decisione, questa, che arriva appena due settimane dopo la morte di Luciana, la madre di Ilaria, avvenuta il 12 giugno.

L'ultima richiesta di archiviazione

Il 6 febbraio 2019, la Procura di Roma chiede una nuova archiviazione dell'indagine relativa all'omicidio della giornalista. Per i magistrati si sono "rivelati privi di consistenza gli elementi pervenuti che apparivano idonei, se non all'identificazione degli autori materiali ovvero dei mandanti dell'omicidio, almeno ad avvalorare la tesi più accreditata del movente che ha portato al gesto efferato o ad esplorare l'ipotesi del depistaggio". Tuttavia, gli avvocati Carlo Palermo e Giovanni D'Amati, che tutelano gli interessi di Annamaria Riccardi, zia di Ilaria, hanno evidenziato che "dal dicembre 2007 al giugno 2017, sul caso della uccisione di Ilaria Alpi, risultano subentrate numerose nuove risultanze, riportate e commentate ovunque, ma non esaminate dal pm. Ovvero sussistono numerosi e importanti altri fatti che avrebbero dovuto essere esaminati da un organo requirente che si era, come noto, trovato di fronte a eccepite 'secretazioni' di fonti, di nomi, di atti: atti, inoltre, che oggi appaiono ancor più rilevanti in considerazione della sola recente formulazione di imputazioni sui depistaggi (formulate dopo la intervenuta revisione del processo dalla Corte d'Appello di Perugia)". Inoltre, anche le altre parti offese, (Fnsi, Ordine dei giornalisti e Usigrai), hanno chiesto che non venga definitivamente archiviato il caso. Il 4 ottobre del 2019 il gip di Roma Andrea Fanelli rigetta la richiesta di archiviazione e dispone nuove indagini: chiede che venga ascoltato il direttore dell'Aisi al fine di verificare la "persistenza del segreto" sull'identità dell'informatore di cui si fa riferimento in una nota del Sisde del 1997 e richiede alla Procura accertamenti in relazione al ritardo con cui è stata trasmessa, nell'aprile del 2018, da Firenze la trascrizione di una intercettazione tra due cittadini somali in cui i due parlando di quanto avvenuto a Mogadiscio affermano che Ilaria "è stata uccisa dagli italiani".