Clima, rapporto Onu sulle emissioni: “Ridurle o sarà un disastro”

“Siamo in bilico su una corda tesa a livello globale”, dice il segretario generale delle Nazioni unite: “O i leader colmano il divario di emissioni da ridurre o precipiteremo a capofitto in un disastro climatico. Con i più poveri e i più vulnerabili che soffriranno di più”. Le parole di Antonio Guterres accompagnano la pubblicazione del nuovo Emissions Gap Report, il rapporto del Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente. Una sorta di pagella climatica che racconta come siamo andati nell’ultimo anno e, numeri alla mano, ci fa capire anche quale direzione stiamo prendendo. In sintesi: la corda su cui siamo in bilico è mantenere l’innalzamento della temperatura media globale rispetto ai livelli preinindustriali entro il famoso grado e mezzo. Cioè la soglia che ci separa da una crisi ancora più grave. Tecnicamente è ancora possibile centrare l’obiettivo ma le attuali politiche dei governi ci stanno proiettando verso uno scenario di 3,1 gradi in più. Da qui la catastrofe di cui parla Guterres. “Ogni frazione di grado evitata – spiega la direttrice dell’Unep Inger Andersen – conta in termini di vite salvate, economie protette, danni evitati”. Aumentano le emissioni Il rapporto segnala nel 2023 una crescita delle emissioni di gas serra dell’1,3 percento rispetto all’anno precedente. Per centrare l’obiettivo del grado e mezzo, occorre tagliarle del 42% entro il 2030 e del 57% entro il 2035. Uno sforzo che dovrà essere tradotto in una sigla: NDC. Sta per “Contributi determinati a livello nazionale” e sono i piani di riduzione delle emissioni che, secondo l’accordo di Parigi, i Paesi devono presentare periodicamente. Il prossimo giro di NDC è previsto così per l’inizio dell’anno prossimo. Ci troviamo quindi alla vigilia di settimane cruciali in cui l’Onu chiede la massima ambizione. Chi emette di più Lo sforzo viene richiesto soprattutto al G20 che rappresenta il 77% delle emissioni globali. Se al gruppo dei Paesi più industrializzati si aggiungesse l’Unione Africana, dice il rapporto, il numero delle bandiere raddoppierebbe ma le emissioni totali aumenterebbero soltanto di 5 punti percentuali. Insomma, rimangono ancora disparità. Provando a fare una classifica, i sei maggiori emettitori a livello globale sono Cina, Stati Uniti d'America, India, Unione Europea, Russia e Brasile. Le stime Unep mostrano un aumento delle emissioni in Cina, India e Russia e una diminuzione nell'Unione Europea e negli Usa. Pechino e Nuova Delhi hanno però piani di “net zero” spostati più in là rispetto ad altri Paesi e nel considerare questa graduatoria va visto anche il dato storico sulle emissioni – cioè chi ha causato il problema, dall’inizio –: gli Stati Uniti hanno prodotto la maggior parte della Co2, seguiti da Unione Europea e Cina. Le soluzioni, una questione di "trillions" La soluzione alla crisi passa ovviamente dall’abbandono di gas, petrolio e carbone e dalla spinta sulle rinnovabili. Passa quindi da investimenti imponenti: “È necessario – si legge - un aumento di almeno sei volte degli investimenti per la mitigazione, sostenuto da una riforma dell'architettura finanziaria globale, da una forte azione del settore privato e dalla cooperazione internazionale”. Temi che saranno al centro del prossimo vertice di Baku, la Cop29, a novembre. Si discuterà non di “billions” ma di “trilions”. Investimenti che – secondo l’Onu – “porterebbero un ritorno in termini di costi evitati dal cambiamento climatico, dall'inquinamento atmosferico, dai danni alla natura e dagli impatti sulla salute umana”.

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