Abbandono forzato: la disabilità “ingestibile” di Zoe, a casa senza scuola

“Non vale niente questo certificato del Bambino Gesù? Perché lo trattano come carta straccia”. Elisabetta ha tra le mani la dichiarazione dell’ospedale pediatrico romano, che chiede per la figlia Zoe assistenza infermieristica continua in aula. La sventola, dopo averla inutilmente presentata all’Ausl Sud-Est toscana , che le ha risposto seccamente: “Infermieri da mandarvi non ne abbiamo”. E quindi? Quindi, per permettere alla figlia tetraplegica di frequentare la scuola dell’infanzia, la madre l’ha dovuta assistere ogni giorno, per anni, fuori e dentro alla classe. Oggi Zoe ha compiuto sei anni ed è arrivato per lei il primo giorno di scuola. Ma, dopo solo una settimana di assistenza, ha già dovuto lasciare la classe perché le due infermiere che la curavano hanno rinunciato all’incarico. “Io non ho nessuna intenzione di stare con lei in aula, come ho fatto fino ad ora – spiega la madre – Non sarebbe giusto né per lei né per me. Da cinque anni chiediamo assistenza infermieristica e abbiamo ricevuto risposte assurde, ma nessuna soluzione”. Pure l’alunna – assicura la madre – “è arrabbiata per quello che sta succedendo”. Diremmo che quella di Zoe è una storia di abbandono scolastico ma – volendo esser pignoli – il suo percorso nella scuola dell’obbligo deve ancora cominciare. E, finora, è stato perché nessuno ha saputo gestire la sua disabilità. Una disabilità gestibile Zoe, in questi giorni, ascolta i compagni dalla finestra di casa propria. Li sente giocare in pausa, dalla cameretta, nell’intervallo fra una lezione e l’altra. A Castell’Azzara, paesino di 1.300 abitanti in provincia di Grosseto, si conoscono tutti. E tutti, scuola compresa, conoscono Zoe. “Addirittura l’ho iscritta nello stesso comprensorio della sua scuola d’infanzia – spiega la madre – ma non si sono interessati più di tanto a pianificare le risorse per il futuro, nonostante conoscano perfettamente la sua condizione”. Per una neurofibromatosi, malattia genetica che provoca la formazione di ammassi di tessuto neurologico molle in varie parti del corpo, dalla nascita il midollo di Zoe è stato compresso a livello cervicale. Un intervento chirurgico, necessario per liberare il più possibile il midollo, le ha causato all’età di un anno e mezzo un’insufficienza respiratoria cronica. Perciò, oltre a non muovere gli arti, la bimba ora ha bisogno del supporto di un ventilatore meccanico, di essere aspirata dalle secrezioni che si accumulano nella trachea e di altra assistenza infermieristica. Ciononostante, è perfettamente in grado di parlare e di sognare un futuro scolastico: “Zoe è sempre stata tranquillissima in classe, semmai vedeva me che ero stressata. Adesso, invece, è un po’ arrabbiata perché non capisce cosa stia succedendo”. “Zoe non ha bisogno di infermieri, l’hanno truffata” Alla domanda sul lavoro, la madre risponde sorridendo. “Che lavoro vuole che faccia? Quando e come potrei? Sto dietro a mia figlia 24 ore su 24 da sempre”. In effetti, Elisabetta riesce a parlarci solo nell’ora di riposo pomeridiano della figlia. “È nostro diritto avere assistenza infermieristica adesso”, ci ripete. E i tentativi sono gli stessi da anni: subito al termine del ricovero post-operatorio, durato sei mesi, la madre ha presentato alla sanità toscana il certificato del Bambino Gesù. Ma è stato, nella migliore delle ipotesi, un nulla di fatto: “I dottori del territorio mi hanno detto addirittura che sono stata raggirata dal policlinico di Roma – denuncia la madre – e un neuropsichiatra, dopo aver visto la bambina, ha commentato che non c’è bisogno di assistenza infermieristica, perché ΄mica è in fin di vita΄. Sono discorsi assurdi”. A pochi giorni dall’ingresso alle elementari, però, si era acceso un barlume di speranza. La scuola aveva individuato due infermiere consentendo a Zoe di iniziare il proprio percorso. O, almeno, questo si augurava la madre: “Erano due professioniste, una con la partita iva e una in pensione, ma sono state buttate in classe senza alcun training iniziale. Per assistere mia figlia, servono manovre facili che so fare anche io, ma bisogna conoscerle e conoscere lei”. Il risultato è che, dopo soli 7 giorni, le due infermiere hanno rifiutato di proseguire l’assistenza e Zoe è tornata al punto di partenza. Costretta a casa. Cosa può fare la scuola “La dirigente mi ha perfino chiesto se potevo venire io ad accompagnare la bimba in classe per non farle fare assenze, ma mi sono stancata, non è giusto né possibile che continui io a stare in aula con mia figlia”. Da parte sua, la preside sostiene che quell’invito sia arrivato solo dopo aver provato a fare tutto il possibile per la studentessa: “Pur di far frequentare la bimba, abbiamo aperto alla possibilità di far entrare la madre che, giustamente, ha rifiutato”. Prima – assicura la dirigente – è stata offerta assistenza infermieristica per 5 ore al giorno, richiesto un insegnante aggiuntivo al provveditore di Grosseto e, dopo l’abbandono del personale sanitario, proposta anche l’istruzione domiciliare. “Ricordo quando mi sono arrivate le due mail che mi informavano delle dimissioni delle infermiere, che non ci hanno dato motivazioni. La verità è che lo scoglio adesso è la ricerca di infermieri, che sono attivati dal servizio sociale per tramite del Comune. Non dalla scuola”. Ora, per tentare di sbloccare la situazione, la madre si è rivolta all’associazione Osservatorio 182, che le ha offerto assistenza legale gratuita. “Mi stanno aiutando, ma ora purtroppo siamo sulla linea delle diffide”. Disabilità e abbandono scolastico Le speranze di un futuro scolastico proficuo, per Zoe, non sono estinte. Ma il suo, come quello delle altre persone con disabilità, in Italia è un percorso a ostacoli. Il 30,2% di loro abbandona precocemente la scuola e solo l’11% raggiunge l’istruzione terziaria. Quasi il triplo degli studenti che lasciano, in generale, le aule italiane . I motivi sono molti. Il numero dei docenti di sostegno è adeguato: 1,6 ogni studente, un rapporto migliore rispetto a quello previsto per legge. Ma il 12% viene assegnato in ritardo e uno su tre non ha formazione specifica, necessaria per la gestione di studenti che, quasi in 4 casi su 10, manifestano disabilità intellettive. Eppure, molto più frequentemente sono gli istituti stessi a interrompere il percorso degli studenti con disabilità: solo 4 scuole su 10 sono accessibili per alunni con disabilità motorie, il 17% per scolari con sordità o ipoacusia e l’1,2% per quelli con cecità o ipovisione. Adeguare gli edifici alle loro esigenze ha un costo che, in assenza di nuovi investimenti, non può essere sostenuto: l’Italia destina all’istruzione il 4,1% del Pil, contro una media europea del 4,7%, e l’8,2% della spesa pubblica totale, contro il 9,9% comunitario. La conseguenza è che per Zoe – e per molti suoi compagni con disabilità – la scuola è ancora un lusso anziché un diritto.

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