Per i futuri insegnanti corsi fino a 2.500 euro per l’abilitazione. Protestano i prof

Rimandati a data da destinarsi: questa volta, però, a tornare sui banchi saranno i docenti, secondo il nuovo sistema di reclutamento che entrerà in vigore il 1° gennaio 2025, fortemente voluto dall’ex Ministro dell’Istruzione Bianchi. Per salire in cattedra non sarà più sufficiente conseguire una laurea magistrale – il titolo base per poter intraprendere la carriera da insegnante – né tantomeno risultare vincitori di concorso. Sarà, infatti, necessario conseguire una formazione iniziale abilitante per un totale di 60 crediti, nelle discipline antropo-psico-pedagogiche, nonché nelle metodologie e tecnologie didattiche e linguistiche. Il costo di questi percorsi, che arriva fino a 2.500 euro, è a carico dell'aspirante docente. Una cifra notevole se pensiamo che per le tasse universitarie in Italia – a seconda dell’università e dell’indirizzo – ciascuno studente spende per un intero anno dai 500 ai 2.500 euro. “Si tratta di costi che una persona deve affrontare prima di diventare insegnante e senza avere la certezza di riuscirci – commenta a Sky tg24 Alessandro Marino, portavoce del Movimento Educazione Senza Prezzo – è per questo che stiamo cercando da mesi di creare un fronte unito di docenti. L’obiettivo è ridare dignità al lavoro dell’insegnante, svilita da una serie di politiche che hanno reso complesso, intricato e per certi versi impossibile l’accesso all’insegnamento. Un aspetto questo che ha ripercussioni anche sulla qualità dell’insegnamento”. I percorsi abilitanti: quali sono e a chi sono rivolti I percorsi previsti sono differenti e variano per crediti e platea a cui sono rivolti: - Da 60 CFU: sono destinati a coloro che stanno conseguendo un titolo di laurea magistrale e a laureandi con almeno 180 crediti. - Da 36 CFU: sono rivolti a chi, post concorso della fase transitoria, è già in possesso di 24 crediti conseguiti entro il 31 ottobre 2022. - Da 30 CFU: sono destinati a coloro che hanno tre anni di servizio, a chi è specializzato sul sostegno, oppure è già abilitato su un’altra classe di concorso. I percorsi, che andranno svolti in presenza, prevedono attività di laboratorio e di tirocinio. In quest’ultimo caso, per ogni credito, l’impegno in presenza nei gruppi-classe deve essere di almeno 12 ore. Al termine del percorso, il docente dovrà sottoporsi a una prova finale – che ha un costo aggiuntivo di 150 euro – e che prevede la realizzazione di un elaborato scritto e di una lezione simulata. Una volta superata la prova finale, sarà acquisita l’abilitazione all’insegnamento per la relativa classe di concorso, requisito di accesso necessario per prendere parte ai concorsi. Percorsi abilitanti: un investimento economico e umano “Attualmente si ritiene che per essere docenti ben formati all’insegnamento, siano necessari questi 60 cfu. Un numero notevole di crediti, se pensiamo che una laurea triennale ne prevede 180 e una magistrale 120 – spiega a Sky tg24 Lucia Raggio, attivista del Movimento Educazione Senza Prezzo – Oltretutto, i posti concessi alle università statali sono pochissimi e non coprono tutte le domande. Ciò va a incrementare un vero e proprio mercimonio che c’è dietro all’acquisizione dei titoli. Tutto questo per accedere a un concorso che già di natura è selettivo. Non si può impedire a una persona l’accesso a una professione su base economica. A differenza dei corsi di laurea, in questo caso non sono previste borse di studio né per merito, né per reddito”. Percorsi di formazioni che saranno obbligatori anche per i vincitori dei concorsi banditi con il PNRR – di cui vi abbiamo parlato in un altro approfondimento. Bisognerà abilitarsi entro un anno, dal momento in cui si risulta vincitori della cattedra, pagando la cifra prevista dal proprio piano formativo. Il provvedimento entrerà a regime dal primo gennaio, ma i percorsi di abilitazione a pagamento sono già partiti quest’anno proprio durante il reclutamento dei Concorsi della fase transitoria del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. “Si tratta di un investimento importante non soltanto in termini economici, ma anche in termini umani – continua il prof. Marino – In molti rinunciano a costruire una famiglia a causa della precarietà a cui siamo soggetti. Dover aspettare ogni anno che arrivi una supplenza a settembre, comporta squilibri tra le mura di casa. Abbiamo raccolto diverse testimonianze nel nostro movimento: ci sono docenti che andranno in pensione da precari. Conosciamo un’insegnante che ha ottenuto un contratto a tempo indeterminato solo l’anno prima di andare in pensione. Spesso ci si dimentica che dall’altra parte della cattedra ci sono degli esseri umani. Questa incertezza non fa che ripercuotersi anche sui ragazzi, sulle loro famiglie e sulla qualità dell’insegnamento”. I corsi di formazione non permettono di acquisire punteggio per le Gps, ovvero le graduatorie provinciali di supplenza. L’età pensionabile dei docenti “Generalmente si ritiene che il docente faccia parte di una categoria privilegiata. Chi non ha esperienza diretta del mondo della scuola pensa, ad esempio, che gli insegnanti abbiano tre mesi di ferie pagate all’anno - conclude la dott.ssa Lucia Raggio – Nella mia famiglia ho testimonianza di chi ha dovuto lasciare tutto, in età vicina alla pensione, e cambiare regione, dopo anni di precariato e contratti a tempo determinato, per riuscire a ottenere una cattedra di ruolo. Il vero problema, però, non è tanto la sofferenza delle singole persone, quanto un sistema malato che non funziona. Personalmente non condivido la proposta del MIM, il Ministero dell’Istruzione e del Merito, di alzare l’età pensionabile dei docenti, per ovviare al problema delle cattedre senza copertura. Più si va avanti negli anni, più si perde la capacità di comunicazione intergenerazionale, che resta fondamentale”.

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