"Dieci capodanni", una serie sulla fragilità e il desiderio

La caratteristica più importante di “Dieci capodanni”, la serie creata da Rodrigo Sorogoyen, Sara Cano e Paula Fabra, è la sua semplicità. Quella che racconta è una storia che abbiamo già sentito e visto altre volte: ci sono un lui e una lei; s’incontrano, si piacciono e non riescono più a stare lontani l’uno dall’altra. Eppure c’è qualcosa nell’esecuzione e nella scrittura che rende “Dieci capodanni”, disponibile su Raiplay, unica. Parte del merito – buona parte del merito, anzi – è di Sorogoyen, uno dei registi più bravi e apprezzati degli ultimi anni, specializzato in storie ad alta tensione, ricche e intriganti, e poco associato al romanticismo più classico. Ma è proprio questa sua inclinazione per il thriller che trasforma “Dieci capodanni” in un racconto in divenire: frenetico, avvolgente ed estremamente ritmato. Funziona perché – nonostante i salti temporali da un anno all’altro – non sembrano esserci pause. I due protagonisti, interpretati da Iria del Río e Francesco Carril, si conoscono per caso, durante una festa di capodanno. È il 2015. Continueranno a incontrarsi per i successivi dieci anni, fino al 2025. E noi li vedremo crescere, abbandonare del tutto la loro giovinezza e abbracciare completamente, e tristemente, l’età adulta. Questa è solo una delle tante differenze che “Dieci capodanni” ha, per fare un esempio, con “Normal people”. I due personaggi principali non sono adolescenti; non affrontano i problemi tipici di quel periodo. Sono già grandi, e hanno già una loro routine, un lavoro e un gruppo di amici. Più o meno, sanno già chi sono. Il grande conflitto narrativo nasce quando vengono messi l’uno di fronte all’altra, e sia la scrittura che la regia si impegnano nel mettere rapidamente a nudo le loro differenze e, ovviamente, i loro punti di contatto. Il dinamismo di “Dieci capodanni” passa anche attraverso il sesso. Che non è solo un riempitivo o un passaggio dovuto. Ha uno scopo e un ruolo ben precisi. A volte coincide con i picchi del racconto, altre volte, invece, dà modo ai personaggi di mostrarsi completamente, senza vie di mezzo e senza compromessi. Ed è bello vedere una storia in cui quelle che seguiamo non sono altro che persone: piene di dubbi, di incertezze, di fragilità. Sempre eccitate, tese e spaventate. Quasi incapaci di dire ciò che sentono e di dare una forma ai propri pensieri. “Dieci capodanni” indaga l’amore nella sua complessità, inserendo ogni tanto, durante le varie puntate, dei brevissimi incisi in cui vengono raccontate altre coppie. Ed è un’idea che, nell’economia del racconto, funziona benissimo. Perché permette alla trama orizzontale di respirare e al pubblico di allentare, anche se pochi istanti, la presa su quello che sta vedendo. In “Dieci capodanni” torna la ricercatezza di “Scene da un matrimonio” . E c’è soprattutto la complicità fisica e sentimentale che hanno i Connell e Marianne di “Normal people”. Quando le mani si toccano, quando i corpi si cercano per un istante con le spalle, i fianchi o anche solo con la propria presenza e il proprio calore, capisci – tu, spettatore – che sta per succedere qualcosa. E quel qualcosa non è facile né da identificare né da prevedere. Si avverte la tensione che citavamo prima: una tensione che parla di attesa, di desiderio, di paura; una tensione che rende i corpi vibranti, come le corde di un violino, e le parole leggere e morbide. Ci sono un lui e una lei, un giorno si incontrano, si guardano e si piacciono. Non sanno perché e non sanno dove questa cosa li porterà. E prima ridono, felici e inconsapevoli come bambini, pieni di entusiasmo e di curiosità, e poi si trasformano, si fanno più seri, non freddi, ma decisamente più attenti. Si annusano, si spiano dalla distanza, e non riescono a trattenersi. In “Dieci capodanni” ci sono l’istinto e le pulsioni più pure, e allo stesso tempo c’è questa capacità di tenere tutto insieme, la pancia e la testa, il piacere e l’ansia, ciò che si è stati e ciò che, inesorabilmente, si è diventati. Ed è bella, “Dieci capodanni”. Instilla nello spettatore la voglia di andare avanti, di non fermarsi, proprio per il modo in cui indaga e sa unire le piccole cose: i gesti, gli sguardi, la morbidezza del tocco; la frenesia del sesso e la potenza inenarrabile del desiderio.

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"Dieci capodanni", una serie sulla fragilità e il desiderio