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5 buoni motivi per guardare Little Fires Everywhere

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Giuseppe Pastore

Alcuni spunti sulla serie Amazon con Reese Witherspoon e Kerry Washington: una "Big Little Lies" più sottile, ma più inquietante

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Tante, troppe serie tv, e noi non abbiamo mai tempo: a volte siamo costretti a concedere la piccola chance di una sola puntata per decidere se proseguire o interrompere la visione. Eccovi allora cinque spunti su “Little Fires Everywhere”, serie Amazon in otto episodi tratta dall'omonimo best-seller di Celeste Ng (2017), con Reese Witherspoon e Kerry Washington. Tutto rigorosamente no-spoiler: per consentire la lettura anche a chi non l'ha ancora vista, ci siamo limitati a scrivere solo del primo episodio.

1 - Scintille

L'inizio è scintillante – letteralmente: una grande casa di mattoni interamente in fiamme, in una gelida notte d'inverno con il giardino imbiancato dalla neve e la polizia che prende nota con altrettanta freddezza: ci sono tanti piccoli fuochi (“little fires everywhere”). Cos'è andato storto nella vita di Reese Witherspoon che assiste alla scena intirizzita e disperata? È stata sua figlia Izzy, come sospettano tutti? Parte un mega-flashback che, supponiamo, ci farà compagnia per tutti gli otto episodi della serie che Amazon riassume in una frasetta di presentazione un po' scialba: “Una famiglia perfetta ed una madre e una figlia che sconvolgono le loro vite”. Ma il primo episodio di Little Fires Everywhere sembra molto meglio di così, inserendosi con bella personalità nel filone un po' abusato delle tranquille vite di provincia che nascondono segreti, mostri, fantasmi in stile Big Little Lies – di cui però questa serie sembra più complessa, più “sporca”, più malsana, insomma meglio.

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2 – piccole dosi di perfidia

Lo sembra, appunto, ma ancora non ce lo dice apertamente, perché la sceneggiatura di Liz Tigelaar fa attenzione a non giocarsi subito le carte migliori, come farebbero altri episodi-pilota smaniosi di catturare subito il pubblico. La psicologia inversa funziona anche perché le due attrici sanno promettere bene, insinuando perfidia ma a piccole dosi (soprattutto Reese Witherspoon che ha creduto molto nella trasposizione televisiva del romanzo e ne è anche executive producer). La sua Elena Richardson non ha la cattiveria fumettistica di altre “mogli perfette”, è ottusa ma in buona fede, il suo perfezionismo borghese non trasuda odio ma solo un'ossessiva mania di controllo, tanto che il suo mestiere di madre diventa addirittura un verbo: “I'm mothering”, spiega a suo marito. E quando gli si nega, perché il ménage di coppia prevede il sesso solo al sabato e al mercoledì e la mezzanotte è passata da due minuti, gli dice che la cosa più divertente della faccenda (e forse anche più eccitante, almeno dal suo punto di vista) è il “planning”. Pare azzeccato anche il casting sui cinque adolescenti, i due fratelli e le due sorelle Richardson più Pearl che ci mette poco a farsi accettare dagli altri quattro, dando anche lezioni su come funziona il virus HIV.

3 – Anni '90 everywhere

In un momento storico in cui praticamente una serie tv su due strizza l'occhio al passato e alla nostalgia dei decenni precedenti, Little Fires Everywhere tratta gli anni Novanta con elegante discrezione, senza eccedere in ridondanti didascalie. I riferimenti ai Nineties non sono mai scontati, dal cordless bianco alla Scream che compare nella prima scena in famiglia al film noleggiato da Moody e Pearl, tutt'altro che banale: Prima dell'alba di Richard Linklater, diventato nel tempo un piccolo classico del genere sentimentale. Il modello di Elena non è Cindy Crawford o Hillary Clinton bensì la meno conosciuta (almeno da noi) Janet Reno, primo Ministro della Giustizia donna della storia americana. Se vogliamo, l'occhiolino più evidente sta nell'identità di Mr e Mrs. Richardson, due teen idol del decennio: Reese Witherspoon, che nel 1999 sarebbe diventata famosa con Cruel Intentions, e l'ormai improsciuttito Joshua Jackson che vent'anni fa entrava nelle camerette di tutti gli adolescenti americani (e non solo) presentandosi come Pacey di Dawson's Creek.

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4 – Non sono razzista, ma...

Mai così attuale, il tema del razzismo sarà naturalmente una delle colonne portanti della serie, già solo per il semplice fatto di contrapporre un'allegra famigliola bianca e una coppia nera (le cui armi per inquietare la morale del quartiere di Shaker Heights non si limitano al colore della pelle: nel finale dell'episodio si intuisce anche dell'altro, riguardo al personaggio di Mia Warren). Anche qui, nulla di troppo didascalico stile vicino di casa in American Beauty: Elena Richardson non sembra la portabandiera di un'America repubblicana che dorme con la pistola sotto il cuscino, ma una perbenista convintamente clintoniana (chissà come si porrebbe davanti al famigerato Sexgate che sarebbe scoppiato solo un anno più tardi, nel 1998...) attraversata da pregiudizi più sottili di cui non si rende nemmeno conto, troppo impegnata – da giornalista di retrovia – a cercare “le parole per dirlo”: per esempio non black ma African-American, come dice il reverendo Jesse Jackson alla tv.

5 – Sotto la cenere

Visto il titolo e la scena iniziale, la metafora del fuoco che cova sotto la cenere è fin troppo scontata, un fuoco capace di appiccarsi a tutte le villette a schiera di Shaker Heights – quartiere della periferia orientale di Cleveland, una delle città più anonime degli interi Stati Uniti d'America, dal soprannome (“the Mistake on the Lake”) non esattamente gratificante. Per spiegarla meglio scegliamo allora un dettaglio della colonna sonora, anche questo squisitamente anni '90: la canzone che accompagna il risveglio di Elena è “Little Bird” di Annie Lennox, ovvero la stessa che Demi Moore ballava davanti allo specchio, con il phon in mano e solo l'asciugamano addosso, nel trailer di Striptease (1996). Quel film era terribile, ma accomunare in questo modo due personaggi così diametralmente opposti è una scelta che suggerisce sviluppi sorprendenti.