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Netflix e Apple frenano le serie tv israeliane a causa della guerra a Gaza

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Produzioni rallentate e distribuzione sospesa per i prodotti targati Tel Aviv sui colossi dello streaming occidentali. La preoccupazione degli operatori del settore riportate da Haaretz: "Rischiamo di finire come la Russia"

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Stop alle serie israeliane. I colossi globali dello streaming temono il backlash della guerra a Gaza, la risposta negativa del loro pubblico, e si sfilano dall’acquisto dei diritti delle produzioni targate Tel Aviv, ricercatissime sul mercato prima del 7 ottobre per via del loro eccellente rapporto qualità-prezzo e ora, invece, sempre meno desiderate e soppiantate da altre realtà meno complesse geopoliticamente.

I rallentamenti di Fauda

Prendiamo Fauda, per esempio, la serie che racconta le drammatiche vicende che coinvolgono le truppe d’élite israeliane in territorio palestinese, uno dei casi televisivi delle ultime stagioni. Apple Tv+ ne ha acquistato i diritti per 20 milioni di dollari e sulla piattaforma sono già disponibili le prime due stagioni. La terza stagione dovrebbe andare in streaming nel 2024 e già era in fase di preproduzione la quarta. Ma, come ha raccontato ad Haaretz la produttrice Shula Spiegel: “Apple ci ha chiesto di interrompere la stesura della sceneggiatura perché la nuova realtà stava causando incertezza sui contenuti. Solo un mese dopo ci hanno detto che potevamo continuare a scrivere”.

I lavori sono ripresi ma la guerra non si ferma, e chi lavora alla produzione delle serie israeliane, spiega Spiegel, vive nell’incertezza: “Ogni emittente si sta chiedendo: ‘Che cosa sono disposto a prendere da Israele e in quale forma dovrebbe essere raccontato?’. In questo momento hanno più domande che risposte”.

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I DUBBI DI NETFLIX

Apple Tv+ non è l’unica piattaforma ad aver avuto ripensamenti e tentennamenti sulle serie israeliane. Netflix, spiega Haaretz, “ha sospeso la trasmissione di diversi prodotti”. I titoli sono diversi, così come i generi: si va dall’action drama Border Patrol alla commedia Through Fire and Water, fino al thriller Trust No One, che ha come protagonista il capo dello Shin Bet, l’agenzia di intelligence interna israeliana. Through Fire and Water avrebbe dovuto debuttare a novembre ma è stato rinviato: “I trailer dovevano andare in onda il 10 ottobre – spiega la coproduttrice Danna Stern – due giorni prima hanno detto che dovevano verificare se era il caso di rimandare la messa in onda, perché si trattava di una commedia e noi eravamo nel bel mezzo di una tragedia e di una guerra”. La distribuzione degli altri due, i cui diritti erano stati acquistati da Netflix a settembre, è stata sospesa. “Ci sono parecchie serie israeliane acquistate da emittenti straniere che ora sono ferme sullo scaffale – spiega Stern – Stanno aspettando di programmarle in un momento più tranquillo e appropriato”.

"Finiremo come la Russia"

La paura, espressa in modo piuttosto chiaro da una fonte anonima sentita da Haaretz, è quella di “finire come la Russia”, boicottati e banditi dalla comunità artistica internazionale. “Era come il nostro hi tech: eravamo accolti calorosamente ovunque andassimo, eppure è finita all’improvviso – spiega un altro operatore del settore che non ha voluto rivelare il proprio nome -. Ora anche gli attori europei hanno paura di essere scritturati in serie israeliane”.

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TRA GEOPOLITICA E LOGICHE DI MERCATO

E se la preoccupazione di attori e distributori europei è essenzialmente di tipo politico, in America i ragionamenti sono più di tipo commerciale: “Sono grandi e potenti, e investire in una serie con noi non è considerato cooperare con Israele perché siamo insignificanti rispetto a loro – spiega una fonte di Haaretz -. Ma anche loro stanno valutando la disponibilità dei loro spettatori a guardare contenuti israeliani". A rendere ancora più complicato e preoccupante il quadro è il fatto che negli ultimi anni la produzione televisiva israeliana è dipesa sempre più dagli investimenti stranieri. Le stesse televisioni locali, infatti, chiedono alle produzioni di portare i finanziamenti dall’estero così da avere la certezza di un ritorno economico cospicuo a fronte di un investimento limitato: “Quasi tutti gli spettacoli prodotti in Israele negli ultimi tre anni hanno dovuto raccogliere capitali stranieri – rivela uno degli operatori sentiti da Haaretz -. Il colpo di stato giudiziario (la riforma della giustizia tentata dal governo Netanyahu per indebolire la Corte Suprema, aspramente criticata da gran parte della società e della popolazione, ndr) ha rallentato le cose. Ma la vera crisi è arrivata con la guerra e le serie si sono fermate”.