La nave Libra torna in mare: che succede ora?

La nave Libra della Marina militare è già arrivata davanti e Lampedusa e si troverebbe ora in acque internazionali. Più precisamente, nelle zone Sar libiche e tunisine, dove i mezzi della Guardia costiera e della Guardia di Finanza intercettano le persone migranti per farle salire a bordo del pattugliatore italiano. Chi è soccorso dalle Ong non può essere, infatti, trasferito nei due centri in Albania per le procedure accelerate. Il primo, e al momento unico, viaggio della Libra è stato un nulla di fatto: il trattenimento dei 16 soccorsi non è stato convalidato dal Tribunale di Roma e le persone provenienti da Egitto e Bangladesh sono state riportate a Bari per essere sottoposte alla procedura ordinaria. La nave ha, dunque, aspettato che si placasse lo scirocco da sud, che il mare tornasse calmo e che il tempo favorisse le partenze per un secondo tentativo. Stavolta, assicurano da fonti informali, sarà una missione da 30-40 uomini. E, secondo il governo, il decreto sui Paesi sicuri approvato lo scorso 21 ottobre assicurerà il loro trattenimento nei centri di Shengjin e Gjader in Albania. “Adesso l’elenco dei Paesi sicuri è diventata una fonte primaria”, commenta il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi mostrandosi fiducioso sul buon esito della nuova missione. Ma la sentenza del 4 ottobre della Corte di Giustizia europea, la stessa citata dal Tribunale di Roma per il mancato trattenimento, resta valida e rischia di vincolare le decisioni dei giudici. “Non credo che potrebbe cambiare niente dalla prima missione della Libra e che il Tribunale si esprimerà allo stesso modo”, spiega l’avvocato Lorenzo Trucco, presidente dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, a Sky tg24 Insider. Facciamo ordine, avvocato. Oggi la Libra si trova in acque internazionali, ma che accadrà al momento dell’imbarco di nuovi migranti? Per prima cosa, il protocollo prevede che si valuti la presenza di persone vulnerabili. Si tratta di donne, bambini e altre situazioni di fragilità. In quel caso, secondo le convenzioni internazionali, loro dovranno essere portati nel porto sicuro più vicino, come già successo a ottobre. Per gli uomini rimasti a bordo, dunque, è possibile il trasferimento in Albania? Saranno portati nei centri di Shengjin e Gjader e sottoposti alla procedura di frontiera accelerata, che prevede tempi molto ristretti. Ma servirà la convalida del trattenimento perché – ricordiamolo – parliamo di persone private della propria libertà. È una detenzione amministrativa, per di più, senza cioè che sia stato commesso alcun reato. Che succede se i giudici non convalideranno, ancora una volta, il trattenimento? Che le persone dovranno essere riportate in Italia per la procedura ordinaria. E credo che andrà così: che il tribunale di Roma, cioè, non convaliderà il trattenimento. Perché? Perché vige la supremazia del diritto dell’Unione europea rispetto al diritto nazionale, ove ci sia contrasto fra i due, purché la norma comunitaria sia chiara, precisa e incondizionata. Ed è così. La Corte di Giustizia europea, che – non dimentichiamolo – è fonte normativa, ha stabilito che per dimostrare che un Paese sia sicuro occorre stabilire che lo sia in modo generale, uniforme e che non ricorra mai a persecuzione, tortura o trattamenti inumani in nessuna parte del suo territorio. E i giudici italiani devono rifarsi a questo. Solo chi proviene da un Paese sicuro, perciò, può entrare nei centri in Albania. Non ci sono eccezioni? Non ci sono. Le prime persone soccorse provenivano da Egitto e Bangladesh e i giudici erano vincolati a respingere il trattenimento, perché in Egitto alcune categorie di persone, come oppositori politici o dissidenti non sono tutelate. In Bangladesh sono a rischio persone appartenenti alla comunità Lgbtqia+ o donne, per esempio. E non cambia niente con il nuovo decreto? Non cambia assolutamente niente. Come ho detto, il diritto dell’Unione ha supremazia su quello italiano, indipendentemente che si tratti di una legge primaria o secondaria. Credo che la situazione non possa cambiare e che non si supererà questa impasse. La Libra, però, ora è in mare e qualcuno vi salirà a bordo. Può tracciare un identikit delle persone che potrebbe essere trasferite in Albania senza timore di tornare indietro? Non è possibile fare un identikit, perché ormai la differenza di tutela dei diritti umani è spaventosamente grande nel mondo e non si può pensare di stabilire a priori la sicurezza di un Paese. Anche in altri centri in Italia i trattenimenti non sono stati convalidati per gli stessi principi. Mi vuole dire che i centri in Albania rischiano di rimanere vuoti? Sì, il rischio è questo. I giudici sono vincolati dal diritto. Poi, ovviamente siamo in democrazia e vedremo cosa può accadere. Ammettiamo che venga, invece, approvato il trattenimento e si dia avvio alla procedura accelerata. Vede altri rischi? Con questa procedura sono in pericolo i diritti delle persone vulnerabili. Non è, ad esempio, così semplice stabilire in tempi brevi se un migrante è minorenne oppure no. Lo stesso diritto alla difesa e ai ricorsi rischia di essere spazzato via. A mio avviso, l’intera ideazione dei centri è una stortura del diritto d’asilo. Dobbiamo pensare al fatto che le persone migrano in condizioni pesantissime. Queste procedure prevedono periodi ristrettissimi per valutazioni che necessitano necessariamente di tempo per far emergere la vera storia delle persone. Se vogliamo che il sistema del diritto d’asilo non sia solo qualcosa di teorico ma rispetti i diritti umani fondamentali, serve altro.

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