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Coronavirus, Idee per il dopo: il futuro della globalizzazione

Cronaca

La decima puntata del programma di approfondimento, condotto dal direttore di Sky TG24 Giuseppe De Bellis, ha affrontato con Claudio Descalzi, Alessandro Profumo e Giuseppe Soda il tema del mondo globalizzato dopo la pandemia

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Il futuro della globalizzazione è stato il tema della decima e ultima puntata di "Idee per il dopo", l’approfondimento condotto dal direttore di Sky TG24 Giuseppe De Bellis che prova a comprendere come cambieranno nel profondo la nostra vita e la nostra società dopo la crisi del Covid-19 (GUARDA LA NUOVA PUNTATA: LA PRIMA PARTE E LA SECONDA). E' possibile rivedere tutti gli episodi qui sul sito SkyTg24.it e On Demand. (LO SPECIALE)

Tra economia, geopolitica e innovazione

La tavola rotonda di martedì 30 giugno si è concentrata nello specifico sulla globalizzazione che, in questi mesi, è stata uno dei fattori principali dall’accelerazione della pandemia ma che potrà essere allo stesso tempo il rimedio per uscire prima dalla crisi, sia quella sanitaria sia quella economica. Il futuro del mondo globale tocca infatti aziende e Paesi, riguarda l’economia, la geopolitica, la scienza e anche l’innovazione. Per analizzare a fondo questi scenari, in studio con Giuseppe De Bellis, Claudio Descalzi, Amministratore Delegato Eni, Alessandro Profumo, Amministratore Delegato Leonardo, e Giuseppe Soda, Dean SDA Bocconi School of Management.

 

Immaginare il futuro

Giunto all’ultima puntata, "Idee per il dopo" è stata una tavola rotonda virtuale per riflettere e immaginare insieme che cosa accadrà al mondo dopo il Coronavirus. Una sfida decisiva che Giuseppe De Bellis ha affrontato insieme a pensatori, filosofi, scienziati, sociologi, antropologi, architetti, economisti e imprenditori, collegati insieme da tutto il mondo in uno studio dalla scenografia immersiva.

approfondimento

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La puntata

Giuseppe De Bellis: La globalizzazione è stata l'acceleratore della pandemia ma può essere, allo stesso tempo, il rimedio per uscire dalla crisi, sia quella sanitaria, sia quella economica. Il futuro del mondo globale tocca aziende e tocca Paesi, riguarda l'economia, riguarda la geopolitica, riguarda la scienza, riguarda anche l'innovazione. Parliamo oggi proprio del futuro della globalizzazione. Questa sera sono con noi Alessandro Profumo, Claudio Descalzi, Giuseppe Soda: benvenuti a questa decima puntata di "Idee per il dopo", in cui parliamo di economia e di globalizzazione e di quanto tutto questo viene totalmente interconnesso, in questa era, con la geopolitica ed evidentemente anche la politica e la leadership. Partirei con il dottor Profumo. Parto da lei perché le voglio chiedere una cosa su una recente intervista fatta dal principale leader del mondo libero, cioè il presidente degli Stati Uniti, in cui ha detto che già prima del Covid, ma poi anche per effetto del Covid, l'era della globalizzazione è definitivamente tramontata. Lei è d'accordo?

Alessandro Profumo: Sono parzialmente d'accordo, certamente il Covid ha avuto questa diffusione così veloce proprio perché siamo in un'era globale, in cui merci e persone viaggiano moltissimo. Penso anche che una parte delle soluzioni arriveranno dalla capacità di mettere insieme i mondi più diversi. Pensiamo in modo semplice al vaccino: è abbastanza chiaro che un singolo Paese non avrà la capacità di sviluppare un vaccino, non avrà la capacità di produrre i miliardi di dosi che saranno necessari. Quindi certamente delle forme di interconnessione fra capacità diverse continueranno a essere fondamentali. Pensiamo anche a molti dei nostri mondi: se io penso al mondo dell'aerospazio e della difesa, dove oggi opero, so che è nell'interesse dei cittadini, nell'interesse di chi paga le tasse e fondamentale mettere insieme delle capacità, perché sennò ogni singolo Paese replicherebbe i costi e sarebbe altamente inefficiente e inefficace. Quindi credo che alcune forme di globalizzazione saranno comunque anche necessarie.

Giuseppe De Bellis: Descalzi, seguendo questo ragionamento e partendo dalla prima frase di Profumo, ovvero che la globalizzazione è stata probabilmente una causa o una concausa della pandemia visto che mezzi e merci si muovono in modo molto più veloce rispetto al passato, le chiedo: può anche essere la globalizzazione un rimedio, seguendo il ragionamento che stavamo facendo poco fa?

