In Evidenza
altre sezioni
Altro

Per continuare la fruizione del contenuto ruota il dispositivo in posizione verticale

Chernobyl: la recensione della prima puntata della serie tv

Serie TV

Linda Avolio

26 aprile 1986, ore 01.23'.45''. Il reattore numero 4 della centrale nucleare di Černobyl' esplode, sputando nell'atmosfera una quantità enorme di radiazioni e di materiale radioattivo. Ecco la recensione del primo episodio di Chernobyl, in onda su Sky Atlantic il lunedì sera alle 21.15.

Condividi:

Chernobyl, episodio 1: la trama

Qual è il vero costo delle menzogne? Il primo episodio di Chernobyl si apre sul momento della morte di Valery Legasov, il chimico sovietico che venne chiamato dal Cremlino per gestire il Disastro di Černobyl'. E’ il 27 aprile del 1988, sono passati due anni da quella maledetta notte, e Legasov, dopo aver affidato a un nastro la sua testimonianza e la sua riflessione, si impicca.

26 aprile 1986, ore 01.23'.45''. Il reattore numero 4 della centrale nucleare di Černobyl' è appena esploso. A causa di un test mal eseguito e mal pensato, test ordinato dal vice ingegnere capo Anatoly Dyatlov, il reattore numero 4 è saltato in aria, scoperchiando completamente l’edificio in cui è, era, contenuto. L’arrogante vice ingegnere capo è sicuro che siano stati gli operatori Alexander Akimov e Leonid Toptunov a fare qualcosa di sbagliato e che quel qualcosa abbia portato a una fortissima esplosione nella sala delle turbine. Ma la situazione, come viene comunicato da un altro addetto al turno di notte, è ben peggiore: il reattore non c’è più. E' esploso.

Dyatlov non ci crede, non è possibile che sia successa una cosa del genere, soprattutto non è possibile che sia successo con un reattore sovietico, ed è proprio questa sua cocciutaggine a rendere ancora peggiore la situazione. Il tempo passa, e nell’aria si diffondono sempre più scorie e sempre più radiazioni, senza contare il terribile incendio in atto, incendio sempre più violento a causa della scellerata decisione di coprire il tetto dell’edificio con materiale infiammabile, dell'economico asfalto, anziché con materiale ignifugo.

Nella vicina cittadina di Pryp'jat' – cittadina-dormitorio situata a soli 3 chilometri dall’impianto nucleare -, il giovane pompiere Vasily Ignatenko saluta la moglie Lyudmilla dicendole di stare tranquilla: alla fine si tratta solo di un incendio, e lui sa bene come domare gli incendi. Mentre i tecnici e gli ingegneri del turno di notte cercano di stabilizzare la situazione e di capire l'entità dei danni, i vigili del fuoco intervengono. La situazione, però, è peggiore del previsto: per terra c’è dello strano materiale nero (scopriremo poi che è grafite, dunque si tratta di un pezzo del nucleo del reattore), e nell’aria c’è qualcosa di strano, qualcosa che fa sentire in bocca un sapore metallico. Misha, un collega di Vasily, prende in mano un pezzo di quello strano materiale trovato per terra: dopo qualche minuto comincia a urlare dal dolore. Le fiamme non intendono cedere, così Vasily è costretto ad avvicinarsi a piedi, arrampicandosi sui detriti, per raggiungere col getto della pompa l’origine dell’incendio.

A Pryp'jat', intanto, la giovane dottoressa Svetlana Zinchenko osserva l’incendio da una finestra del reparto maternità, ovviamente pieno a quell’epoca, e chiede a un collega più anziano se in magazzino ci sono stock di pillole di iodio (ndr, l'aumento esponenziale di casi di tumore alla tiroide nella popolazione fu proprio una delle conseguenze dirette e scientificamente provate del disatro di Černobyl', senza contare altre patologie a carico della ghiandola). La risposta del dottore la dice lunga sulla disinformazione generale: “Perché mai dovremmo avere delle pillole di iodio??”

Di male in peggio: alcune centinaia di abitanti, incuriositi da quello scenografico fuoco multicolore, si recano insieme ai figli su un vicino ponte ferroviario per assistere meglio allo spettacolo. Completamente ignari del pericolo, su di loro arriverà una pioggia di polvere radioattiva che verrà accolta da bambini e adulti con ingenuo stupore.

Svegliati nel cuore della notte da una telefonata di Akimov, Viktor Bryukhanov e Nikolai Fomin (il direttore della centrale e l’ingegnere capo), incontrano Dyatlov negli uffici sotterranei dell’edificio amministrativo dell’impianto. Il vice ingegnere capo minimizza, più che altro è ancora convinto che si sia trattato di un’esplosione nella sala delle turbine, così Bryukhanov e Fomin, in riunione con una discreta quantità di “teste importanti” della zona (ovviamente tutte teste importanti del Partito, i comitati erano formati solo da fedelissimi), espongono la situazione. Nulla di grave, lasciano intendere. Un anziano “compagno” suggerisce di non dire niente agli operai (per i quali però sono previsti turni più brevi) e alla popolazione: creare il panico non servirà a niente.

A riunione finita, però, Anatoly Sitnikov, uno degli ingegneri della centrale, un pari di Dyatlov, chiede di poter parlare con Fomin: il livello delle radiazioni è altissimo, altro che 3.600 röntgen! Senza contare che, fuori dall’edificio numero 4, per terra c’è del materiale che è sicuramente grafite… La verità ormai è chiara: il reattore è esploso, e il nucleo è completamente distrutto. Ed esposto. Dyatlov è furioso, ma in pochissimo tempo passa dalla rabbia al vomito…letteralmente. Gli effetti delle radiazioni iniziano a farsi sentire anche su chi finora non è stato vicinissimo all’area dell’esplosione.

