Vivere nel Bronx di Napoli Est

Il nome gli fu affibbiato - con una certa ironia - dagli stessi abitanti, per la lontana somiglianza con il Bronx di New York. Ma ci troviamo a San Giovanni a Teduccio, estrema periferia orientale di Napoli, e quello che è diventato poi un ghetto nasce dopo il terremoto in Irpinia del 1980. Prende il via da una legge, la 219 del 1981, che diede inizio alla ricostruzione. Nacquero le zone popolari, poi diventate aree problematiche, tra camorra, degrado e disoccupazione: come Parco Verde di Caivano, una parte di Scampia, Ponticelli. Il vero nome del Bronx di Napoli Est è Taverna del Ferro, come la storica strada dell’ex quartiere operaio poi caduto in una profonda crisi con la de-industrializzazione. I palazzoni del Bronx erano stati studiati come una soluzione temporanea, che nel tempo avrebbe dovuto cedere il passo a nuovi alloggi. Sono passati quarant’anni. Storie simili, quelle dei ghetti di periferia; trame tutte diverse, per come si sviluppano. La storia del progetto Le due file di palazzoni, cosiddette “stecche”, sono vicinissime tra loro: all’interno ci sono 360 abitazioni. La luce filtra a malapena. Le progettò Pietro Barucci: l’idea alla base di queste enormi costruzioni, come anche per altre periferie nate all’epoca, era quella di ricreare delle comunità “autosufficienti” che potessero essere a stretto contatto tra loro; compresi servizi, scuole ed esercizi commerciali. Come tutti sappiamo, le cose sono andate molto diversamente. Dopo l’emergenza post sisma, queste periferie sono state lasciate a se stesse. I palazzoni di San Giovanni a Teduccio si sono svuotati e poi riempiti di nuovo, sia di persone assegnatarie di casa popolare, sia di persone in emergenza abitativa che hanno occupato, nel tempo, abitazioni lasciate vuote. Intorno, il deserto: materiale e di opportunità. L’amarezza è acuita dal fatto che San Giovanni a Teduccio è un quartiere pieno di luce, che si affaccia direttamente sul mare. Da qualche anno sorgono – nel lungo tentativo di una riqualificazione - la Apple Academy e la sede dell’università. Eppure, resta povero e senza servizi. Il degrado del Bronx di Napoli Est Odore di fogna: è quello che accoglie chi arriva, soprattutto quando piove. E pantani d’acqua nei sottoscala. La rete idrica non regge, i contatori dell’elettricità sono saltati in più punti. Da poco è terminato un intervento sulle facciate per evitare che calcinacci cadano sulle persone in transito. Ma i residenti dicono che non sembra sia cambiato molto. Dei locali commerciali, una volta aperti, restano solo le insegne, anch’esse deteriorate dal tempo. Sembra un paesaggio postindustriale. E invece qui abitano le persone. Più di mille. Negli anni malattie, rischi e degrado. E in effetti sono sotto gli occhi decenni di abbandono e cattiva manutenzione. I piani di ogni palazzo sono otto, gli ascensori funzionano solo in parte, ulteriore beffa per una popolazione che è invecchiata dentro questi alloggi. In altri casi, entrare in un ascensore può essere un’esperienza da brivido, visto lo stato in cui si trovano. Ai piani, la situazione non è molto diversa. Un rifacimento dei tetti, terminato da poco, dovrebbe aver messo la parola fine alle infiltrazioni di acqua dall’alto. Ma l’acqua piovana continua a entrare dalle facciate di questi palazzi gruviera. Molte famiglie convivono, esasperate, con pareti umide e annerite. Continua a piovere in casa. Ma le cose sono “persino” migliorate: fino a un po’ di anni fa, nei palazzi c’era anche amianto, che ha contribuito a determinare sofferenze per quella popolazione già segnata da condizioni di vita precarie e criminalità. La camorra, per molto tempo, ha spadroneggiato persino nel decidere chi poteva entrare nelle case. La battaglia per la riqualificazione Camorra, degrado, disoccupazione, dispersione scolastica: la strada è tutta in salita. Da anni, c’è la battaglia del Comitato “Ex Taverna del Ferro” per un quartiere diverso. Che adesso è finalmente più vicino, anche se c’è ancora da aspettare e da lottare perché veda la luce. Dal 2017, le testate del corpo nord delle “stecche” ospitano i murales realizzati dall’artista Jorit Agoch, i più famosi sono i volti di Ernesto Che Guevara e Diego Armando Maradona. L'opera fu realizzata per sostenere la rinascita di quelle zone. Nel 2018, grazie a una serie di incontri tra il comitato e l’ex sindaco di Napoli Luigi de Magistris, nacque l’idea di abbattere e ricostruire le abitazioni, progetto che poi l’amministrazione guidata da Gaetano Manfredi ha portato avanti ottenendo una buona parte di finanziamento grazie ai fondi del PNRR. Un risultato ottenuto è anche quello della clausola sociale, così come sta avvenendo anche nelle altre due periferie coinvolte in progetti di riqualificazione con il PNRR, Scampia e Ponticelli: cioè l’utilizzo di manodopera reclutata tra gli abitanti. Quello del Bronx è un investimento di circa 106 milioni di euro per una rigenerazione urbana complessiva che prevede palazzine basse, parco urbano e servizi, e si articola in quattro fasi fino al 2027: la demolizione del terrapieno con le attrezzature sportive e i garage a nord e a est; la realizzazione di 180 alloggi con contestuale trasferimento degli abitanti e demolizione conseguente della “stecca”; la realizzazione di altri 180 alloggi con il trasferimento degli abitanti e la demolizione dell’altra “stecca”; la realizzazione del parco urbano, con orti, spazi per lo sport e servizi. Il cantiere, dopo vari stop and go e un’interdittiva – per il momento sospesa – alla ditta aggiudicataria, è ripartito da pochi giorni. Il cronoprogramma è serrato e bisogna essere attenti a rispettarlo. È stato effettuato un censimento e, dopo una delibera, è stata definitivamente sanata la differenza tra chi era legittimo assegnatario di casa popolare e chi aveva occupato, avendo però i requisiti per ottenere un alloggio popolare. Uno dei nodi è quello del trasferimento degli abitanti, anche alla luce del terribile incidente avvenuto alla vela celeste di Scampia, con il crollo di una passerella. Il timore che i lavori in corso possano aver contribuito a determinare quel crollo circola tra gli abitanti di Scampia ma anche tra quelli delle case popolari del Bronx, simili per struttura. E allora, tra le richieste del comitato c’è quella di trasferire in blocco gli abitanti e solo dopo cominciare i lavori di demolizione della “stecca”. L’altro nodo è quello di tempi e modalità: fare presto, ma anche fare bene. Perché il ghetto diventi solo un ricordo doloroso e si possa ripartire, finalmente, verso un orizzonte aperto.