Claudio Descalzi: Un rimedio lo può essere, come diceva Alessandro Profumo, proprio perché la globalizzazione non è una cosa che si può spegnere e accendere, in quanto per come è strutturata da un punto di vista degli approvvigionamenti, della supply chain, dell'interconnessione fra industrie, ma non solo su questo, anche nella farmaceutica non c'è nessuno che fa tutto da solo ed è completamente in grado di essere autosufficiente. Quindi non è una cosa che si può spegnere, ma è proprio un sistema connesso dal punto di vista della ricerca scientifica, della digitalizzazione, della capacità di calcolo, della capacità di mettere a fattore comune idee e soluzioni che possono portare a rimedi. I vaccini non sono l'unico rimedio, anche perché poi molte pandemie convivono: in Africa abbiamo avuto tre cicli di pandemie, che poi fortunatamente non sono arrivate in Europa, che sono state seguite e curate grazie un approccio globale visto che poi in molti casi, come in questo specifico dell'Africa, non potevano farlo da soli.

Giuseppe De Bellis: Soda, lei guida la School of Management della Bocconi e abbiamo visto quanto la leadership della politica è fondamentale in un momento come questo. Ma anche la leadership nelle aziende, quindi il management, è molto importante. Qui abbiamo due esempi di due top manager di grandi aziende italiane e internazionali. Le chiedo, secondo lei, lo stile di leadership, quindi di guida delle aziende, nel prossimo futuro dovrà cambiare?

Giuseppe Soda: Grazie dell'invito. Sicuramente i modelli di leadership precedenti vanno integrati più che sostituiti, con una capacità di attenzione alla complessità dei problemi che forse per un po' abbiamo dimenticato. Poi, visto anche il modo in cui è cambiata la maniera in cui abbiamo lavorato, nei mesi scorsi, anche con una capacità di governare l'organizzazione che fino adesso non abbiamo utilizzato. Tutto questo tema del lavoro a distanza, ad esempio, cambia il modo in cui viene in genere esercitato il controllo sui propri collaboratori, o la leadership. Quindi sicuramente qualcosa cambierà, non sarà sostituito tutto, non credo molto in questo tema della sostituzione, ma sicuramente dovremo imparare. Volevo solo dire una cosa sulla globalizzazione. La globalizzazione in verità stava subendo una ritirata già prima del Covid. Questo perché le guerre commerciali avevano già influenzato molto il flusso del commercio internazionale. Certo, il Covid ha dato una accelerata importante, ma attenzione perché la globalizzazione non è solo le merci. Pensate agli spostamenti delle persone: noi, ad esempio, abbiamo tantissimi studenti internazionali. In questi mesi non abbiamo osservato una riduzione della propensione a muoversi per andare a studiare in altri posti. Certo, adesso c'è un po' di paura però riguardo a quella propensione, a quei comportamenti, che spingono milioni di studenti a muoversi in tutto il mondo, al momento non abbiamo osservato una modifica sostanziale.

Giuseppe De Bellis: Seguo proprio il suo ragionamento e vado da Profumo, visto che stiamo parlando di Leonardo, come per il dottor De Scalzi di Eni, due aziende con forti radici italiane ma molto internazionali, e il lockdown ha caratterizzato molto l'operatività di questi mesi. Allora, le voglio chiedere com'è stato affrontare, dal punto di vista organizzativo, questi mesi tentando di mantenere la produttività alta ma cambiando, immagino, modello organizzativo.

Alessandro Profumo: È stato complesso, su due fronti: il fronte delle singole nazioni in cui siamo presenti e nelle quali produciamo e il fronte dell'attività internazionale che per noi è soprattutto l'attività commerciale. Ricordiamoci che Leonardo vende in giro per il mondo l'86% della propria produzione. Il fatto di non poter viaggiare è ovviamente estremamente limitante, perché i contratti sono contratti complessi e poter concludere questi contratti complessi a distanza è oggettivamente difficile. Dopo di che, a livello nazionale, c'è stato un ridisegno dei cicli produttivi, abbiamo avuto una punta del 43-44% delle nostre persone che, come dico io, erano in home working più che in smart working. Noi abbiamo circa 10mila persone che lavorano nelle strutture produttive è ovvio che abbiamo dovuto ridisegnare il ciclo produttivo. Se prima dentro un elicottero andavano 4 persone nella fase di allestimento finale, oggi ce ne possono andare magari 2, quindi io devo ridisegnare totalmente il ciclo, cercando di minimizzare le inefficienze. È stata anche una bella sfida perché ti obbliga a ripensare moltissimo alle modalità con le quali lavori e a trovare soluzioni nuove. Dico, l'ha detto prima anche Claudio Descalzi, che la digitalizzazione è assolutamente fondamentale: ad esempio anche per gestire i cicli produttivi, riuscire ad avere una visione digitale da applicare a meccanismi di intelligenza artificiale nell'allocazione delle attività è assolutamente fondamentale.

