Napoli, la dottoressa aggredita racconta: "Una spedizione punitiva"

Trema la voce a Simona Esposito , la giovane dottoressa che è stata aggredita nel presidio di guardia medica di Melito di Napoli la sera di martedì 17 settembre. Il prefetto del capoluogo partenopeo ha voluto incontrare lei e il suo collega, entrambi presi di mira da cinque persone - tre donne e due uomini - perché non avevano ritenuto necessaria una visita domiciliare a una loro parente con la febbre. Entrambi non hanno voluto farsi riprendere da telecamere e fotocamere per la paura di ritorsioni. L'avvocato Maria Napolano, che assiste le due vittime ed è in prima linea per quanto riguarda le aggressioni ai sanitari, si riallaccia proprio a questo timore e invoca una maggiore presenza dello Stato: "L'attenzione verso la categoria dei medici, enormemente sotto attacco, deve restare sempre alta per scongiurare episodi come questi". Uno dei presunti aggressori, tutti identificati, è stato denunciato per lesioni ed è in stato di libertà dopo quella che è stata definita una "spedizione punitiva". In base a quanto ricostruito, i familiari dell'ammalata sarebbero tornati una seconda volta con altre persone e avrebbe avuto inizio l'aggressione. Con coraggio, la dottoressa e il collega hanno realizzato un video che riprende parte delle violenze. Immagini che sono state poi diffuse, tutelando l'identità delle vittime. Se la sente di ripercorrere cosa è successo quella sera? Prima di tutto voglio ringraziare i colleghi che, condividendo il video, hanno dato risonanza all'accaduto e ieri è venuto il prefetto, ha messo una guardia nel presidio e ci ha garantito un sistema funzionante di videosorveglianza nonché strumenti di chiamata immediata delle forze dell’ordine, anche se non sappiamo per quanto tempo queste misure saranno adottate. Loro erano in sei e noi eravamo in due. Ci siamo difesi da soli l'un l'altro come meglio abbiamo potuto, in un presidio fatiscente, terra di nessuno, in una strada dove già alle nove di sera se urli o chiedi aiuto non ti sente nessuno. Hanno organizzato una vera spedizione punitiva, ci hanno indotto ad aprire con l’inganno e hanno chiamato i rinforzi per farci del male. Ricorda cosa è accaduto dopo? Mi hanno prima ingiuriato con parole offensive, mi hanno strattonata e messo le mani alla gola. Per fortuna sono qui ma poteva non essere così. Hanno picchiato il mio collega, lo hanno colpito con pugni in testa, sedia al costato, pugni sul corpo. Eravamo intrappolati, non c’erano vie di uscita alternative e forse se non avessimo girato quel video chissà se si sarebbero fermati. Vorrei che ciascuno chiudesse gli occhi anche solo un istante per provare ad immaginare tutto ciò: una furia che avrebbe potuto ucciderci. Non è un pronto soccorso dove c’è tanta gente, con un drappello della polizia, con persone che vanno e che vengono. Le posso assicurare che la paura divora e il terrore trafigge, se chi leggerà riuscirà a sentire quello che abbiamo sentito noi allora avrò raggiunto, almeno parzialmente, lo scopo di queste mie parole. Si è sentita sola? Siamo stati soli, è un dato di fatto. E purtroppo non credo che si farà abbastanza per contrastare questo fenomeno. Ai miei colleghi chiedo: se sapete di medici che fanno i turni di notte, in presidi isolati o potenzialmente in pericolo, andate a trovarli, non lasciateli soli. Chi mi conosce lo sa, vado sempre in guardia a trovare i colleghi, a portare un dolce, a fare quattro chiacchere. Anche per poco, so che non sono ore pagate e che togliete tempo a voi stessi e alla famiglia, ma dev’esserci solidarietà tra noi. Posso fare un appello ai medici? Certo. Che tutta questa solidarietà che ora ci pervade si trasformi in qualcosa di più della condivisione di un video. Passate dai vostri amici e colleghi che fanno i turni di notte e non lasciateli soli come eravamo io e il mio collega. Tornerà al lavoro? Al lavoro non so quando e se ritorneremo, per il momento siamo ancora troppo scossi.