Road to Cop29, basta un Patto per il Futuro della sfida climatica?

La 29esima COP che si terrà a Baku rappresenta, come tutte le precedenti, un momento molto importante per le azioni globali sul clima, in un contesto però reso incandescente dall’incertezza per le grandi crisi internazionali. Gli obiettivi sono chiari: in primis la riduzione delle emissioni di gas serra, rivedere e rafforzare gli impegni assunti dagli Stati nel quadro dell'Accordo di Parigi del 2015. Sarà centrale il tema dei finanziamenti climatici, la mobilitazione di risorse finanziarie per i Paesi in via di sviluppo, i più vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico. L'aumento dei fondi destinati al "Loss and Damage" il meccanismo di compensazione per i danni irreversibili causati dagli eventi climatici estremi. Ma la conferenza punterà anche a rafforzare gli sforzi globali per adattarsi agli impatti ormai inevitabili del cambiamento climatico e alla promozione di una transizione energetica equa e inclusiva, che non lasci indietro nessun paese o comunità. Se è vero che la COP rappresenta un momento importante, va però ricordato che la negoziazione climatica e tutte le azioni per il clima durano tutto l’anno e vivono anche in appuntamenti al di fuori di UNFCCC, la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, come è successo a New York con il “Patto per il Futuro”, siglato al Summit del Futuro delle Nazioni Unite, un accordo ambizioso mirato a rafforzare il multilateralismo e ad affrontare sfide globali proprio come il cambiamento climatico, ma anche i conflitti e la disuguaglianza. Promosso dal Segretario generale Antonio Guterres, il Patto si propone di adattare le istituzioni internazionali, come il Consiglio di Sicurezza dell'ONU, a un mondo in evoluzione, rendendole più rappresentative ed efficaci. Siamo dunque partiti da qui per provare a immaginare gli esiti della COP di Baku, parlandone con Luca Bergamaschi, direttore cofondatore del think tank Ecco e con Jacopo Bencini, appena eletto Presidente di Italian Climate Network. Bergamaschi, partiamo dal patto per il futuro, Quanto è importante un patto come questo? È sicuramente molto importante per riportare nel presente le grandi questioni dello sviluppo sostenibile, inclusa l'azione climatica. Si è discusso molto per due giorni in un vertice che ha visto la partecipazione di tutti i capi di Stato e ha preceduto i discorsi dell'Assemblea generale. Si è parlato appunto di grande riforma per esempio della finanza, ma anche delle istituzioni per riuscire a far passare quelle riforme che ci permettono di prepararci per il futuro e soprattutto per le future generazioni. Il messaggio principale è che bisogna iniziare oggi per garantire la prosperità e la pace di domani. Ovviamente a New York si è parlato anche tanto e soprattutto di come raggiungere una risoluzione dei conflitti in atto ed è importante riuscire a trovare delle soluzioni repentine ai conflitti, perché altrimenti rischiamo di posticipare poi la risoluzione di altre questioni come la questione climatica, oggettivamente passata in secondo piano proprio per lasciare spazio alla situazione in Medioriente e in Ucraina. Bencini, non si va molto più in là rispetto a quanto era già stato deciso a Dubai, quindi un abbandono, un transition away dai combustibili fossili, come era stato messo nero su bianco, perché le altre crisi hanno preso il sopravvento? In realtà il fatto che gli obiettivi di Dubai, o sarebbe meglio dire gli obiettivi di Parigi, e gli output principali politici di Dubai, in sostanza cosa era scritto nel Global Stocktake, siano presenti nel Patto per il futuro, è un fatto da non leggere del tutto negativamente, visto lo scenario internazionale. Il Patto per il futuro promosso dal Segretario generale Guterres arriva dopo due anni di lavori in cui si era persa un po' di fiducia in quello che era di fatto diventato un esercizio di stile, a livello politico. L'idea del Patto per il futuro e quindi del Summit of Future che si è tenuto pochi giorni fa, nasceva in un periodo precedente a tutti i conflitti che stanno minando fortemente il multilateralismo, quindi il fatto che perlomeno questi piccoli mattoncini di base in vista di Cop 29, forse più ancora in vista di Cop 30 il prossimo anno, siano comunque contenuti nel documento finale, non è una cattiva notizia. Peraltro, allargando lo spettro di tutto ciò che è azione per il clima anche alla riforma della finanza multilaterale e a quella che è la finanza per aiuti allo sviluppo, che è un tema fortemente collegato alla giustizia climatica, il Patto per il futuro ribadisce anche la necessità per i Paesi più sviluppati di investire e di dedicare lo 0,7% del proprio reddito nazionale lordo in cooperazione allo sviluppo. Una promessa che esiste da Addis Abeba 2015 e che ancora per Paesi, come l'Italia, ad esempio, non è stata del tutto realizzata. Quindi in un certo senso, più che un patto per il futuro, questo ha rappresentato un patto per i prossimi due-tre anni di lavoro. Ecco, possiamo però trarre un bilancio non del tutto negativo, vista anche