Giuseppe De Bellis: Descalzi, vorrei sapere anche la sua opinione su questo, visto che la complessità del modello di Eni è enorme. Per cui il punto di vista di un'azienda, o di Enel Gas che stava facendo una grande trasformazione, è molto interessante in questo periodo. Com'è stato questo periodo per la sua azienda e per lei?

Claudio Descalzi: È stato un periodo difficile, complesso anche perché noi operiamo praticamente solo all'estero, abbiamo tantissime attività in Italia ma siamo in più di 64 Paesi, con strutture permanenti e fisse. Quindi tutta la parte di operations ha continuato a lavorare. Noi adesso avremo più di 70mila persone fra diretti e indiretti, senza contare l'indotto. La maggior parte delle persone ha dovuto continuare a operare per la sicurezza degli impianti. Abbiamo mantenuto più o meno ovunque la continuità operativa. Lo dicevo prima, noi veniamo da decenni di pandemie in diversi Paesi, asiatici o africani, quindi abbiamo tutto un sistema di procedure molto definito; ma con la formazione del personale operativo e il passaggio subito a diverse tipologie di shift, quindi di rotazione del personale, negli ultimi 6 anni abbiamo creato anche quelle che vengono chiamate Light Houses, che portano, attraverso il sistema di digitalizzazione di tutte le componenti, diciamo meccaniche e tecniche, a un controllo centralizzato. Per questo prima vi parlavo della digitalizzazione, perché ci ha permesso di essere globali sul controllo della sicurezza delle persone, della sicurezza degli impianti, dalle nostre strutture operative di Milano. Questo ci è stato utilissimo perché abbiamo esposto molto meno la nostre gente. Anche noi in un giorno siamo passati a 22mila persone in smart working, anche nelle attività operative, ma abbiamo tenuto sul terreno decine e decine di migliaia di persone. Il Covid non ha colpito tutti nello stesso momento, quindi noi abbiamo dei Paesi che ne sono appena entrati e dei Paesi che ne stanno uscendo, c'è una situazione molto variegata che ancora oggi ci mantiene sotto una pressione terribile per la sicurezza delle persone e degli impianti perché sono impianti che, ovviamente, devono essere mantenuti con la massima sicurezza. Poi quello che ha colpito moltissimo è la domanda, perché da una parte ci sono i prezzi bassi, dall'altra parte la domanda e la necessità di continuare a mantenere la continuità operativa. La maggior parte di questi Paesi dove siamo si basa sul sistema energetico per poter fare cassa e poter pagare i costi di tutto il Paese, quindi le pressioni sono importanti per mantenere efficienza in momento estremamente critico. È vero che ci siamo allenati, però è chiaro che è uno stress, ed è uno stress soprattutto per la vita delle persone. Direi che siamo in una coda, sì in Europa siamo in una coda, in Africa siamo ancora in una coda, in Sudamerica non siamo assolutamente in una coda e in alcuni Paesi c'è una piccola ripresa. Quindi l'attenzione deve essere massima e le persone sono addestrate per essere sotto questa attenzione massima continuamente.

Giuseppe De Bellis: Soda, lei prima ha lanciato un tema su cui voglio tornare, quello del fatto che non tutto cambierà e che lei non vede una modifica strutturale di alcune delle nostre attività. Quindi voglio sapere il punto di vista di chi dirige una scuola di eccellenza che deve formare i manager del futuro: se vede adesso, in quello che è stato per tanti anni il sogno dei giovani che si approcciavano al mondo dell'istruzione universitaria e post-universitaria per diventare dei manager globali, un cambiamento di atteggiamento, cioè un po' più di riflessione sull'essere meno global e un po' più local. O invece il sogno delle globalizzazione della guida di un'azienda esiste ancora?

