Maura Gancitano: “Perché educare alle emozioni può essere un antidoto alla violenza”

Costruire una mappa emotiva per districarsi nel complicato universo delle relazioni. Imparare a conoscere se stessi, capire le emozioni che si provano, individuare i propri bisogni e desideri, per imparare a vivere con gli altri, "senza farsi troppo male". A questo servirebbe secondo Maura Gancitano, una "educazione sentimentale pubblica". Il tema è al centro del suo ultimo saggio Erotica dei sentimenti, in libreria con Einaudi. Il libro indaga il senso di quella che può essere oggi un’educazione sentimentale e sessuo-affettiva che riesca ad accompagnare i giovani alla scoperta di sé, senza sfociare in un approccio "normativo" o "impositivo". "Per me - dice l'autrice a Sky TG24 - un'educazione sentimentale può essere solo un percorso di accompagnamento a tracciare la propria strada. Non è dire ‘non dovete essere violenti’, ‘non dovete avere manie di controllo’ ma aiutare l’individuo a chiedersi 'perché mi sento in questo modo'; farsi delle domande per imparare a conoscersi meglio". Nonostante la necessità di percorsi simili affermata da più parti , l'Italia è uno degli ultimi paesi in Europa che ancora non ha istituzionalizzato programmi di educazione affettiva e sessuale nelle scuole. Come mai? Resiste in Italia il timore che percorsi di questo tipo possano minacciare l’idea di famiglia tradizionale, anche se di fatto questa da sola non descrive più la realtà da tempo. Da parte dei genitori, poi, c’è a volte un bisogno di controllo esclusivo sull’educazione dei propri figli, ma un genitore non può occuparsi da solo di tutti gli aspetti dell’educazione. Su argomenti come questi servono competenze specifiche di psicologi e pedagogisti. Serve una comunità educante. Nella scuola dell’infanzia, ad esempio, fortunatamente, si parla molto di emozioni e questo è un passaggio importantissimo per la crescita. In mancanza di un’offerta strutturata e adeguata, i genitori da parte loro cosa possono fare per accompagnare i ragazzi in questo percorso di crescita? Intanto prendersi cura di sé e delle proprie emozioni e poi accompagnare al meglio le persone giovani nella loro fioritura, senza censure e senza implicazioni giudicanti. Cercare di validare ciò che il figlio prova anche quando è diverso da ciò che il genitore proverebbe nella stessa situazione. Poi, come detto, rivolgersi a dei professionisti, quando è necessario. Ci sono cose per cui i figli possono avere bisogno di altre figure e i genitori devono avere fiducia in queste figure. Riguardo alla salute mentale dei giovani, esiste un’emergenza che a volte sfocia in violenza, come la cronaca sembra raccontarci, o siamo di fronte a una normale quota di disagio giovanile che è sempre esistita? Sicuramente oggi c’è più attenzione alla salute mentale ma è anche vero che tutti i dati ci raccontano un disagio in crescita, che attraversa tutte le età e interessa in particolare i giovani. Un disagio che a volte "esplode" in maniera drammatica e violenta. In Italia ci sono 54mila giovani che praticano il "ritiro sociale" e hanno perlopiù tra i 15 e i 17 anni, età in cui c’è la maggiore necessità di dialogo e di qualcuno che li accompagni nella scoperta di sé. Spesso mancano gli strumenti per gestire ciò che si prova e l’emergenza ora riguarda soprattutto i maschi, che hanno iniziato a sviluppare un’ansia da giudizio sociale in ogni aspetto della vita, diventando molto più “giudicanti” di un tempo nei confronti di se stessi. I ragazzi hanno sviluppato una sofferenza simile a quella già vista nelle ragazze e per certi versi questi aspetti sui maschi sono meno studiati. Ad esempio, nei disturbi del comportamento alimentare ci si è concentrati sulle ragazze come se ne soffrissero solo oro mentre riguardano anche tanti giovani. Si parla spesso anche di come giovani e giovanissimi siano di frequente esposti a contenuti inappropriati per la loro età, a volte violenti. Cosa dovrebbe fare un genitore in questi casi? Penso che sia importante osservare senza giudicare e cercare di capire perché c’è interesse per certi contenuti, senza proibire. Se ascolti un certo tipo di musica, non è detto che tu trovi desiderabile o ti identifichi necessariamente con ciò di cui parla. È sicuramente importante però vigilare sulla vita online dei figli. A questo proposito, cosa pensa della proposta di divieto di smartphone e social rispettivamente fino a 14 e 16 anni? Anche in questo caso, non credo che proibire possa essere una soluzione. Se tu genitore stai tutto il giorno al cellulare, non hai passioni e interessi che coltivi e non ne proponi, allora nemmeno tuo figlio li avrà. Tanti giovani non sono mai andati a teatro o al cinema non fanno sport: social e smartphone danno l’illusione di soddisfare bisogni che la realtà non soddisfa, per questo servono delle alternative, anche livello pubblico. Proibire non funziona ma bisogna proporre alternative, anche a livello pubblico.