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Mace all’Unipol Forum, un mosaico psichedelico. Il racconto del concerto

Musica

Di Gabriele Ragnini

Fonte Instagram

Quasi tre ore di concerto tra digitale e analogico, tra rap, pop e musica elettronica, tra sfilate di ospiti e assoli. Tra realtà e illusione

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Ma quale grande illusione. Per svelare la propria realtà, a Mace è bastato sollevare il suo velo di Maya. E sotto quello strato musicalmente astratto su cui ha costruito l’immaginario del suo ultimo album (Māyā, appunto, uscito lo scorso 5 aprile), c’era l’Unipol Forum di Assago e lo show di venerdì 18 ottobre. Una Obe (out-of-body experience) che potesse andare Oltre – proprio come i titoli dei suoi due dischi precedenti - da 31 tracce: 2 ore e 40’ di rottura rispetto ai canoni dei concerti più tradizionali. Il compimento di una visione psichedelica, spirituale, a tratti surreale eppure mai così legata alla realtà condivisa di quel momento, in piena linea con il personaggio Mace e la persona Simone Benussi. 

Una scenografia visionaria

“Avventuratevi in questo viaggio dimenticando i vostri problemi. Lasciateli fuori per questa sera”, esordisce il produttore milanese dall’alto della sua consolle. Davanti a lui, a colorare una scenografia già sfolgorante tra piante, luci e decorazioni, una folla variopinta. Gente di ogni età che riempie parterre e spalti nonostante lo sciopero dei trasporti Atm a Milano, a cui lo stesso Mace ha provato a rimediare riunendo la sua comunità in un gruppo Telegram da più di 2000 membri, per favorire il sostegno reciproco in una sorta di Odissea collettiva.

Lo spettacolo immersivo inizia dal primo riscaldamento al mixer. Ed è subito visionario, aiutato dalle immagini proiettate dietro di sé, tridimensionali e spirituali grazie a una sorta di aureola di monitor che lo contorna. “Sei già stato questo”, compare sullo schermo, a ritmo con i drum e i kick sintetizzati. “Ora dove sei? Sei già stato qui. Entra fuori da te”. Pum, pum, pum. Si alza il velo. 

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Il caleidoscopio di artisti

Una chioma verde fluo che attira tutti gli occhi su di sé non mette in ombra gli altri. Soprattutto se riempiono così bene il palco e le orecchie. La tela non basta da sé con il solo Mace, nonostante il suo talento da uomo-tutto e producer eteromusicale della scena urban, ma si contorna in un quadro ricco di coristi e musicisti con strumenti di ogni tipo: piano, chitarra elettrica, sax, persino l’arpa e il sitar, per fondere le tradizioni analogiche ai flussi digitali della consolle.

E poi gli ospiti, le voci. Il primo a volare sul suo tappeto musicale è Izi, con addosso un mantello regale rosso, insieme a Jack The Smoker in Dio non è sordo. Da qui, il mosaico si riempie man mano che il défilé prosegue. Una sfilata caleidoscopica, ma mai sconnessa: dal rap al pop, passando per le voci più morbide come quelle dell’amico e socio Venerus – ubiquo nel corso del concerto e centrale per un buon quarto d’ora - fino a quella eterea di Mengoni, che impera senza dividere e sintonizza ogni decibel del Forum sulle note di Fuoco di paglia con Gemitaiz e Frah Quintale. C’è anche spazio per il pianoforte struggente e tragico di Centomilacarie, meritevole di standing ovation dopo una rivisitata Non mi riconosco in solo, e il prog rock di Altea in Solo un uomo. E poi i due spin-off: con Venerus, appunto, in Love Anthem No. 1 e in un’inedita e sorprendente versione di Chic di Izi, culminata in un lungo abbraccio in consolle con Mace. 

Mace, artista manieristico

Sulla sua tela Simone Benussi lascia tanti schizzi, grazie alle voci di chi sale sul palco. Ma gli ospiti, protagonisti apparenti dei brani, accompagnano in realtà ogni traccia in un climax crescente, fino alla chiusura. Non è solo riproduzione digitale ed è proprio ciò che traspare anche grazie al supporto della band nei finali. È in quel momento che gli ospiti sembrano quasi spostarsi sulla cornice, tra il pubblico, lasciando che a dare struttura al quadro siano le strumentali, gli effetti tridimensionali. Come quando Marco Castello chiama dal palco “un po’ di burdello per Mace” nel momento in cui la sua voce e quella di Ele A si spengono per lasciar alzare i canali strumentali del mixer. Una riscoperta della musicalità nell’era in cui ogni vuoto musicale si riempie di voci ed effetti vocali. Una nuova educazione al suono, a cui si dà risalto con gli assoli finali.

Alcune canzoni, come Praise The Lord, escono dalle casse senza ospiti sul palco, ma lasciano spazio a Mace e agli arrangiamenti della band, che si sovrappongono alle voci. Altre, invece, spiazzano con finali inaspettati, come in Dal tramonto all’alba, a tratti psichedelica. Proprio su quest’ultima scia, torna centrale anche la voce di Mace, con un discorso che esce dai ranghi più retorici e paraventi per rientrare nei suoi. “Questa canzone racconta i miei viaggi”, racconta dopo Ayahuasca con Colapesce e Chiello. “Non solo quelli fisici in giro per il mondo. Parla delle mie esperienze psichedeliche, che mi hanno cambiato la vita e messo in sintonia con il mondo. Ne parlo così liberamente per far sì che se ne parli di più nella comunità scientifica, che sia accettato. Sarà un modo per aiutarci ad accettarci e a farci stare bene”.

Ed è su quest’onda allucinogena e surrealista che inizia il finale, passando proprio per Hallucination e seguendo le vibrazioni più elettroniche simil-rave di Mace, scatenato dal suo palco rialzato a dare vita a una sorta di moto perpetuo, sul parterre come tra gli spalti, mentre i visual proiettano immagini non lontane dal concetto di cosmogonia. Il concerto si chiude con La canzone nostra e il pubblico viene congedato da Blanco prima e dalla sfilata di tutti gli ospiti poi. Mentre le decine di protagonisti circondano Mace sul palco, gli spettatori lasciano l’Unipol, una volta finita l’illusione. O magari con la consapevolezza di essere già stati lì.