Giuseppe Soda: Grazie della domanda, perché è un tema centrale di tutta la riflessione che stiamo facendo in queste settimane perché noi abbiamo per vocazione un'esposizione internazionale. Un po' come quella delle due aziende che sono qui rappresentate e dei due leader che qui le rappresentano. Come dicevo prima, in questi mesi, perché tra l'altro noi stiamo raccogliendo le iscrizioni dei nostri programmi internazionali che partiranno nei prossimi mesi, la sensazione che abbiamo avuto al di là della paura - tenga che nel nostro Master in Business Administration noi abbiamo circa l'80% di studenti che vengano da 40 diversi Paesi nel mondo e quindi abbiamo sentito tutta la potenziale reazione degli studenti e abbiamo colto delle paure non molto dissimili da quelle dei turisti, da quelli che sono preoccupati in questo momento di muoversi da Paesi verso altri Paesi con tutti i problemi sanitari che ci sono - non mi sembra di aver colto in queste generazioni, sto parlando di persone diciamo che mediamente hanno avuto già esperienze lavorative, una media circa di 7 anni, quindi nella fascia dai 30 ai 40, una modifica strutturale del cambiamento. Cioè non abbiamo percepito l'idea che la mobilità del capitale umano sarà in discussione nei prossimi anni, fatto salvo le restrizioni e i vincoli normativi. Ci sono, per esempio, dei vincoli legati a certi Paesi piuttosto che quelli sanitari. Ecco, questo per la generazione che qualcuno chiama la generazione Erasmus, penso all'Europa, che è un po' la nostra generazione, la mia generazione, quella che ha seguito questa idea della mobilità internazionale, soprattutto coloro i quali hanno una scolarità e hanno un'educazione di base molto forte che fa parte molto del loro sentire e del loro essere. Io non credo che noi avremo problemi a muoversi per il capitale umano, avremo invece problemi commerciali, ripeto, non solo per le guerre commerciali ma anche per il tema della supply-chain che veniva citato prima. Però non mi sembra di percepire che le nuove generazioni siano meno propense a vivere in un mondo senza barriere e senza confini. Almeno, questa è la mia percezione, noi ovviamente abbiamo, me lo lasci dire, una percezione un po' elitaria perché comunque intercettiamo studenti che hanno una forte educazione di base. Altri segnali, penso al referendum della Brexit e a come ha votato una certa parte delle persone giovani, invece dicono che una certa tendenza per una parte delle persone a chiudersi nei propri confini c'è. Non in quella a cui ci rivolgiamo noi.

Giuseppe De Bellis: Descalzi, torno da lei e le chiedo di fare leva non solo sulla sua capacità di manager ma anche sui suoi interessi nella geopolitica. Vorrei andare a prendere l'argomento che ha toccato prima Soda: le guerre commerciali, e quindi gli equilibri geopolitici che sono sotto alle guerre commerciali. Secondo lei, in questi 4 mesi, tutto quel movimento fluido che c'era nella geopolitica è cambiato, avrà un'evoluzione successiva o, invece, quando la situazione sanitaria tornerà a essere normale, sotto controllo in tutti i Paesi, tutti gli equilibri torneranno a essere quelli che erano nell'era pre Covid?

Claudio Descalzi: Diciamo che ci sono tanti fatti: c'è il Covid, c'è il prezzo dell'oil e del gas, ci sono i consumi e poi ci sono situazioni tipo la Libia, tipo la Siria, tipo l'Iran, il Medioriente, tutto questo mondo che è quello più effervescente, sotto pressione dal punto di vista geopolitico e di politica internazionale, prova nuovi assetti, anche perché nuovi attori stanno entrando, ma non per il Covid, tipo Russia e Turchia, e questo rimane una costante, è un filone molto profondo che va al di là della pandemia. Quindi, insomma, i movimenti e le guerre ci sono stati anche durante la pandemia. Il discorso può cambiare e dovrà trovare una soluzione a quello che dicevo prima, al fatto che moltissimi Paesi produttori in via di sviluppo vivono di produzioni di oil&gas e ormai da diversi anni erano sotto pressione, anche perché la vera crisi dell'oil&gas è iniziata a fine 2014 e stava riprendendosi ora, ma non ai livelli del 2013, proprio nel 2018 e nel 2019. Adesso il comparto è stato ulteriormente colpito nel 2020. Quindi c'è proprio un meccanismo di struttura industriale che in questi Paesi deve assolutamente cambiare, nel senso che una diversificazione industriale dovrà assolutamente esserci. Questa diversificazione industriale per molti Paesi in via di sviluppo crea una maggiore autosufficienza, non in tutto, ma per esempio sull'alimentare, anche in qualche caso sul farmaceutico, sull'energia. Sempre più energia, invece di essere trasportata, viene utilizzata per aumentare l'accesso all'energia. Quindi i prezzi bassi hanno causato la crisi, poi il Covid ha dato il grosso colpo al cambiamento nelle politiche industriali. Allora, queste politiche industriali, parliamo di diversificazione, dal comparto energetico a quello agricolo, ovviamente cambiano la configurazione ma portano dal punto di vista delle tecnologie e della comunicazione, dei rapporti fra università e fra centri di ricerca una necessaria globalizzazione, una condivisione come dicevano prima. Perché la globalizzazione ha tanti tipi di parametri di valutazione, quindi c'è un sistema di cui il Covid ha accentuato la trasformazione futura. Parlo dei Paesi in via sviluppo ma penso anche all'Italia e penso alla decarbonizzazione cha sicuramente porterà a un'accelerazione, ma un'accelerazione che non penso porterà a una chiusura ma comunque a una connessione a livello di know-how e di strade da intraprendere che poi dovranno convergere al livello dei diversi Paesi.

