Decreto Caivano, un altro giro di vite per i minori violenti che affollano le carceri

Al 30 aprile 2024 erano 571 i ragazzi e le ragazze recluse negli Istituti Penali per Minorenni italiani. Ad oggi sono 7 su 17 gli IPM che vedono un numero di presenze superiore ai posti disponibili. Nei primi quattro mesi del 2024 c'è stata una crescita di 76 unità per un tasso di oltre il 15%. Sarà il 2024 a stabilire se il Decreto Caivano con il suo inasprimento delle pene ha portato un aumento delle presenze. Di certo le brandine appoggiate nelle celle degli IPM, restituiscono un colpo d’occhio che lascia pochi dubbi. I direttori degli IPM poi spiegano che mai prima d’ora si era registrato un sovraffollamento nelle carceri minorili, spesso sostituite con pene alternative in comunità. Ma non è solo colpa del Decreto Caivano, ripetono. C’è un diffuso aumento generalizzato della violenza da parte dei minori. Ed è un fenomeno nuovo, ancora poco studiato. Gli effetti del decreto Caivano Il Decreto Caivano, così chiamato perché approvato a seguito delle aggressioni a due minorenni da parte di alcuni coetanei, inserisce, tra l’altro, il daspo urbano, che vieta l’accesso dei minori di almeno quattordici anni ad alcune aree particolari della città. Aumenta inoltre da tre a quattro anni la pena nel caso di porto non giustificato di armi o di strumenti atti ad offendere, mentre la soglia edittale per il traffico e la detenzione di sostanze stupefacenti è compresa da un minimo di un anno ad un massimo di cinque. Il Decreto Caivano nasce per contrastare il fenomeno delle baby gang e l'abbandono scolastico e mira a reprimere il disagio giovanile, la povertà educativa, la criminalità minorile e tutelare la loro sicurezza in ambito digitale. Le famiglie saranno ritenute responsabili, e rischiano fino a 2 anni di carcere, per le assenze ingiustificate dei figli. Oltre i numeri è un dato di fatto l’aumento dei minori violenti. Ce lo racconta la cronaca con episodi quasi settimanali. Un fenomeno nuovo nelle sue modalità, e ancora quasi inesplorato nelle sue cause. "Violenza che non risponde più a nessuna logica" “Si tratta” spiega il criminologo Silvio Ciappi “di un cambiamento qualitativo che va di pari passo anche con il cambiamento della condizione giovanile. La spiegazione del reato violento da parte dei giovani non risponde più alle classiche cause con le quali fino a qualche tempo fa si interpretava l'atto violento come la disoccupazione, la nascita in quartieri poveri o degradati, O meglio queste cause vanno a interpretare una parte degli agiti violenti, quelli dettati magari più da cause sotto culturali. Ma da almeno una quindicina d'anni ciò che è cambiato è il fatto che l'atto violento è appannaggio di tutte le classi sociali, non vi è più una variabile socioeconomica a fare da discrimine. Si assottiglia ancora di più la differenza tra ragazzi e ragazze nella commissione di atti violenti e spesso ancora di più manca una vera e propria motivazione. L'atto violento non sembra rispondere più a nessuna logica e anche noi psicologi o psichiatri o criminologi che dobbiamo interpretare l'atto deviante spesso ci troviamo davanti a un muro. Spesso le categorie con le quali interpretavamo l'atto delinquenziale o l'atto violento sono saltate. È difficile ora trovare anche una base psicopatologica che possa, come dire, tranquillizzare l'altra parte di società e dirci “no ma mio figlio non è così” perché se guardiamo i crimini commessi da questi ragazzi dobbiamo interrogarci sul chi era quel ragazzo il giorno prima di aver commesso quel reato. E se andiamo a vedere in profondità è un ragazzo che assomiglia molto ai nostri ragazzi: frequenta spesso le scuole che frequentano i nostri ragazzi e spesso anche il livello socioculturale è abbastanza alto”. Il branco che comanda Dunque nei delitti commessi dai giovani non ci sono più le logiche sotto-culturali criminali per le quali vale la vecchia criminologia, ossia la vecchia spiegazione del crimine. “C'è una differenza geografica” spiega ancora Ciappi “sul come vengono commessi questi reati. Ossia, sono diversi i reati che vengono commessi al nord piuttosto che quelli al sud. Al sud si uccide ancora per cause sotto-culturali, per l'appartenenza a determinate bande criminali o per il fatto di vivere in quartieri degradati della città o ancora per il fatto di avere avuto tutte quelle condizioni di vita che spesso predispongono in qualche modo all'agito violento. Al nord si uccide più per una rottura. Io credo che due delle motivazioni siano la noia e la vergogna. In questo tempo in cui tutti sono immersi nella società dei like occorre essere prestanti, omologati e facenti parte di un benessere collettivo nel quale il dolore e la sofferenza scompaiono. E siccome quando parliamo di emozioni o di empatia o ancora di tirar fuori ciò che veramente un ragazzo sente oggi, è sempre più difficile perché la vita fuori è troppo caotica e i rapporti interpersonali sono cambiati. La società ci vuole iper-prestanti e il criterio classico di colpa viene meno e va a sostituirsi invece quello classico della vergogna. Nella società nella quale sono immersi i ragazzi la trasgressione è il fatto di essere fatti fuori dal gruppo, dal branco”. Dunque il branco che comanda, il branco che spinge fino al limite della rottura delle regole. E infrangerle non è più un tabù per i ragazzi che molte volte non si rendono nemmeno conto della gravità dei reati che hanno commesso.

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