Perché Iddu, il film, nella Castelvetrano di Messina Denaro non lo vedranno

La Sicilia, al cinema o in tv, spesso fa il paio con la parola “mafia”. Sono centinaia, forse migliaia, le pellicole che negli anni hanno affrontato il tema e che hanno portato i siciliani a reagire in modi sempre diversi. “La piovra” di Damiano Damiani con Michele Placido che interpretava il commissario Cattani andò in onda per la prima volta nel marzo del 1984 e forse fu la prima vera fiction della tv a trattare l’argomento dal punto di vista dei buoni che lottano contro il crimine organizzato. Non fu ben vista, all’inizio, dai siciliani che negli anni hanno dovuto combattere con lo stereotipo "Sicilia=mafia", uno stereotipo che però purtroppo è ancora molto forte. Il brand “mafia” nel cinema è ancora molto potente ma, per fortuna, ha decisamente cambiato rotta. Dall’esaltazione che spesso veniva fatta dei boss, descritti come degli invincibili capaci di tutto, adesso piano piano, si è arrivati quasi alla loro ridicolizzazione. Il boss di "Iddu" Il film più iconico che parla di mafia è sicuramente “Il Padrino” di Francis Ford Coppola. Portò sul grande schermo le famiglie mafiose italo-americane. Le dinamiche e le radici. Coppola diede il via, di fatto, alla spettacolarizzazione di cosa nostra. L’ultimo film, in ordine di tempo, che tratta dell’argomento è “Iddu”. La pellicola che parla di un periodo della latitanza di Matteo Messina Denaro , il boss morto nel settembre dello scorso anno e che venne arrestato il 16 gennaio del 2023 dopo una latitanza durante 30 anni. Un film che però a Castelvetrano, paese natale del boss, non verrà proiettato. Il proprietario del cinema infatti è Salvatore Vaccarino, figlio dell’ex sindaco di Castelvetrano Antonino che, negli anni ’90, collaborò con i servizi segreti per la cattura del padrino. Con il capomafia intratteneva una corrispondenza. Il boss si faceva chiamare Alessio, Vaccarino invece era Svetonio. Salvatore Vaccarino dice no al film perché, a suo dire, la figura di suo padre viene ridicolizzata nell’interpretazione fatta da Toni Servillo. Il padre che, secondo lui, avrebbe invece fatto di tutto per aiutare lo Stato. Antonino Vaccarino è morto nel 2021 all’ospedale di Catanzaro, dove era stato trasferito dal carcere dove era detenuto e dove stava scontando una condanna per favoreggiamento alla mafia. Un altro punto di vista La percezione della mafia al cinema o in tv da molti anni è, per fortuna, cambiata. Dall’esaltazione degli “anti eroi” si è passati al rendere onore e omaggio a chi ha davvero lottato contro cosa nostra. Una accelerazione nel cambiamento è sicuramente arrivata nel momento in cui è cambiata la coscienza popolare del nostro paese. Le stragi di Capaci e di via D’Amelio hanno, di fatto, tolto il velo di ipocrisia che copriva i rapporti sempre troppo stretti tra mafia ed istituzioni. Hanno rappresentato un dolorosissimo punto di ripartenza nella società civile e anche nel mondo del cinema. I film hanno iniziato a raccontare le vite difficili dei giudici fino a quel momento sempre dimenticate o taciute. I sacrifici dei poliziotti e dei carabinieri che li scortavano e che spesso, troppo spesso, hanno pagato con la vita il loro impegno contro cosa nostra. Un esempio del cambio di passo del cinema è rappresentato da “I cento passi” di Marco Tullio Giordana che racconta la storia di Peppino Impastato, il giovane di Cinisi assassinato nel 1979 dal boss Tano Badalamenti perché aveva avuto il coraggio di attaccarlo attraverso le trasmissioni di “Radio Aut”, la radio che Peppino fondò con alcuni compagni. Fino all’uscita nelle sale del film quasi nessuno, fuori dalla Sicilia, conosceva la storia di Peppino. Poi è arrivato “Il traditore” di Marco Bellocchio che racconta la storia di Tommaso Buscetta, del suo pentimento e del rapporto con Giovanni Falcone.