Giuseppe De Bellis: Profumo, quanto la cyber security o lo sviluppo della sicurezza cibernetica sarà fondamentale per garantire lo sviluppo dei Paesi che vorranno dare un'accelerata e quindi evitare concorrenza sleale e tanti altri problemi che i Paesi occidentali, ma non solo quelli, possono attraversare?

Alessandro Profumo: Se posso fare un piccolo passo indietro, come abbiamo detto prima, sarà fondamentale la digitalizzazione, la spinta del nostro mondo. Che sia il mondo dell'impresa, che sia il mondo della scuola: pensiamo alla formazione che comunque è stata a distanza e in parte io spero che le scuole si riaprano a settembre; anzi si devono riaprire a settembre, ma certamente anche la formazione a distanza continuerà a restare. La pubblica amministrazione avrà una parte significativa di persone che lavoreranno a distanza, quindi la digitalizzazione è assolutamente fondamentale. La digitalizzazione comporta dei rischi di sicurezza informatica, perché significa che avremo sempre di più comunicazioni, sempre di più superfici attaccabili. Pensiamo a tutte le persone che lavorano in smart working, quante opportunità possono dare per entrare nei sistemi aziendali, e così via. Quindi, direi che la cyber security sarà non il motore dello sviluppo ma sarà la garanzia che ci si possa sviluppare utilizzando il digitale in modo sicuro per i Paesi che spingeranno su questa strada. Sappiamo che, nel piano di rilancio del governo, il tema del digitale è uno dei temi assolutamente prioritari e quindi sono assolutamente convinto che investire in sicurezza cibernetica sia un elemento chiave per garantire quella che a me piace definire l'indipendenza digitale del nostro Paese. Noi dobbiamo essere sicuri che ai nostri sistemi abbiano accesso solo i soggetti che vogliamo abbiano accesso.

Giuseppe De Bellis: Soda, seguendo il ragionamento che faceva nella sua risposta Profumo, le voglio chiedere un'opinione non soltanto su quello che sta facendo il governo italiano, ma su quello che stanno facendo diversi governi. La sensazione, forse più di una sensazione, è che le prime misure a sostegno della crisi economica siano prevalentemente sbilanciate sui sussidi ai cittadini piuttosto che sull'aiuto alle imprese. Allora, dal punto di vista di un professore che guida una scuola di management, non le sembra che ci sia una sottovalutazione della necessità di aiutare l'impresa e che poi sia l'impresa, come in un circuito virtuoso, a generare lo sviluppo e non il sussidio ai cittadini?

Giuseppe Soda: Allora, diciamo che probabilmente per fare una valutazione complessiva dell'azione di governo bisognerà aspettare ancora un po' di tempo perché è del tutto evidente che la risposta immediata è stata una risposta di rassicurazione delle persone, quindi di cercare di proteggere le persone. Che poi ci siano stati dei problemi di implementazione quello è un altro problema, pensiamo ai ritardi nella cassa integrazione. Io credo che però il governo sia entrato in una seconda fase che è quella di immaginare invece un piano di rilancio che vada oltre la protezione individuale. Se guardo il piano Colao, c'è una parte rilevante delle azioni e delle proposte che addirittura partono dall'impresa come luogo deputato per accelerare lo sviluppo, per recuperare la strada persa e far ritornare l'Italia in un trend di crescita che le è proprio, date le eccellenze industriali, e non solo, di cui dispone. Dopo Descalzi e Profumo sono stato agli Stati Generali, insieme ai team delle altre Business School italiane, devo dire che questo ascolto del governo, che so essere stato molto criticato, secondo me va giudicato dopo. C'è un tempo per agire, ma c'è anche un tempo per pensare. Descalzi e Profumo lo sanno bene quando disegnano le loro strategie, bisogna stare molto attenti a non farsi prendere troppo dall'ansia dell'azione: bisogna pensare. Adesso il governo, mi pare, sul tema dello sviluppo sta pensando: il tempo che passerà, adesso che gli Stati Generali sono finiti, tra questo pensiero e l'azione sarà cruciale. Se finiremo nella palude dei distinguo, dei sì ma, allora questo non sarà servito a niente. Se, invece, questo ascolto servirà a definire misure davvero efficaci allora tutto questo sarà servito. Ma credo che per una valutazione complessiva dobbiamo aspettare tutte le misure, dobbiamo aspettare ancora qualche settimana.

