Sul web c’è il lavoro del futuro, ma è precario. Davide Marra: “Un oceano pieno di pesci”

È salito agli onori delle cronache per la conduzione di qualche puntata del podcast Muschio Selvaggio al fianco di Fedez, in qualità di sostituto non sfigurante di Luis Sal. Eppure, Davide Marra è stato un istruttore di palestra, un giocatore professionista di carte Magic, un analista cinematografico, un content creator , un podcaster e – infine – un padre. Il suo è il tipico cursus honorum camaleontico da influencer. Una carriera che, secondo le rilevazioni dell’Osservatorio nazionale sull’influencer marketing, attira circa un milione di italiani. I dati raggruppano i soli profili Instagram attivi che superano la soglia dei 1.000 follower – alcuni li chiamano “nano-influencer” – e non tracciano il numero di chi invece, dal rapporto con la propria community su varie piattaforme, riesce a ottenere uno stipendio stabile. E non potrebbe essere altrimenti perché i content creator sono creature ibride. Alcuni sono “veterani” che hanno vinto da giovanissimi una fama mai cercata, altri sono professionisti del mondo 2.0 che sbarcano felicemente sul web, altri ancora inseguono dalla propria camera di adolescente la chimera di un futuro da web star. Quando poi le entrate si legano a una fama giunta improvvisamente, il rischio di vivere i “15 minuti” di wahroliana memoria è dietro l’angolo. “Ma il web è ovviamente il futuro”, sentenzia Davide Marra mentre richiama sua figlia piccola in un momento di pausa dal lavoro. Di lei si prende cura grazie a una professione che è riuscito a rendere proficua nel tempo: “Sono un operaio del web. La notorietà non ti sostiene a lungo da sola: per avere risultati a lungo soddisfacenti, anche economici, servono preparazione e studio. Specialmente in un mondo veloce come quello del web”. E di quel mondo, fra un abbraccio e una vocina alla figlia, lo facciamo parlare. Prima di tutto, un distinguo: hai lavorato per anni nel mondo analogico ma adesso operi soprattutto online. Si può parlare di professionista del web o i social sono solo uno strumento? Il lavoro ha sempre la stessa definizione: fare qualcosa e pagare le tasse secondo la legge. Poi, per quanto riguarda me, sono vere entrambe le cose. Da una parte, c’è un mestiere che prima veniva fatto su altri mezzi e ora viene svolto su internet. Faccio riferimento al mio lavoro di analista e divulgatore cinematografico. Non sarei riuscito a fare il critico sui giornali, dove ti pagano 2 euro al pezzo se va bene. L’unico modo per fare questo mestiere oggi è il web, la carta stampata è un altro mondo. Dall’altra parte è vero che, per come lo faccio io, il podcaster è un lavoro nato interamente sul web. Non è un’eredità della radio tradizionale? È un’evoluzione. Ci sono lavori che esistono da tanto e adesso hanno senso solo se fatti sul web. Anche il cinema era considerato il teatro dei poveri. Il vecchio motto di Youtube recitava “broadcast yourself”, “trasmetti te stesso”. Dietro a quel credo, migliaia di ragazzini sono riusciti a trasformare in pochi anni le loro passioni in un lavoro. È ancora possibile? Molti giovani hanno trovato e ottenuto opzioni sul web che non avrebbero mai potuto avere altrimenti. Il web è ancora naturalmente il futuro, ma le persone non capiscono che effettivamente si tratta di un lavoro estremamente impegnativo. La gigantesca fama che puoi ottenere va saputa mantenere nel tempo, adattandosi. La differenza rispetto al mondo analogico è la velocità del cambiamento. In effetti grandi influencer, che solo l’anno scorso raggiungevano milioni di spettatori, oggi parlano a qualche migliaio – per non dire centinaio – di persone. È un mestiere troppo precario o persino già finito? Assolutamente no, non sta finendo. Ma molti grossi influencer non hanno capito che quel successo non è per sempre. Farà storcere il naso, ma io sono un operaio del web: tutto quello che ho fatto dal 2016 in poi è stato possibile grazie all’aggiornamento e allo studio. La notorietà non ti sostiene nel tempo da sola nel rendere stabile questo lavoro. Parliamo di soldi. Le cronache ci parlano di influencer indagati per evasione fiscale. Ci sono, da parte vostra, difficoltà nell’inquadramento erariale della professione? Queste cose stanno migliorando e accelerano i controlli. In molti casi correttamente, ma talvolta in modo aggressivo perché non si tiene conto che molte situazioni non sono state ancora normate. Ma credo che questo si normalizzerà nell’arco di poco tempo. Molte entrate arrivano dalle sponsorizzazioni di marchi. Quanto influiscono i brand sulle scelte creative degli influencer? Dipende da come strutturi il tuo business. Io, per quanto riguarda Twitch , ricevevo le maggiori entrate dagli abbonamenti spontanei degli spettatori e dalle sponsorizzazioni con le aziende. Non per questo, però, ho mai avuto limitazioni di nessun tipo, perché mi sono costruito per non essere schiavo delle aziende. L’importante è l’onestà intellettuale: il mio pubblico intuisce e non apprezza, ad esempio, se sponsorizzo un film che non mi piace. E dalle attenzioni del pubblico, invece, ti senti dipendente? No, mi sento completamente responsabile verso il mio pubblico. È diverso. Non devo mai fare le scelte che i miei spettatori si aspettano. È successo quando ho abbandonato il progetto Cerbero Podcast su Twitch con 8.000 abbonati e quando sono andato a Muschio Selvaggio con Fedez. In molti hanno storto il naso ma non sono stati salti nel vuoto casuali. Fuori dal web, puoi fare la stessa cosa anche per vent’anni di fila, ma qua è difficile perché nuotiamo in un oceano che ogni giorno ospita milioni di pesci diversi. Per molti colleghi questa pressione si traduce in ansia, depressione e burnout. È un lavoro che mette a dura prova la salute mentale? Ne parlo da tempo. Questo rischio è altissimo, in primis, per l’assenza di un trascorso storico. I primi veri grandi influencer italiani risalgono solo a una decina di anni fa ed è pochissimo tempo per un lavoro. Per di più, spesso erano improvvisati. Molti meccanismi si innescano perché non sai che, nel momento in cui diventi famoso, quella roba non durerà per sempre. In tv era diverso: bene o male, superato il muro di gomma, tutti riuscivano a rimanere nella nicchia dei famosi. Sul web non è così, può diventare famosa una persona ogni dieci secondi. L’hanno definita l’era del “main character”, in cui ogni giorno un personaggio diverso è illuminato dalle luci della ribalta. Come riuscite a gestirla? Non è facile perché siamo costantemente sotto i riflettori. Non abbiamo un momento di pausa. L’errore è pensare che, da famosi, si risolvano i problemi. Era lo stesso con la tv ma era più facile riconoscerlo: il suicidio di un cantante, per esempio, faceva moltissimo clamore. Oggi la fama è più facile da raggiungere e ci sono moltissimi influencer depressi, ma non lo sappiamo. Molti casi sono venuti fuori nell’ultimo anno e mezzo ma magari lavorano sul web già da quattro o cinque anni.