Vittime e carnefici: cosa rischiano i medici aggrediti e indagati a Foggia

Vittime e carnefici, al tempo stesso. Devono sentirsi così i venti dipendenti del Policlinico Riuniti di Foggia, medici e infermieri, finiti, loro malgrado, nelle due inchieste aperte dalla Procura sui fatti avvenuti il 4 settembre scorso nel reparto di chirurgia toracica. Una vicenda simbolo, che rappresenta al meglio le difficoltà di una professione in una società nella quale il diritto, sacrosanto, alle cure, viene spesso scambiato con la pretesa di una guarigione certa. Aggrediti e indagati I fatti. Il 4 settembre scorso, una ragazza di 23 anni muore mentre viene sottoposta ad un intervento alla trachea. La reazione dei familiari alla notizia è rabbiosa e violenta: decine di persone giunte da Cerignola, la città in cui vive la famiglia, inveiscono contro medici e infermieri del reparto; alcuni vengono aggrediti fisicamente, altri riescono a trovare riparo in un ambulatorio, dove verrà girato con un cellulare il video, diventato in breve tempo virale, degli operatori sanitari barricati. Pochi giorni dopo, i sindacati organizzano proprio a Foggia una grande manifestazione nazionale di protesta contro le violenze in corsia, fenomeno sempre più allarmante, che si arricchisce ogni giorno di nuove, inquietanti, segnalazioni, da Nord a Sud. Alla mobilitazione partecipano in tanti, e tra loro, ci sono anche alcuni degli operatori sanitari vittime dell’aggressione del 4 settembre. Non sanno ancora, che da lì a qualche ora, la Procura notificherà loro gli avvisi di garanzia per l’omicidio colposo della 23enne di Cerignola. Sono gli “atti dovuti” di una delle due inchieste che i magistrati foggiani hanno aperto sull’accaduto, volendo anche accertare le cause della morte della ragazza, e servono, sostanzialmente, a tutelare gli stessi indagati che potranno così nominare dei loro periti per l’autopsia sul corpo della vittima. Ma il fatto che questi provvedimenti arrivino prima di quelli, attesi ed inevitabili, per l’aggressione subita da medici e infermieri, fa sì che tra gli addetti ai lavori il malcontento cresca. Qualcuno, polemicamente, la definisce “gogna giudiziaria”, in realtà è la giustizia che fa il proprio corso. Parola ai magistrati Il 4 settembre, in una sala operatoria del reparto di chirurgia toracica del Policlinico Riuniti di Foggia, una ragazza di appena 23 anni è morta in circostanze che vanno necessariamente accertate. In ospedale c’era arrivata quasi 3 mesi prima, il 18 giugno, per le gravissime ferite riportate in un incidente con il monopattino avvenuto a Cerignola. La ragazza finisce in coma, nel reparto di rianimazione. Riesce a riprendersi e dopo un passaggio in neurochirurgia e settimane di riabilitazione, il 16 agosto viene trasferita in chirurgia toracica, in attesa di un intervento alla trachea che gli stessi medici foggiani, però, dicono di non poter effettuare. Si sceglie un centro specializzato a Roma, che dà la disponibilità all’intervento per il 13 settembre. Ma la mattina del 4 settembre succede qualcosa che i magistrati dovranno ora cercare di chiarire. I familiari raccontano di aver ricevuto un messaggio dalla 23enne, che in maniera tranquilla riferiva che sarebbe stata operata in giornata a Foggia. I medici, invece, parlano di un imprevisto, e della necessità di intervenire d’urgenza. La ragazza morirà sotto i ferri, per un collasso cardiocircolatorio seguito, come stabilirà l’autopsia, ad una forte emorragia e al collassamento dei polmoni. Il resto proveranno ad accertarlo i magistrati, che intanto lavorano anche sull’altro fronte aperto da questa vicenda: l’aggressione a medici e infermieri, un atto di violenza che nemmeno la morte di una ragazza di 23 anni può giustificare.

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