Giuseppe De Bellis: Descalzi torno da lei, perché in una recente intervista lei ha detto che vede già un risveglio dell'economia, che ci sono degli elementi che lo dimostrano. Quali sono questi elementi?

Claudio Descalzi: Sono elementi quantitativi e parlavo di alcune regioni, ma poi parlavo dell'Italia soprattutto. Noi abbiamo avuto dei consumi che in marzo-aprile e in gran parte di maggio, erano ridotti dell'80-90% sulle benzine, sui diesel, praticamente azzerati sui jet fuel. Adesso siamo ritornati ad avere sulla parte proprio dei prodotti benzina e diesel una riduzione anno su anno, quando parlavo di riduzione ovviamente mi paragonavo al 2019, intorno al 20-25%, quindi c'è un movimento. Il jet fuel è ancora al 70-75%, quindi non sta recuperando tutta la parte aviation. Il settore gas verso l'industria sta migliorando, vuole dire che c'è un'industria energivora che sta migliorando di qualche punto percentuale. Quindi quando mi riferivo a una ripresa, perché per me gli indicatori sono i prodotti che vendiamo, sia retail sia all'ingrosso, c'è un certo movimento. A livello mondiale, la Cina è tornata all'80%, forse anche più dell'80%, del suo consumo anno su anno, e in altri Paesi il trend italiano è seguito e siamo nello stesso ordine di grandezza. C'è un maggiore movimento a livello proprio personale ma anche a livello dei trasporti pesanti e consumo di gas dell'industria: questo è il segnale più evidente e mi riferivo proprio a questo.

Giuseppe De Bellis: Profumo, ho letto il suo articolo su “Civiltà delle macchine” la rivista di Fondazione Leonardo, in cui a un certo punto lei cita Smith quando fa riferimento al rapporto virtuoso che ci deve essere tra pubblico e privato. Secondo lei, in quest'era, è davvero possibile ritrovarlo o abbiamo già superato quel momento?

Alessandro Profumo: Secondo me non solo è possibile, ma è doveroso. Credo che usciremo dalle difficoltà che il Covid ha generato soltanto se i diversi attori che operano nel Paese, penso all'imprese, penso al governo, penso ai lavoratori, riusciranno a trovare dei punti comuni sui quali fare leva. Diceva prima Soda, gli Stati Generali sono stati e sono un momento di ascolto: credo che sia fondamentale; su questa base, che oggi è un framework, una cornice, da riempire di azioni concrete, ognuno di noi deve capire cosa può fare domani. So bene le iniziative che Eni sta portando avanti, Leonardo sta portando avanti a sua volta una serie di iniziative che sono sia nel campo dell'innovazione, che nel campo degli investimenti tradizionali. Da una parte investiamo per rivedere totalmente il ciclo produttivo di uno dei nostri prodotti più importanti l'Atr, dall'altro investiamo nel Leonardo Lamps, ma torno a dire: ognuno di noi sta lavorando proprio sulla base delle priorità che l'Unione aveva già indicato quando parlava del Green Deal, quando ha sviluppato questa visione che oggi l'Italia porta alla base del proprio piano di rilancio: parlo di digitalizzazione, parlo di green, di capacità innovare e renderci più flessibili. Credo che sia fondamentale che ci siano, appunto, questa mano invisibile del mercato, da una parte, e una mano invisibile dello Stato, che si incrociano e portano avanti un progetto comune.

Giuseppe De Bellis: Descalzi torno da lei prima di andare da Soda perché il riferimento al green deal che faceva Profumo mi stimola una domanda. Visti tutti gli sforzi che un'azienda oil&gas come Eni sta facendo per l'innovazione verso la trasformazione in una produzione più sostenibile, e tutto quello che abbiamo visto negli anni scorsi e nei mesi scorsi, le chiedo: il rapporto con la Climate Crisis cambierà nell'era post Covid?

