Retromania, abbiamo ancora bisogno di nuova musica?

Nel gennaio del 2022, il critico musicale Ted Gioia nella sua newsletter, analizzando i dati di MRC Data del mercato americano e le analisi Nielsen delle piattaforme streaming a livello globale giunse alla conclusione che le vecchie canzoni rappresentavano quasi il 70% dell'intero mercato musicale a livello di vendite e ascolti. L'articolo dal titolo “La vecchia musica sta uccidendo quella nuova?” che provava a spiegare il fenomeno, fu poi ripreso dal The Atlantic e fece il giro del mondo. Quasi tre anni dopo le cose non solo non sono cambiate, ma in un certo senso si sono radicalizzate ed espanse, allargandosi anche al music biz e alla musica dal vivo. Le cause dell'amore per la musica vecchia Ted Gioia nel suo articolo metteva sul tavolo una serie di cause e riflessioni: lo strascico post-pandemico, l'arrivo delle generazione più mature sulle piattaforme di streaming e la conseguente mutazione degli algoritmi, l'utilizzo da parte di film, serie tv e pubblicità di canzoni di repertorio, ma anche e soprattutto la guerra che le principali società di investimento si stavano facendo per acquistare i cataloghi di vecchie star del rock e del pop. Anche le major discografiche stanno acquistando catalogh investendo ingenti somme in vecchie musiche con i soldi che un tempo venivano usati per lanciare nuovi artisti. All'epoca quello era un fenomeno che si poteva “leggere” osservando il music business americano, ma che oggi si può tranquillamente constatare anche qui da noi. Il revival, la retromania, la “rilettura” dei generi e delle canzoni del passato, il totale dominio nelle piazze estive e nei live club di provincia in tutta italia delle cover e tribute band. Ma anche quando andiamo a vedere concerti di artisti e band con 20-30 anni di carriera, quasi questi si scusano con la platea quando annunciano che suoneranno un paio di pezzi nuovi, perché il pubblico è venuto solo per sentire i grandi successi del passato per cantarli tutti in coro. E, inoltre, il tour più di successo in termini di biglietti venduti e di copertura media globale è quello di un gruppo di 30 anni fa che da 16 anni non produce nessun disco nuove . Insomma, dati tutti questi dati e tendenze. La domanda è d'obbligo: abbiamo ancora bisogno di nuova musica? Questo ovviamente è rivolta agli over 30, ma anche i giovani più curiosi sempre più stanno innamorando di generi e artisti del passato. Basta pensare il clamore che ha ricevuto “Running up that hill” canzone di Kate Bush del 1985 contenuta nella serie “Stranger Things” oppure quel reel del tipo che va sui pattini ascoltando Dreams dei Fleetwood Mac facendo stupire il pubblico di TikTok per l'esistenza di una canzone pop così perfetta. Ripetizione e nostalgia Il giornalista americano David Rowell su questo tema ha scritto un interessante libro su questo tema dal titolo “The Endless Refrain: Memory, Nostalgia, and the Threat to New Music” . Rowell sostiene che ci siamo accontentati così tanto della musica che conoscevamo da molto tempo fa che ne siamo diventati pericolosamente sazi. Anche i media musicali danno il loro contributo. Quando arriva un disco nuovo interessante - da St. Vincent a The Weeknd, da Post Malone a Beyoncé - tutta la stampa musicale, i siti e i podcaster sono in estasi. Magari proviamo anche ad ascoltarlo attentamente per qualche settimana perché capiamo che è un disco importante da amare. Del resto, lo dicono tutti. Ma nel giro di un mese o meno, è come se quel grande album non fosse mai uscito, e torniamo subito ad ascoltare tutto ciò che è uscito molto prima. Secondo Rowell questa strana congiuntura tra nuova musica e vecchia musica dipende da due potenti forze, una profondamente commerciale, l'altra profondamente umana: ripetizione e nostalgia. Quando arrivò MTV e divenne rapidamente mainstream - spiega il giornalista americano - se una canzone era un successo, aveva un video in heavy rotation. Se quel video era popolare, allora la canzone era sulle onde radio senza sosta. A volte il video era insipido, ma questo non aveva importanza. Eravamo bloccati in un nuovo ciclo di periodicità musicale. Questo ha creato una ripetizione di fruizione di molto musica, anche se magari se magari quelle canzoni erano scadenti e fiacche. Il risultato è che quasi tutti credono che la musica di questo secolo non avrà la stessa vita ultraterrena perché è di gran lunga inferiore alla musica di 30 o 40 anni prima. In più quella musica ci ricorda come eravamo giovani e belli allora, e quindi il sentimento della nostalgia ci pervade, tenendo conto che strumenti tecnologicamente innovativi come internet e i social non fanno altro che amplificare questo sentimento. E se un tempo dalla musica desideravamo avere nuove emozioni, compresa la rabbia e il..., oggi vogliamo che rimanga profondamente familiare e accomodante. Sovrapproduzione ed eccesso di offerta Tutto questo peraltro avviene – paradossalmente - in un periodo storico di massima produzione di musica nuova. Secondo un’indagine di MusicRadar nel 2024, ogni giorno viene pubblicata più musica di quanta ne sia uscita nell’intero 1989. Tale aumento esponenziale della produzione musicale è il risultato della combinazione tra accessibilità tecnologica e piattaforme digitali. Infatti sono gli artisti stessi, in piena disintermediazione rispetto alle case discografiche a caricare direttamente sulle piattaforme di streaming. Sono infatti quest'ultime a sollecitare gli artisti di pubblicare un singolo ogni uno-due mesi per restare sempre all'interno dei risultati dell'algoritmo con le proprie canzoni. Molte delle quali non verranno mai ascoltate.