Giove, il pianeta-scuola dove in prima elementare già si scrivono libri

Una classe di 16 bambini e bambine si siede al banco nel primo giorno di scuola elementare. Qualche lacrima, forse, per aver lasciato a casa i genitori – alcuni devono fare chilometri in auto per raggiungere l’istituto scolastico di Giove – e qualche sorriso accompagnano le prime ore. Fin qui, tutto al solito. Poi, il maestro chiede a ciascuno di loro di raccontare una storia: la prima che balena in mente. Qualche giorno dopo, iniziano le lezioni di lettura e scrittura. Letta qualche frase, la studentessa più rapida esclama: “Ma il libro è quello che avevo pensato io!”. A Giove, comune di 1.800 abitanti nel cuore verde dell’Umbria, la scuola inizia con un paradosso. “Sono bambini analfabeti a scrivere i loro stessi libri di testo – spiega il maestro Franco Lorenzoni – così li introduciamo al mondo delle storie vicine e lontane”. Fuori dalla caverna Circondati dal bosco, gli studenti entrano in classe senza avere mai idea di ciò che li attende. Raramente trovano le sedie rivolte verso la cattedra, più spesso sono in cerchio “perché è interessante ciò che dice il mio compagno”. E perché in cerchio si ascoltano meglio i libri, anche i più adulti. Un esempio. “Il mito della caverna di Platone si può leggere benissimo in quarta elementare senza cambiare una virgola”, spiega Lorenzoni dalla sua pluridecennale esperienza. E, come in un simposio greco, l’incontro non può concludersi senza un dibattito che Lorenzoni registra e trascrive con risultati sorprendenti. “È un patrimonio da cui attinge la classe intera. Una volta abbiamo parlato della differenza tra noi e gli uccelli, che non hanno confini e non hanno passaporto. Quell’anno, a Giove, erano arrivati dei migranti”. E non tutta la comunità li aveva accolti a braccia aperte. “Avere questo patrimonio di dialoghi è una ricchezza che poi mettiamo in scena. Il teatro dà corpo alla conoscenza e i bambini, così, non si scorderanno mai quelle storie”. E non si scorderanno che anche gli uomini, a volte, possono vivere come gli uccelli. I "fuorilegge" sono gli altri Poco importa allora se lo spopolamento ha costretto Giove alle pluriclassi. “Sono una settantina di bambini in totale e ogni anno i numeri calano. Ma bisogna essere chiari: lavorare insieme a età differenti non mette i bambini in difficoltà ad apprendere. Nelle zone interne d’Italia è una pratica diffusa e un terreno di sperimentazione interessante”. L’importante è starci il minimo indispensabile in classe. “Sono claustrofobiche, si rimbalza sulle pareti”. Per questo, in mancanza di un bosco umbro, Lorenzoni suggerisce di cercare spazi verdi cittadini per rinfrescare la didattica. “Ho visto tantissime volte i bambini aprirsi al dialogo e all’ascolto in un luogo aperto. Lì, il silenzio smette di essere una punizione”. Ma i paradigmi si possono rompere anche dall’interno della classe: “Un nostro alleato è il tempo. Se facciamo di corsa, mettiamo solo ansia e stress. Dobbiamo scegliere”. E così, invece di studiare tutti i popoli dell’antichità, gli studenti di Giove ne conoscono uno soltanto. Benissimo. “Facciamo un quadro di civiltà, studiamo direttamente i documenti e dialoghiamo molto su questo”. A chi lo accusa di eccessivo sperimentalismo, Lorenzoni risponde carte alla mano. “Per legge si dovrebbe lavorare come noi a Giove. I programmi non esistono più dal 2012: esistono solo le indicazioni nazionali per il curricolo, che forniscono obiettivi comuni e obblighi chiari. Chi fa solo lezione frontale e semplicemente insegna e interroga è fuori legge”. Insegnanti al banco Una formula per la scuola che verrà, dunque, arriva da una delle tante aree interne italiane. A una decina di chilometri da Giove, Franco Lorenzoni ha fondato anche la casa laboratorio Cenci. “Lì ospitiamo ragazze e ragazzi, dalle elementari alle superiori, per fare degli stage residenziali di 3-5 giorni”. Lì, si fa “tutto quello che non è possibile fare a scuola”. E, soprattutto, si insegna agli insegnanti. Non solo permettendo loro di osservare i propri studenti, ma anche formandosi direttamente in campi laboratoriali ad hoc. “Bisogna investire molto sulla formazione, dobbiamo imparare a preparare i materiali, a selezionarli e a ragionarci sopra”. E ancora: “Serve ricerca e collaborazione con le Università”. Con queste premesse, poi, anche ai docenti si potrà riservare il giusto riconoscimento, perché “i buoni insegnanti lavorano un casino”. Parola di Franco Lorenzoni.

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