Aveva 14 anni quando è stato liberato da Auschwitz-Birkenau dopo aver perso la sorella, il papà e tutti i suoi parenti. Per 60 anni ha vissuto nel silenzio del suo dolore. Poi, durante un viaggio ad Auschwitz nel 2005 con un gruppo di studenti, Sami Modiano ha compreso l'importanza e il valore della testimonianza. Negli ultimi 15 anni la sua missione è stata questa: raccontare ai giovani per non dimenticare la Shoah
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Samuel Modiano è un superstite dell'Olocausto italiano, sopravvissuto al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Quando è uscito dal campo di concentramento aveva 14 anni. A Birkenau muore la sorella, il padre e tutta la famiglia. Quando arriva in Italia, a Roma alla stazione di Trastevere, Sami Modiano viene accompagnato all’ospedale San Michele. Davanti alle nostre telecamere guarda una foto alle sue spalle. È lui in quei tempi a Ostia, dove lo hanno portato per curare le sue ferite interiori, i suoi dolori, i drammi che ha vissuto. Gli orrori che ha visto con i suoi occhi. Ora che ha 91 anni dice: “Nessuno esce da Birkenau. Anche se sopravvissuto io sono ancora lì”.
Il senso di colpa e poi la svolta
Racconta che per tanto tempo si è sentito in colpa. “Perché io? Perché gli altri sono morti e io sono ancora vivo?” Per anni ha vissuto nel silenzio, nel dolore struggente del ricordo. Poi, convinto da Piero Terracini, suo amico, sopravvissuto anche lui ad Auschwitz, nel 2005 dopo 60 anni torna nel campo di sterminio dove è stato prigioniero per 7 mesi. Insieme a lui una scolaresca. Ritornare lì gli ha fatto rivivere gli stessi attimi, le stesse paure, lo stesso orrore. Racconta di aver pianto e di aver incominciato a parlare, a raccontare. E voltandosi si è accorto che i ragazzi che erano con lui piangevano. Tutti. Così ha capito che la sua missione doveva essere quella: raccontare, ricordare affinché nessuno possa mai dimenticare quello che è successo. Tutti gli innocenti che sono morti. Tutti i crimini che sono stati commessi. Brutalmente e senza pietà. E così si sente ripagato. I ragazzi che lo ascoltano gli vogliono bene e lui vuole bene a loro. Si sente capito, compreso. E così ha capito il valore della testimonianza. Dice: “Ho capito tardi, troppo tardi. Ma ho capito”.
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"Nessuno deve provare il dolore che ho provato io"
Sono 15 anni che va ad Auschwitz con le scolaresche. Che va nelle scuole a raccontare ai ragazzi che cos’è la Shoah. E a questo proposito vuole condividere con noi un aneddoto. Pochi giorni prima di una delle sue tante visite ad una scuola italiana succede che un gruppo di ragazzi di quella scuola imbratta i muri davanti le classi con delle svastiche. Nessuno racconta questo episodio a Sami, ma lui legge nel volto della ragazza che lo ha invitato tanta preoccupazione. L’incontro in aula magna va molto bene e Sami torna a casa. Soddisfatto. Dopo qualche giorno riceve una lettera da questa ragazza. Arianna confessa il motivo della sua preoccupazione, gli racconta tutto e spiega che non solo i ragazzi che avevano imbrattato i muri erano in aula magna, ma che hanno seguito il racconto di Sami in silenzio e con attenzione, con le lacrime agli occhi. E poi che il giorno dopo sono andati con vernice e pennelli a cancellare quelle scritte. Lui lo racconta con gli occhi che gli brillano. E dice che questa è la sua missione. Perché i ragazzi dice non devono provare il dolore che ho provato io, nessuno lo deve provare. E raccontarlo aiuta a capire. A ricordare. E ad evitare che possa mai accadere di nuovo. I negazionisti? “Esistono”, dice. “E che neghino pure. Perché di fronte all’evidenza c’è poco da negare”. E in un battito di ciglio alza la manica della camicia e mostra il numero identificativo che ha tatuato sulla pelle del braccio sinistro. Negli anni non si è sbiadito. Resta lì indelebile, simbolo del campo di concentramento nazista dove hanno perso la vita tutti i suoi cari.
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