la tensione negli attimi finali di quel negoziato con la Federazione russa che proponeva emendamenti, di fatto screditando il lavoro delle Nazioni unite su quello stesso documento che veniva letto come un qualcosa poi da eventualmente approvare o ridigerire negli ordinamenti nazionali. Ecco, le Nazioni unite non sono questo. C'è un clima di sfiducia nelle organizzazioni in questo momento abbastanza diffuso. L'abbiamo visto con l'intervento russo, l'abbiamo visto con l'intervento del premier israeliano Netanyahu, però il Segretario generale ha tentato con un gruppo di Paesi più ambiziosi di tenere dritta la barra per lo meno su ciò che c'è da fare nei prossimi anni. Bergamaschi, si dice che la prossima conferenza sul clima sarà la Cop della finanza climatica. In che senso? A Baku si negozierà un nuovo obiettivo di finanza per il clima che guarda agli anni dopo il 2025. Come sapete, negli ultimi anni si è discusso tanto del raggiungimento dell'obiettivo dei 100 miliardi all'anno che i Paesi sviluppati hanno promesso ai Paesi in via di sviluppo. Questo obiettivo termina nel 2025 e quindi quest'anno si negozierà il futuro della finanza per il clima a Baku. È ovviamente un tema centrale perché è abilitante sia per la transizione energetica che per l'adattamento e la resilienza dei Paesi. È un tema molto difficile perché ci sono posizioni contrastanti, però è importante riuscire a trovare un accordo che ponga tutti i Paesi nelle condizioni di supportare la transizione con i finanziamenti necessari, ma anche di avere accesso alla finanza, perché tanti Paesi inclusi i Paesi africani stanno avendo molte difficoltà ad accedere ai capitali, soprattutto per una pressione debitoria che sta riducendo lo spazio fiscale. Dopo la Cop, sarà importante la Conferenza in Sud Corea per la ricapitalizzazione del fondo Ida, che è il fondo di Banca mondiale più concessionario, su cui proprio a New York ci sono stati annunci importanti. Per esempio, la Danimarca ha annunciato un aumento del 40% della ricapitalizzazione di Ida e anche il Regno Unito, dopo tanti anni assente da queste conversazioni sul clima e sullo sviluppo, ha annunciato un incremento del proprio contributo. Aspettiamo di vedere anche cosa farà l'Italia rispetto a questo grande tema e in particolare sul fondo Ida. Bencini, sarà interessante anche vedere il ruolo della Cina, in quel contesto classificata come Paese in via di sviluppo, quando sappiamo che in realtà è ben oltre. E quale sarà il ruolo della Cina? Ormai da anni ciò che accade alle Cop può essere largamente intuibile, se non predeterminato, da quelli che sono gli esiti dei summit G7 e G20. Questo è un anno un po' particolare, perché il summit finale G20 si terrà di fatto in contemporanea con la Cop. Ma sarà possibile avere delle anteprime politiche, per così dire, già a partire dalla prossima settimana con le due ministeriali consecutive Ambiente e Clima e poi Sviluppo Sostenibile, che si terranno in Brasile. Da lì potranno venire degli input e parlo di Cina in questo senso, perché la Cina in maniera sempre più forte sta spingendo per un sistema di contrappesi multilaterali tramite il G20, tramite il gruppo allargato dei BRICS, che ormai comprendono molti più Paesi dell'acronimo, e che sicuramente influenzeranno il dibattito. L'obiettivo finale di questa COP è l'approvazione di un nuovo obiettivo quadro, diciamo di una nuova cifra verso il 2035 in termini di finanza per il clima da mobilitare. Ci sono varie opzioni sul tavolo. Una cosa che possiamo notare ad oggi è che tutti ormai, inclusi gli europei, inclusa la maggior parte dei Paesi occidentali, "are talking trillions", quindi si parla di migliaia di miliardi rispetto ai 100 miliardi del 2009, che era un obiettivo ormai totalmente non più corrispondente alle necessità. Parlando di Cina, è interessante notare che tra le opzioni sul tavolo c’è anche chi tenta di inserire la Cina, e altri Paesi cosiddetti in via di sviluppo, tra quelli che contribuiscono per via delle proprie attuali emissioni. Solo che tra le opzioni si leggono delle condizioni di partecipazione per esempio basate sul Pil pro capite dei Paesi, che però automaticamente escluderebbero la Cina, per la divisione matematica tra Pil e popolazione del Paese. Chiaramente la Cina cerca di tirarsene fuori da più punti di vista in termini di contribuzione finanziaria. Nel Patto per il futuro dei giorni scorsi si è ribadita la necessità di arrivare a un accordo su questo nuovo obiettivo finanziario. Alcuni sono fiduciosi, altri sono meno fiduciosi e c'è chi dice che poi se ne riparlerà a Cop30. Personalmente credo che a qualcosa si arriverà. Rimane nebuloso il tipo di testo che verrà adottato. Rimane interessante notare che contestualmente la presidenza della Cop Azerbaigiana ha dichiarato con forza che vuole anche arrivare alla chiusura dei negoziati sull'Articolo 6, quindi sul rendere operativa la regolamentazione dei mercati per il carbonio sotto l'accordo di Parigi già da quest'anno. Quindi un doppio obiettivo: entrambi molto ambiziosi quindi entrambi diplomaticamente molto rischiosi.