Claudio Descalzi: Quello che dico dal mio punto di vista è che questi mesi mi hanno portato a verificare che ci sarà per noi un'accelerazione del nostro piano di transizione energetica, che vuol dire un piano di trasformazione di tutti i nostri asset della raffineria, della chimica, che era già partito perché noi abbiamo già trasformato due raffinerie in green refinery quindi in raffinerie verdi, che non hanno come input il petrolio o il gas. Questo devrà essere accelerato, dal nostro punto di vista, dalle fluttuazioni di un mercato estremamente volatile. Come ripeto, non è stato il Covid, il Covid lo ha enfatizzato ma ormai sono 6 anni che tutta la parte oil&gas è entrata in una spinta di volatilità. Per noi è un'opportunità quella di accelerare, ovviamente con l'obiettivo di ridurre sostanzialmente ma in linea con il grado e mezzo, prima due gradi e poi il grado e mezzo, di aumento della temperatura definito dal COP21; e questa trasformazione diventa più urgente. È chiaro che, sempre riferendoci agli Stati Generali, che sono stati un importante momento di scambio, di comunicazione e di ascolto da parte del governo, quando si fanno degli investimenti per una trasformazione intanto bisogna riuscire a farli mantenendo la parte infrastrutturale più intatta possibile, altrimenti diventa impossibile trasformarsi. Però dobbiamo avere dei framework sui regolatori o sulle leggi, su tutto quello che, parliamo anche di incentivi anche se noi non ne usiamo, è una protezione a un processo che si sta trasformando e non è solo in mano alle imprese. Questa è stata una delle parti che si è discussa in modo approfondito durante quasi 6 ore agli Stati Generali: quindi, a livello italiano e a livello europeo, accompagnare questa transizione. Tornando alla sua domanda, il Covid ha enfatizzato, secondo me, la necessità di andare verso una transizione energetica in modo molto più accelerato di quello che erano stati i nostri piani originali. Non parlo di piani italiani, parlo proprio di piani Eni, ma in generale di tutta la parte oil&gas. Noi abbiamo gli strumenti, abbiamo investito negli ultimi 6 anni più di 4 miliardi in tecnologie proprietarie, alcune le abbiamo già realizzate, abbiamo veramente la possibilità e tutti gli strumenti per farlo. È chiaro che poi ci vogliono capitali e, come dicevo, lo ripeto perché è fondamentale, un sistema regolatorio che possa seguire il cambiamento e deve ridurre il rischio.

Giuseppe De Bellis: Soda, le chiedo un esercizio di fantasia, ma moderato. Qui nei nostri totem abbiamo delle parole che ruotano intorno alla parola principale che è globalizzazione. Queste parole sono: commercio, informazione, concorrenza, innovazione, ambiente e disuguaglianze. Per i prossimi mesi quale, secondo lei, quale di queste potrebbe essere la parola chiave?

Giuseppe Soda: Secondo me il tema delle disuguaglianza è un tema importante che mi sembra però che tutte le azioni di politica economica cercano di risolvere. Nel contempo credo che la questione innovazione resti centrale. Io sono convintissimo che usciremo da questa situazione nella misura in cui non perderemo la strada innovativa nelle nostre imprese, nella nostra pubblica amministrazione, sarà questo il vero banco di prova. Dovremo fare tutte e due le cose. Stare attenti alla disuguaglianze, che sono cresciute inevitabilmente, e non perdere il momento dell'innovazione.

Giuseppe De Bellis: Descalzi, c'è qualcuna di queste parole che la stimola particolarmente o no?

Claudio Descalzi: A me stimolano tutte tantissimo, secondo me fanno parte di quel mosaico, quel framework che diceva Alessandro e che deve essere riempito. Le disuguaglianze sono un fatto fondamentale perché una società che ha aumentato il livello di disuguaglianza, con modelli che non la stanno portando a essere uguale, è una società che non può neanche applicare le nuove tecnologie, l'innovazione, la fantasia, perché quando ci sono problemi esistenziali le persone sono concentrate sul quotidiano mentre noi abbiamo bisogno, proprio nella situazione attuale, di essere concentrati verso il futuro. Quindi io direi che le disuguaglianze devono essere assolutamente curate. La disuguaglianza è sociale, è nelle persone, è nell'industria, quando ci si occupa di persone ci si occupa di industria e viceversa, è proprio un fatto sociale. E poi, secondo me, per fare tutto questo bisogna essere assolutamente pragmatici. Non c'è solo il pragmatismo, ma direi che il pragmatismo e quindi il pensare sono importanti, ma poi non bisogna perdersi nei vari pensieri, entrare in un labirinto di pensieri, quindi occorre mettere a terra quello che si pensa, per il bene delle persone. Creare uguaglianza e non disuguaglianza è assolutamente fondamentale. Non si può entrare in un contesto di dibattito continuo, di conflittualità continua, perché mentre ci sono conflitti le disuguaglianze crescono. Quindi bisogna occuparsi delle persone, dell'azienda e della società con generosità, interesse e pragmatismo. Ho messo delle altre parole, ma visto che quelle importanti le avevate già citate voi, ho volute aggiungerle.

