Ma i migranti ci pagheranno davvero le pensioni?

Per comprendere il possibile ruolo dei migranti nel sostenere il sistema pensionistico, bisogna partire da un dato di fatto: l’Italia è un paese che invecchia rapidamente. Il sistema pensionistico italiano e la sfida demografica Secondo le previsioni demografiche dell'Istat, entro il 2050, oltre un terzo della popolazione sarà composta da persone con più di 65 anni. Questo squilibrio demografico – causato da un basso tasso di natalità e da un progressivo allungamento dell'aspettativa di vita – mette a dura prova il nostro sistema pensionistico, che, va detto, nonostante stia passando dal sistema retributivo a quello contributivo, si basa, a livello di cassa, su un patto intergenerazionale: chi lavora contribuisce al pagamento delle pensioni di chi ha terminato la propria carriera lavorativa. Con sempre meno persone in età lavorativa e un numero crescente di pensionati, il modello attuale rischia di diventare insostenibile. E anche l’idea di incentivare le nascite, ove mai fosse realizzata, svolgerebbe comunque i suoi risultati solo dopo decine di anni, quando questi nuovi italiani diventeranno lavoratori e quindi contributori. Ed è qui che entrano in gioco i lavoratori provenienti dall’estero, gli immigrati appunto, che potrebbero rappresentare, già nel breve periodo, una boccata d'ossigeno per il sistema previdenziale, offrendo una forza lavoro giovane e potenzialmente in grado di pagare i contributi necessari per sostenere il carico pensionistico. I numeri: chi contribuisce al sistema? Attualmente, in Italia i lavoratori stranieri rappresentano circa il 10% della forza lavoro complessiva e, secondo i dati INPS, versano ogni anno circa 8 miliadi rdi euro di contributi previdenziali. A fronte di questi versamenti, però, gli immigrati percepiscono pensioni per circa 1 miliardo di euro, generando quindi un saldo positivo per le casse dello Stato. La ragione di questo saldo positivo è semplice: molti migranti che lavorano in Italia lo fanno per un periodo limitato e spesso non riescono a maturare i requisiti minimi per accedere alla pensione, rientrando nei paesi di origine prima di raggiungere l'età pensionabile. Questo significa che, almeno per ora, il sistema previdenziale italiano beneficia dei contributi versati dagli immigrati senza dover sostenere un carico pensionistico corrispondente. È tuttavia ovvio che questa dinamica non può essere considerata una soluzione strutturale. Se vogliamo che i migranti contribuiscano davvero al sistema pensionistico in modo sostenibile, è necessario che la loro presenza lavorativa sia di lungo periodo e che siano garantite le condizioni per una loro integrazione stabile nel mercato del lavoro. Il nodo dell'integrazione nel mercato del lavoro Il vero problema, infatti, non è solo il numero di migranti che arrivano in Italia, ma la loro capacità di integrarsi nel tessuto economico e lavorativo del Paese. Se i migranti restano intrappolati in lavori informali o sottopagati, la loro capacità di contribuire al sistema previdenziale sarà limitata, se non del tutto assente. Ad oggi, una larga parte della forza lavoro immigrata è, infatti, impiegata in settori a basso reddito come l'agricoltura, l'assistenza domiciliare e il lavoro domestico. Questi settori, pur essendo fondamentali per l’economia italiana, spesso non garantiscono salari e contributi sufficienti a generare un impatto significativo nel lungo termine. Inoltre, la mancanza di politiche efficaci di integrazione e formazione professionale limita le opportunità di crescita per i migranti stessi, impedendo loro di accedere a posizioni lavorative più qualificate e meglio remunerate. Un paragone con altri Paesi Anche altri Paesi europei stanno affrontando la stessa sfida. La Germania, ad esempio, ha adottato politiche di integrazione più aggressive, cercando di attrarre manodopera qualificata dall'estero e favorendo percorsi di formazione e inserimento professionale. In Francia, invece, il dibattito è più polarizzato, con una forte spinta politica verso una regolamentazione più rigida dei flussi migratori, situazione non dissimile a quella italiana. In entrambi i casi, è evidente che non basta accogliere i migranti: è necessario creare un sistema in cui possano realmente contribuire all’economia e, di conseguenza, al sistema previdenziale. Questo, come detto, significa investire in formazione, ridurre il lavoro nero e garantire opportunità di carriera anche a chi arriva da fuori. La questione culturale e politica Va detto che dietro al dibattito su “chi ci pagherà le pensioni” si nasconde anche una questione politica e culturale. In un'epoca in cui l’immigrazione è spesso vista come una minaccia, pensare ai migranti come una risorsa può sembrare un ribaltamento delle prospettive. Eppure, la realtà economica ci dice che senza un flusso continuo di lavoratori giovani, il nostro sistema pensionistico potrebbe andare incontro a una crisi ancora più grave. Questo non significa ignorare i problemi legati all’immigrazione, né le preoccupazioni di chi teme un impatto negativo sul mercato del lavoro o sulla sicurezza. Significa però affrontare la questione in modo pragmatico, riconoscendo che l’invecchiamento della popolazione è una sfida che non può essere risolta con semplici slogan o politiche di sola chiusura. Le possibili soluzioni Se vogliamo davvero che i migranti possano contribuire al sistema pensionistico italiano, è necessario implementare una serie di politiche mirate. In primo luogo, bisogna favorire l'integrazione nel mercato del lavoro, offrendo percorsi di formazione e riqualificazione professionale che permettano ai migranti di accedere a lavori meglio retribuiti e più stabili. In secondo luogo, serve una maggiore attenzione alla regolarizzazione del lavoro: combattere il lavoro nero non è solo una questione di giustizia sociale, ma anche un modo per garantire che tutti i lavoratori, italiani e stranieri, possano contribuire in modo equo al sistema previdenziale. Infine, bisogna promuovere una visione più ampia e inclusiva della società. L’immigrazione non deve essere vista solo come una soluzione al problema delle pensioni, ma come una risorsa per il futuro del Paese. Solo attraverso politiche lungimiranti, capaci di guardare oltre le emergenze del momento, si potrà costruire un sistema in cui i migranti possano davvero contribuire al benessere collettivo, garantendo sostenibilità al sistema pensionistico e, più in generale, all’intera economia italiana.