In Evidenza
Altre sezioni
altro

Per continuare la fruizione del contenuto ruota il dispositivo in posizione verticale

Paolo Rossi, il trascinatore gentile

Sport

di Cristian Paolini

Pablito non è stato solo un calciatore, l’uomo che ha trascinato la Nazionale al mondiale della terza stella nel luglio dell’82, il secondo pallone d’oro autarchico (a parte Sivori e dopo Rivera) ma è stato una metafora. La dimostrazione che chiunque può vincere contro ogni pronostico e con il sorriso sulle labbra

Condividi:

Rossi, Rossi, Rossi: il Brasile siamo noi. Titolavano con stupore i giornali italiani il giorno dopo quello che resta il vero miracolo della nostra storia, quel 3-2 contro la squadra sudamericana più bella di ogni tempo, viatico alla doppietta con la Polonia in semifinale e al gol in finale con la Germania che farà di lui il capocannoniere del Mondiale e degli Azzurri i campioni del Mondo. Per chi ama il calcio, ma non solo. Paolo Rossi non è stato solo un calciatore, l’uomo che ha trascinato la Nazionale alla terza stella in quel luglio dell’82, e il secondo pallone d’oro autarchico, a parte Sivori e dopo Rivera, ma è stato una metafora (FOTOSTORIA)

Anche Davide può battere Golia

La dimostrazione che chiunque può vincere contro ogni pronostico, che Davide può battere Golia nel pallone e nella vita e lo può fare con il sorriso. La bellezza dello sport che unisce e appaia tutti nella meraviglia. Non un fenomeno, ma un baciato dalla grazia. Non solo fortunato, perché non c’è fortuna per quelli che ci credono, che sudano, che partono male (ai più sembrò incomprensibile l’ostinatezza di Bearzot a difenderlo e schierarlo malgrado le prestazioni opache), ma che arrivano primi sul pallone giusto. Quella che a volte resta solo una favola, ma lui seppe trasformare in una incredibile realtà in grado di cambiare la vita sua e di un Paese che veniva da anni bui non solo per le vicende calcistiche, diventandone un simbolo gentile e vincente. Quella vita che ha lasciato troppo presto, a 64 anni, dopo che aveva abbandonato prematuramente pure la carriera sportiva, quando ne aveva solo 31, ma che erano stati sufficienti per fargli mettere in bacheca due scudetti, una coppa dei campioni, una coppa delle coppe, una supercoppa europea e una coppa Italia, tutte con la casacca della Juve. 

Pablito, l'eroe del Mundial

Ma l’Italia se lo ricorderà per sempre per quella maglia numero 20, quella  della Nazionale che lo rese Pablito, e per noi il Mondiale divenne Mundial per sempre. Una icona, come si direbbe oggi, di cui si appropriò anche Mick Jagger sfoggiandola in un concerto a Torino. Rossi è stato un eroe popolare, senza avere nulla dell’iconografia classica del trascinatore. Anche dal titolo della sua autobiografia "Ho fatto piangere il Brasile", più che autocompiacimento si leggeva una specie di pudore. Quella leggera impertinenza e quel sorriso da bambino che mostrava quando esultava dopo un gol, quasi fosse una marachella da farsi perdonare e gioia vera. In campo non stupiva con effetti speciali, non scardinava le difese avversarie con la forza fisica, ma con la tecnica, l’astuzia e la capacità di farsi trovare al momento giusto al posto giusto. Fu il centravanti opportunista per antonomasia, la pietra di paragone per chiunque venne dopo. Ma inimitabile nella memoria di chi ha vissuto quel luglio, leggenda per tutti quelli che se lo sono sentiti solo raccontare.