Giuseppe De Bellis: Allora chiedo la stessa cosa a Profumo, se vuole aggiungerne un'altra o se vuole ragionare su quelle che abbiamo noi qui o su quelle che ha detto Descalzi.

Alessandro Profumo: Non aggiungo nulla perché veramente secondo me le disuguaglianze, come hanno detto sia Soda che Descalzi, sono qualcosa di prioritario. Le disuguaglianze purtroppo sono molteplici e diverse. Penso però al tema della scuola, secondo me occorre investire anche sulla scuola primaria, parliamo sempre dell'università e delle scuole secondarie. Le disuguaglianze, purtroppo, si radicano nella scuola primaria, pensiamo a quanti bambini non avevano i sistemi per fare la scuola a distanza, non avevano le connessioni, non avevano magari la scuola che poteva sostenerli in questo. Pensiamo alle donne che, non riaprendosi le scuole, alla fine si fanno quasi inevitabilmente carico di tutto il tema familiare. Credo che più del 75% delle persone che sono rientrate al lavoro siano maschi. Questo è ovviamente un problema colossale che radica le disuguaglianze sulle quali dobbiamo riflettere; e possiamo intervenire su questo, lo ha detto prima Soda, non a caso sono un bocconiano, con l'innovazione. Credo che lavorare sul tema dell'innovazione sia assolutamente fondamentale. L'innovazione può essere anche un'innovazione di processo, non necessariamente un'innovazione tecnologica, ma dev'essere un qualcosa su cui ci focalizziamo in modo estremamente forte per consentire di uscire da questa crisi in modo anche positivo, sfruttando le possibilità che comunque si presenteranno.

Giuseppe De Bellis: Per concludere, come in tutte le puntate di Idee per il dopo, l'ultima domanda è una domanda uguale per tutti e tre ed è che cos'è per voi il new normal. In una parola, in una frase, in una definizione: comincerei con Soda.

Giuseppe Soda: La prima cosa che vorrei dire è che new normal non mi piace tantissimo, però lo si usa anche nell'educazione. Il new normal è non pensare che il lavoro sia solo un insieme di task che si possono eseguire dovunque. Il lavoro è un contesto, fatto anche di relazioni. Non dimentichiamocelo.

Giuseppe De Bellis: Descalzi, per lei che cos'è?

Claudio Descalzi: Anche io penso che c'è un'evoluzione continua nella pelle dell'uomo e nell'uomo, e che ogni giorno è diverso dal precedente e impariamo tanto. Questa volta abbiamo imparato tantissimo, questa volta è stato traumatico, probabilmente ci sarà un'accelerazione nel cambiamento. Quindi di normale non c'è mai nulla nella vita, perché ogni giorno cambia e noi dobbiamo adattarci, essere flessibili. Abbiamo imparato che possiamo stare male, che tutti possono essere toccati e quindi probabilmente tutta la nostra percezione di quello che facciamo, anche la felicità di essere vivi, di poter camminare, di poter incontrare, ci fa apprezzare le cose e ci fa essere differenti. Spero che questo new normal ci faccia essere più generosi, più all'ascolto, e che riusciamo a volere più bene agli altri e questo per me sarebbe già una grandissima innovazione, visto che parlavamo di essere innovativi. Essere molto più vicini gli uni con gli altri e riuscire ad ascoltare il prossimo, apprezzarlo e lavorare insieme. Questo penso che potrebbe essere un ottimo new normal, se vogliamo definirlo così.

Giuseppe De Bellis: Profumo, per lei?

Alessandro Profumo: Mi riattacco alle parole che ha detto adesso Claudio, credo che per me il new normal dev'essere un mondo in cui riusciamo a mettere un po' da parte il tipico individualismo italiano e iniziamo a operare come sistema molto più forte per riuscire a sostenere tutte le persone che hanno sofferto e che escono da questa crisi più deboli e per riuscire a mettere in piedi un sistema per il quale alcuni fenomeni, come abbiamo visto, per esempio, nella sanità, non si potranno riverificare.

Giuseppe De Bellis: Bene, grazie ad Alessandro Profumo, Claudio Descalzi e a Giuseppe Soda. Era l'ultima puntata di "Idee per il dopo", speriamo che questa trasmissione abbia aiutato chi doveva decidere a prendere le decisioni o quantomeno a ispirarsi alle tante idee che in queste dieci puntate i nostri ospiti hanno dato a questa trasmissione e a tutti noi. Grazie ancora e buona serata.