E se migliaia di canzoni reggaeton (e non solo) fossero dei plagi?

Quello del copyright legato alla musica è un tema molto complesso e assai discusso che ha portato a centinaia di cause, processi e risarcimenti milionari. Solitamente quando parliamo di violazione dei diritti d'autore si fa riferimento a melodie troppo simili o a furti di testi e poi, a partire dagli anni Ottanta, anche a campionamenti illegali. Questi quindi sono i tre principali elementi di proprietà intellettuale che vengono protetti. Ma nessuno avrebbe mai pensato che un pattern ritmico potesse diventare un elemento autoriale. È quello che sta succedendo nella storica causa che vede da una parte il duo giamaicano Clevie & Steely “creatori” del ritmo del reggaeton e dall'altra circa 1800 canzoni dei più noti artisti ed esponenti del genere. I plagi più famosi Ma prima di parlare di questa storica eccezione, facciamo un rapido excursus su quali sono stati i casi di violazione del diritto d'autore più celebri e rilevanti nella storia del pop-rock. Possiamo partire dai giovanissimi Beach Boys che nei loro primi concerti riproponevano all'inizio alcuni successi di Chuck Berry tra cui “Sweet Little Sixteen” che ossessionò a tal punto Brian Wilson, leader e compositore della band, da scrivere una sorta di loro inno - “Surfin' USA” – che voleva essere un tributo a Berry, ma gli avvocati del chitarrista non furono d'accordo e fecero causa. Così il padre di Wilson, nonché manager della band, fu costretto a cedere i diritti di distribuzione del pezzo. Anche i Led Zeppelin per le loro canzoni si “ispirarono” molto ai grandi del blues. “Whole Lotta Love” aveva parti identiche di testo a quello di “You Need Love” cantata da Muddy Waters e “Bring It On Home” prendeva in prestito l'intro e la coda di “Bring It On Home”, di Sonny Boy Williamson scritta da Willie Dixon nel 1966. Le controversie si risolsero fuori dal tribunale e, presumibilmente, con una grande somma di denaro. L'ex beatle George Harrison per la sua “My Sweet Lord” fu accusato di aver copiato la melodia da un pezzo pop del 1962 delle Chiffons dal titolo di “He's so fine” e così la Bright Tunes Music Corporations intentò una causa di plagio che durò ben 5 anni. Harrison in realtà disse che si era ispirato al celebre gospel “Oh happy day” ma fu comunque ritenuto colpevole di “plagio inconscio” e costretto a pagare una multa di 1,6 milioni di dollari, poi ridotta a 587mila quando Harrison comprò la Bright Tunes Music Corporations che lo aveva querelato. Nel corso del tempo ci sono stati poi i casi del rapper Vanilla Ice che per la sua “Ice Ice Baby” prese pari pari il giro di basso di “Under Pressure” dei Queen + David Bowie senza chiedere il permesso agli autori, per farlo diventare il sample fondamentale della canzone. La questione non arrivò in tribunale e le parti patteggiarono: Ice pagò una somma piuttosto alta, e sia Bowie che i Queen furono inseriti tra gli autori del brano. Una delle somme più alte pagate in tribunale riguardò il caso di plagio di “Blurred Lines” di Robin Thicke contro “Got to Give It Up” di Marvin Gaye . In questo caso non furono né la melodia né il testo sotto accusa, bensì l'arraggiamento in studio che di fatto “rubano” l'atmosfera e il mood della canzone di Gaye, un elemento che non era mai stato protetto dalla legge sul diritto d'autore. La giuria di Los Angeles condannò Thicke e Pharrell a pagare 7 milioni di dollari alla famiglia di Gaye. Il giudice abbassò quella cifra a 5 milioni, garantendo però il 50% delle future royalties. Un beat da proteggere Veniamo ad oggi. Ma prima ancora facciamo un salto indietro. Nel 1989 il duo giamaicano Cleveland "Clevie" Browne e Wycliffe "Steely" Johnson cambiò inavvertitamente il corso della musica pop con la canzone “Fish Market”. Il brano presentava il primo esempio di quello che sarebbe diventato noto come "dembow", il ritmo percussivo, leggermente sincopato che, partendo dal reggae, passò a diventare il ritmo distintivo del reggaeton, oggi il suono del pop latinoamericano che ha conquistato il mondo. A più di 30 anni dall'uscita di “Fish Market”, la Steely & Clevie Productions ha intentato causa a tre dei più celebri artisti del reggaeton, El Chombo, Luis Fonsi e Daddy Yankee, per quella che definiscono un'interpolazione illegale del ritmo della loro canzone chiedendo il riconoscimento che dichiarano di meritare fin dall'inizio. Si tratta in pratica di un pattern ritmico, cioè una singola unità del ritmo, che viene poi ripetuta. In pratica sono coinvolte più di 1800 canzoni, considerato che negli ultimi dieci anni il genere caratterizzato da quel ritmo è stato protagonista gran parte delle classifiche sia in America che nel resto del mondo. La fase istruttoria della causa è iniziata a maggio e durerà almeno fino al marzo del 2025. Intanto la rivista musicale Pitchfork ha fatto un'approfondita analisi sulla questione attraverso una prospettiva storica, partendo dalle radici del genere in Giamaica, sviluppato nel mondo latin di Portorico, Panama e successivamente nel resto delle Americhe. Una vittoria per Steely & Clevie potrebbe avere implicazioni enormi non solo per il reggaeton, ma per la musica pop in generale, che negli ultimi dieci anni ha sempre più guardato alla musica latinoamericana per trovare ispirazione. Migliaia di altre canzoni che usano un ritmo dembow potrebbero essere considerate in violazione del copyright e questa azione potrebbe anche creare un precedente per future rivendicazioni di copyright basate su ritmi pop fondamentali.