L'Italia dei Siti di interesse nazionale, dove si muore per una boccata d'aria

Ai piedi del parco dell’Etna, in provincia di Catania, sorge Biancavilla. Un comune di 22mila anime interamente costruito con la roccia del monte Calvario innervata di fibre assimilabili all’amianto. Nelle case di Biancavilla, si rischia la morte solo piantando un chiodo. Lungo la costa di Crotone, anche una passeggiata potrebbe rivelarsi fatale per le 500mila tonnellate di rifiuti pericolosi abbandonate fronte mare. Tutti residui di lavorazione di ex-fabbriche, velenosi e da bonificare. Nella baia di Muggia, a Trieste, metalli e idrocarburi contaminano acque superficiali e falde. Provengono dalla Ferriera di Servola, l’industria friulana che alla fine dell’800 si specializzò nella produzione di ghisa, e ancora sono accumulati in “discariche non controllate”. Per chi nasce nell’Italia dei Siti di interesse nazionale la vita è più difficile. Sono luoghi in cui l’aria, la terra e le acque sono avvelenate e cancerogene. Il ministero dell’Ambiente ha riconosciuto le loro criticità ambientali ma le bonifiche sono spesso in ritardo – non sempre per negligenza – con gravi conseguenze per la popolazione residente. I numeri della strage Non c’è dubbio: l’accumulo di amianto e altri rifiuti cancerogeni è responsabile di ospedalizzazioni e morti in tutta Italia. Più difficile è quantificarle. Intanto, un dato certo: i Sin al 2023 sono 42 e occupano una superficie di circa 178.000 ettari sulla terra e altri 78.000 sul mare. Per un totale, non irrisorio, dello 0,6% dell’intero territorio nazionale. Dove si trovano aree industriali dismesse, in corso di riconversione o persino in attività. Ma anche siti interessati, fino al 1993, da attività produttive ed estrattive di amianto. O ancora porti, ex miniere, cave e discariche . In questi luoghi, l’esposizione a emissioni e falde contaminate provoca un aumento di tumori maligni del polmone, mesoteliomi della pleura, cancri alla vescica, malattie respiratorie, linfomi non Hodgkin e altre patologie gravi. Ad accertarlo è il VI rapporto Sentieri, redatto nel 2023 dalla rivista scientifica “Epidemiologia e Prevenzione”, che ha stimato per il quinquennio 2013-2017 8.432 morti in eccesso nelle aree dei Sin. Vale a dire, oltre 8mila persone che, nascendo altrove, non avrebbero perso la vita. Le ospedalizzazioni, invece, fra il 2014 e il 2018 hanno fatto registrare un eccesso del 3% nelle stesse zone. A farne le spese sono anche i più giovani: in quattro siti sono stati osservati eccessi della mortalità generale nel primo anno di vita e in altrettanti per la fascia 0-29 anni. Utile sottolineare che se la malattia non fa sconti a nessuno, le discariche sì. Spesso salvando i più ricchi. Sempre secondo il VI rapporto Sentieri, in ben nove Sin si riscontrano fragilità socioeconomiche e solo uno di questi si trova nel Nord Italia. Tradotto: in molte aree contaminate, soprattutto al Meridione, a rischiare l’esposizione sono le fasce più povere della popolazione. Bonifiche in ritardo Ad avvelenare è il contatto con rifiuti che tardano a essere bonificati, con responsabilità - spesso da accertare – che vengono scaricate fra istituzioni governative, enti locali e privati. Ripartiamo dagli esempi già fatti. A Biancavilla, dove nessun immobile è al sicuro dall’amianto, restano circa 4mila abitazioni private che attendono i fondi per la decontaminazione. Decine di familiari non hanno mai ricevuto – e forse mai riceveranno – un euro di risarcimento. E, a 27 anni dall’amara scoperta dell’asbesto negli edifici cittadini, la bonifica del monte Calvario, responsabile della morte di 70 persone per il solo mesotelioma pleurico, è stata appena avviata. Non va meglio a Crotone dove, nonostante gli 87 milioni stanziati dal ministero dell’Ambiente per la bonifica del sito e i 200 dichiarati da Eni-Rewind , il Tenorm e i metalli pesanti dell’ex Pertusola e dell’ex Fosfotec continuano a intossicare la popolazione. Situazione complicata dall'obbligo, previsto dal Provvedimento autorizzativo unico regionale, per Eni-Rewind di portare i rifiuti fuori dalla Calabria. Ritenuto in prima battuta "illogico" dall'azienda. Registri azzerati Pasquale Montilla, oncologo e consulente scientifico dell’Osservatorio nazionale amianto, ha assistito negli anni decine di malati per esposizione a contaminanti nel Calabrese. Lo contattiamo al termine di una visita a una giovane paziente affetta da pleurite idiopatica. “Sono rimasto scioccato”, spiega, “era piena di metalli tossici nella pleura”. Ogni giorno il dottore tocca con mano le piaghe inflitte dai Sin. “Per esempio, nell'area di forte esposizione di Crotone-Cassano-Cerchiara c’è un eccesso di tumori al fegato, polmonari e del distretto mammario”. Per far fronte alle ospedalizzazioni e alla mortalità “di troppo”, essendo nota da anni l’origine dell’esposizione, servirebbe uno screening rapido ed efficace sulla popolazione. Ma in Calabria, secondo il dottore, non è possibile: “C’è stato un fallimento. I registri dei tumori dovrebbero aiutare ma sono stati azzerati per via delle forti criticità ravvisate. E questo ha determinato l’incapacità di gestire e di valutare il rischio”. Cure sempre più efficaci Quantificare l’impatto dei Sin sulla salute è complesso perché molti fattori incidono sull’aumento dell’incidenza dei tumori: secondo un rapporto dell’International Agency for Research on Cancer , nel 2040 a livello globale i cancri cresceranno del 47% rispetto al 2020. Ma sulla loro nocività non ci sono dubbi: “In queste aree gli agenti cancerogeni accelerano e amplificano il danno anche in età giovanile”, spiega il dottor Montilla. Così come non ci sono dubbi, però, sull’aumento dei tassi di sopravvivenza: “Principalmente è grazie all’intervento, sempre più efficace, dell’immunoterapia su alcuni tumori”. Al palo, con tassi di sopravvivenza anche inferiori al 10% nei 5 anni, restano il mesotelioma pleurico e le altre patologie asbesto-correlate. Geolocalizzato come il Covid La prima cura è la prevenzione. E la soluzione è il monitoraggio. “Se riconosco nelle aree dei Sin una fascia di popolazione a rischio – propone Montilla – e identifico alcune mutazioni e le studio, posso anticipare lo sviluppo di una patologia oncologica”. In altre parole, si può costruire una mappa e geolocalizzare il rischio: “L’abbiamo vista con il Covid l’applicazione, si può fare lo stesso a seconda di dove si spostano i soggetti”. Quella dell’oncologo suona quasi come una provocazione, laddove ancora i registri dei tumori faticano a essere efficienti. Ma è senz’altro il proposito verso una prevenzione maggiore e capillare: “Pensiamo alla terra dei fuochi: in aree dove gli agenti chimici tossici possono far sviluppare patologie neoplastiche è possibile farlo”.