Caso dossieraggio, perché non si può parlare solo di hacker

Dati rubati, scambi di informazioni riservate, spionaggio ed e-mail compromesse: l’indagine della Dda di Milano e della Dna ha rivelato un “gigantesco mercato di informazioni personali” acquisite illecitamente da database italiani in cui sono rimasti scoperti gli account di circa 800mila persone, tra cui politici, imprenditori, e persino il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. L’inchiesta, che è ancora nelle fasi preliminari, ha portato all’arresto dei presunti responsabili. "Nessuno è al sicuro – ha detto il ministro della Giustizia Carlo Nordio - E non lo saremo fino a quando la legge e la tecnologia a nostra disposizione non riusciranno ad allinearsi con la tecnologia a disposizione della criminalità". Come ha sottolineato il vicepresidente del Consiglio Antonio Tajani, “infilarsi nella vita privata della gente per poi utilizzare i dati ai fini economi o politici veramente è una minaccia alla democrazia” e un tema sia di privacy che di sicurezza nazionale. Il 90-95% degli attacchi è dato da errori umani “Considerato che i nostri dati sono ovunque, a cominciare dalle piattaforme social a cui li abbiamo dati più o meno inconsapevolmente, sicuramente siamo a rischio” dice Tiziana Catarci, direttrice del dipartimento di Ingegneria informatica dell’Università “La Sapienza” di Roma, ospite di Monica Peruzzi a Sky TG24 Timeline. “Esistono ormai sistemi di analisi dati che riescono a ricostruire non solo il profilo degli individui ma anche il contesto in cui le persone si muovono – spiega - Gli studi dicono che il 90-95% degli attacchi derivano da errori umani, che non sono più solo le e-mail sgrammaticate che chiedono le nostre password, ma possono usare metodi estremamente sofisticati”. Mancanza di consapevolezza I database che raccolgono informazioni personali non sono fortezze inespugnabili: gli attacchi tecnologici riescono a fare breccia persino in infrastrutture e sistemi di difesa. “Il punto è la mancanza di consapevolezza di molti utenti – sottolinea Catarsi - che a volte hanno la presunzione di pensare ‘a me non può succedere’, e invece succede. E in modi sempre nuovi: immaginate il fenomeno dei deepfake”. Non solo e-mail e sistemi di phishing, quindi, ma anche video realizzati con l’intelligenza artificiale possono rivelarsi strumenti utili a chi svolge attività criminali di questo tipo. Conoscere il contesto in cui vive la persona presa di mira, infatti, è sempre più facile: social e banche dati online espongono le persone al rischio di essere coinvolte in attacchi di questo tipo. Siccome “il ladro è sempre più tecnologicamente avanzato - dice Catarsi - anche le persone devono difendersi meglio”. Una rete criminale fatta di relazioni e corruzione Per Pierluigi Paganini, esperto di cybersecurity, è fuorviante e inesatto parlare solo di hackeraggio. “Non concilia con l’attività criminale che stiamo osservando – dice – Qui c’è una rete criminale che opera con metodi corruttivi. Questi signori avevano le chiavi di accesso ai sistemi e attraverso la complicità di altre persone in posizioni apicali hanno avuto accesso a informazioni sensibili. Più che di hacker e database bucati parlerei di una rete di attori: è un fenomeno criminale che va investigato”. L’aspetto più inquietante, secondo Paganini, sta nella mole di informazioni che la rete è riuscita ad accumulare senza essere scoperta. “Esistono diversi sistemi di allarme per capire quando una persona, anche autorizzata, inizia ad accumulare informazioni nell’ambito del suo percorso lavorativo. È vero che in qualche documento trapelato si parla anche di malware, ma impatterà poco meno dell’1% rispetto al tipo di accessi di cui stiamo parlando”. “In questi casi la responsabilità è dello Stato italiano” Al di là del pericolo per i singoli individui, attacchi di questo tipo possono compromettere la sicurezza nazionale. “Dietro qualcuno dei clienti che ha commissionato gli accessi o ha acquistato informazioni, ci sarà l’agenzia di intelligence di qualche Paese straniero. È pericoloso perché si possono montare campagne di disinformazione nell’ambito di un’elezione, o ricattare personaggi pubblici italiani – dice Paganini - È per questo che va investigato quanto è accaduto e bisogna capire in quali modalità questi signori si sono mossi. Così tanti accessi massivi nel tempo sono qualcosa di inaudito”. “Al di là del comportamento del singolo – conclude Paganini - hanno colpito il punto all’interno del quale sono state accentrate le informazioni. In questo caso è lo Stato italiano che doveva proteggere. Non è pensabile che chiunque abbia gli accessi a database sensibili possa agire indisturbato. Purtroppo, [in casi come questi, ndr] il cittadino è completamente vulnerabile”.