Da "Yellowstone" a "Lioness", la televisione secondo Taylor Sheridan

Il 27 ottobre, su Paramount+, è cominciata la seconda stagione di "Lioness", la serie tv con Zoe Saldana, Nicole Kidman e Morgan Freeman. Fondamentalmente si tratta di una spy story, eppure riesce ad andare oltre il genere, a inserire elementi diversi e a dare alla scrittura un tono quasi thrillergiante, con scene che cercano, e spesso trovano, una certa tensione e suspense. Al di là della serie in sé, che rientra in un insieme di iniziative di Paramount e VIACOM, la cosa interessante è capire come sia stato possibile riuscire a sviluppare un prodotto simile, con questo cast e queste premesse, trovando un’alternativa all’offerta più classica e diffusa: drammi, qualche commedia; molte serie tratte dai videogiochi e altre tratte dai libri e saghe di successo. Il motivo, probabilmente, è uno solo: Taylor Sheridan. Prima di diventare uno degli scrittori più importanti del grande e del piccolo schermo americano, Sheridan ha fatto l’attore. Ha esordito in "Walker, Texas Ranger" e si è fatto notare con "Veronica Mars" e "Sons of Anarchy". Parallelamente, ha cominciato a mettere da parte suggestioni e ad appuntarsi idee. Nel 2015 ha firmato la sceneggiatura di "Sicario", il film diretto da Denis Villeneuve, ottenendo il plauso della critica e – cosa forse ancora più utile al suo percorso – degli spettatori. Un anno dopo, è uscito "Hell or High Water", altro film apprezzatissimo, e nel 2017 Sheridan ha fatto il suo esordio alla regia con "Wind River". Purtroppo, visto il coinvolgimento di Harvey Weinstein nella produzione, il film ha avuto una distribuzione singhiozzante, che non ha permesso al grande pubblico di recuperarlo. In tutti e tre questi casi, però, parliamo di neo western: le storie si spostano lontano dalle grandi città e dal nord America, tornano al sud, tra la polvere e i grandi spazi verdi o addirittura, come in "Wind River", tra la neve e le montagne. Sheridan si è imposto velocemente come la voce di un certo cinema e di una certa televisione, molto più fedele a una rappresentazione quasi nostalgica degli Stati Uniti. Nel 2018, è arrivata la serie che più di tutte lo ha consacrato come scrittore, creatore, produttore e regista: "Yellowstone". Nessuno aveva previsto un successo simile; nessuno aveva creduto, nemmeno per un istante, nella rinascita – talvolta letterale – della televisione lineare. E ciò nonostante "Yellowstone" è riuscita a raccogliere davanti al piccolo schermo milioni e milioni di spettatori, attirando l’attenzione degli investitori e della pubblicità. Da quel momento in poi, la carriera di Sheridan ha continuato a inanellare trionfi su trionfi: prima "Mayor of Kingstown" con Jeremy Renner, poi 1883, serie spin-off di "Yellowstone". Quindi è toccato a "Tulsa King", riscrittura del genere gangster, con Sylvester Stallone e a "1923", altro spin-off di "Yellowstone". Sheridan ha rimesso al centro la famiglia come grande luogo di interesse e come spunto fondamentale per la diramazione e l’approfondimento della trama. È così in "Tulsa King", in "Mayor of Kingstown" e, ovviamente, in "Yellowstone". In questi anni, Sheridan ha provato a tornare al cinema, anche se con meno successo: ha firmato il sequel di "Sicario", "Day of the Soldado", diretto da Stefano Sollima; "Without Remorse" con Michael B. Jordan e ha diretto il suo nuovo film, "Those Who Wish Me Dead", con Angelina Jolie protagonista. Niente, però, ha raggiunto la stessa risonanza e lo stesso peso mediatico e culturale di "Yellowstone". E non è un caso che, ora, sia al lavoro su altri prequel, sequel e su storie completamente differenti ambientate nell’America texana. Nella seconda stagione di "Lioness", così come in "Yellowstone", Sheridan si è anche ritagliato delle parti come attore: a volte ruoli piccolissimi, quasi estemporanei; altri, invece, fondamentali per la resa finale e per la storia stessa. In "Yellowstone", a un certo punto, si vede il ranch che si è comprato, la sua oasi, il suo santuario, il primo grande investimento che ha fatto dopo l’accordo milionario con Paramount. A una parte della critica, Sheridan non piace. E non solo per le cose che produce, dirige e scrive. Non piace perché rappresenta la faccia dell’America più conservatrice e meno progressista. Perché è, in questi tempi di guerre politiche ed elettorali, il demiurgo di un immaginario che fa quasi paura. Sheridan, tuttavia, sta cercando di rimettere al centro l’uomo, il cowboy, nello stesso modo in cui altri film e altre serie – sicuramente risalenti a un’altra epoca – hanno già fatto. Etichettare il tutto come bigotto o sudista è veramente limitante. In parte perché, in questo modo, si tende a ignorare una fetta più che consistente di pubblico . E in parte perché, così facendo, si rischia di perdere l’ennesima grande occasione per capire, effettivamente, come costruire un universo narrativo condiviso e condivisibile, con personaggi più o meno famosi e storie che, senza alcuna forzatura, possono toccarsi e intrecciarsi. Grazie a Sheridan e a "Yellowstone", Kevin Costner, protagonista della serie, si è deciso a tornare al cinema come regista e a riprendere in mano il genere western – convinto, forse, che il successo ottenuto in tv fosse facilmente traducibile in un successo commerciale al box office. La televisione, nella sua complessità e nella sua enormità, contiene dentro di sé fenomeni diversi e – spesso – contrastanti, che si negano o che si sostengono a vicenda. Sheridan andrebbe preso seriamente in considerazione come sceneggiatore e narratore. Ha ridato vita a un genere, l’ha rimesso in piedi; a modo suo, lo ha addirittura rivoluzionato. E questo non si può nascondere sotto la coperta mortificante dei pregiudizi e dell’etichettature forzate come “redneck”. Sheridan fa parte, insieme ad altri sceneggiatori come l’inglese Steven Knight, creatore di "Peaky Blinders", di un gruppo di artisti e creativi che sono stati in grado di ridare al racconto televisivo, oltre il dramma, le storie romantiche e l’approccio più fantastico, una consistenza e una profondità precisa. Non andrebbe sottovalutato; andrebbe, semmai, studiato.