Nel frattempo, i vigili del fuoco sono riusciti a spegnere le fiamme. Mentre Akimov e Toptunov tentano disperatamente di aprire le valvole dell’acqua per scongiurare il peggiorare della situazione – perché non c’è mai limite al peggio –, Sitnikov viene spedito da Fomin sul tetto per verificare la situazione dall’alto. E la situazione è quella descritta sopra: dove una volta c’era il reattore, ora non c’è più niente, c’è solo un cratere fumante.

Ormai il sole è sorto, e all’ospedale di Pryp'jat' cominciano ad arrivare le ambulanze con i feriti. Quelli messi peggio sono ovviamente i pompieri, ma ci sono anche molti dipendenti della centrale che erano in attesa di iniziare il proprio turno. Gli abitanti della cittadina intanto si svegliano: per loro è una giornata come le altre, gli adulti vanno a lavorare, le madri si occupano dei figli, e i bambini e i ragazzini vanno a scuola…

Alle 07.01, a Mosca, il professor Valery Legasov – il primo vicedirettore dell'Istituto Kurčatov per l'Energia Atomica, uno dei più stimati chimici sovietici di quegli anni –  riceve una telefonata da un “certo” Boris Shcherbina, il vice presidente del consiglio dei ministri. In quanto esperto di reattori nucleari RBMK, Legavosv dovrà presentarsi al Cremlino di fronte al segretario generale Michail Gorbačëv, che per l’occasione ha creato una commissione d’inchiesta.

 

Chernobyl, episodio 1: la recensione

Dopo alcuni minuti di prologo - prologo in cui siamo nel 1988, dunque due anni dopo il disastro di Černobyl', precisamente il giorno della morte, da suicida, di Valery Legasov -, il primo episodio di Chernobyl - episodio scritto (da Craig Mazin), diretto (da Johan Renck), realizzato e interpretato in maniera sopraffina - comincia "in medias res": l'esplosione c'è appena stata, ma noi non l'abbiamo vista, così come non abbiamo visto cosa ha portato il reattore numero 4 a surriscaldarsi e a saltare in aria.

Ciò a cui veniamo messi di fronte in quanto spettatori è ciò che è successo immediatamente dopo l'incidente. La scelta di aprire il racconto dentro la sala di comando è sicuramente vincente, perché mette il pubblico nella condizione di saperne di più rispetto ai personaggi. Noi sappiamo benissimo, purtroppo, cos'è successo, ma loro - Anatoly Dyatlov, senza dubbio la figura più controversa di questa orrenda vicenda, Alexander Akimov e Leonid Toptunov - non hanno ancora idea dell'immensità della tragedia che sta per travolgerli. 

La ricostruzione di quanto accaduto dentro la centrale, ma anche fuori, nei minuti e nelle ore successive all'esplosione si basa su testimonianze ufficiali, dunque non è tanto il "cosa" a colpire, ma il "come." L'arrivo sul posto dei vigili del fuoco, convinti di essere lì per spegnere un semplice, per quanto gigantesco, incendio, è carico di tensione, ma per lo spettatore più che per i pompieri, che non hanno la minima idea di cosa li attende.

Altrettanto inquietante è la scena in cui si vedono gli abitanti di Pryp'jat' sul ponte, con i bambini che ballano e giocano divertiti sotto la polvere radioattiva. Roba che fa accapponare la pelle solo a pensarci, figurarsi a vederla accadere, anche se per finta.

Paul Ritter è un Anatoly Dyatlov assai inquietante, graniticamente e arrogantemente convinto che la "sua" centrale sia, come paradossalmente direbbero gli odiati americani, too big to fail, ma anche il Bryukhanov di Con O'Neill non scherza, più che altro perché è chiaramente un incompetente a capo di una cosa ben più grande di lui.

Le figure di Vasily Ignatenko e di Lyudmilla sono quelle che ancorano lo spettatore a livello emotivo - sappiamo benissimo che i due giovani marito e moglie non si rivedranno dopo poche ore e che, soprattutto, non si rivedranno in condizioni piacevoli -, ma anche i personaggi di Akimov e Toptunov - che, volontariamente, scelgono di andare ad aprire manualmente le valvole dell'acqua, ben consapevoli che stanno andando a prendersi una quantità di radiazioni a dir poco enorme - non lasciano indifferenti. Tre ragazzi e una ragazza che, in un modo o nell'altro, vedranno per sempre spezzate le proprie vite. 

L'atmosfera che permea Chernobyl, la serie, è tossica quanto l'aria che circonda i personaggi: siamo dentro un horror, e, proprio come nei migliori film dell'orrore, il nemico c'è, solo che è invisibile. Peggio ancora: il nemico c'è anche se è invisibile, e ha già colpito. Non c'è via di scampo.

Jared Harris, attore britannico già visto in una marea di film e serie, interprete peraltro molto apprezzato dal pubblico e dalla critica, compare poco in questo primo episodio, ma i pochi minuti in cui è in scena sono più che sufficienti per farci capire che, come già accaduto in passato, ci restituirà una performance titanica. Non ci stupirebbe vederlo candidato ai prossimi Emmy e Golden Globe. Presente solo "via telefono" Stellan Skarsgård (Boris Shcherbina) e totalmente assente Emily Watson (Ulana Khomyuk), ma avremo modo di apprezzarli dal secondo episodio.