Kendrick Lamar e Puff Daddy: le due facce dell'hip-hop

Un paio di settimane fa è stata data la notizia che Kendrick Lamar sarà il protagonista dall'Half Time Show del Superbowl 2025 che si terrà il 9 febbraio 2025 al Caesars Superdome di New Orleans. La notizia è importante per una serie di motivi: il primo, perché l'Half Time Show è di fatto lo spettacolo musicale televisivo più seguito al mondo, poi perché Lamar ha già partecipato all'Half Time Show come comprimario dello show di Dr. Dre nel 2022 insieme a Mary J. Blige, Snoop Dogg, Eminem, Anderson .Paak e 50 Cent e sarà la prima volta che un rapper solista a partecipare a questo show. Ma in realtà l'importanza dell'evento dipende dal ruolo che oggi ha Kendrick Lamar sul mercato cultural-musicale americano e, in particolare, nel mondo dell'hip-hop che, come abbiamo già ribadito più volte, oggi è quello più rilevante. Kendrick Lamar è stato recentemente protagonista di un dissing con il rapper Drake anche piuttosto teso dove non si sono risparmiati colpi bassi – uno, ad esempio, non giustificabile da parte di Lamar che ha accusato il rapper canadese di pedofilia – dove però il punto della discussione era un altro. Come scrive Claudio Cabona su Rockol, Lamar accusa Drake di essere un impostore perché ha sfruttato l'hip-hop per raggiungere fama e ricchezza e non per portare avanti i valori di una sottocultura. Sempre più Kendrick Lamar si presenta come una sorta di profeta chiamato a salvare il rap e l'hip-hop dalla deriva in cui sta precipitando. La degenerazione di certo hip-hop La cronaca americana di questi ultimi giorni ci racconta degli eventi legati al veterano del rap americano, Sean Combs, in arte Puff Daddy, Diddy o P.Diddy, finito in galera con l'accusa di «tratta di esseri umani a scopo sessuale» e altre nefandezze legate in parte ai cosiddetti “White Party”, feste lunghe anche giorni caratterizzate da droga, orge, violenze, scambi, perversioni, gigolò e tutto quello che potete immaginare quando ci sono tanti soldi e un'alta percentuale di impunità . Ma al di là di questo, c'è il rap come musica e linguaggio che è nato dalle strade con un senso di orgoglio e rivalsa e che oggi è diventato solo volgarità, esibizionismo, narcisismo, sopraffazione e violenza. Questa evidentemente è la punta dell'iceberg, ma basta ascoltare o vedere i nuovi rapper e leggere i testi delle loro canzoni per capire la china che il genere ha preso. Kendrick Lamar e pochi altri sono differenti perché hanno a cuore le origini di quel genere; tutti i suoi dischi raccontano cosa significhi essere un uomo nero nell'America di oggi con tutte le sue contraddizioni. Gli album di Kendrick Lamar Il suo primo disco “Section.80”, del 2011, è un concept album sull'epidemia della droga negli anni di Ronald Reagan, mentre “Good Kid, M.A.A.D City” una sorta di educazione sentimentale conscious di un ragazzino del quartiere losangelino di Compton tra disincanto e cattiveria, amore e condanna per tutte le cose brutte del suo quartiere, come fosse un'ipotetica puntata della serie tv cult “The wire”. Nel 2015 con “To pimp a butterfly” Lamar alza l'asticella del genere hip-hop sia dal punto di vista musicale - un caleidoscopio sonoro che attraversa tutta la black music, dal jazz alla funkadelia, dalla poesia spoken word fino al soul – sia da quello delle liriche che affrontano i rapporti razziali in tutta la loro complessità e spirito contraddittorio: accusa la brutalità della polizia, ma ammette anche le colpe che condivide con ogni singolo cittadino nero per le morti sulle strade. C'è soprattutto l'interpretazione di Lamar, novello cantautore hip-hop, con le molteplici voci che parlano dentro la sua testa, dove interrogativi, speranze, rabbia e ripensamenti si susseguono e si intersecano, trasformando le canzoni in vere e proprie mini-suite. Con “DAMN”, il disco del 2017 che gli è valso il Premio Pulitzer per la musica eleva tutto a un livello ancora superiore, inserendo riferimenti biblici, ispirandosi al Deuteronomio e alla inscindibile dualità tra l’obbedienza a Dio e la dannazione. Lamar si sente discendente degli israeliti che disobbedirono e che per questo sono ancora costretti a vagare nel deserto metropolitano dei nostri giorni. «Lealtà», «Orgoglio», «Dna», «Umile», «Amore», «Paura» sono alcuni dei titoli delle canzoni che compongono un disco denso di elucubrazioni e significati. L'ultimo “Mr. Morale & The Big Steppers” è una sorta di complessa e articolata seduta di analisi in musica attraverso canzoni molto articolate in cui Lamar in un flusso di coscienza riesce a spiegare quella complessità capace di mescolare dolore personale e trauma collettivo, l'essere contemporaneamente vittima e carnefice. "Watch The Party Die" Per tutti questi motivi Kendrick Lamar rimane davvero un unicum nel panorama musicale odierno e per questo la sua partecipazione all'Half Time Show del Superbowl è così rilevante. Un'ultima annotazione che unisce i due eventi sopra raccontati. La scorsa settimana Kendrick Lamar ha lanciato un nuovo singolo, che non fa parte del dissing con Drake, ma del suo nuovo album di imminente uscita. Il testo è un j'accuse verso tutto quel mondo ingordo e amorale popolato da influencer e persone senza una coscienza civile che stanno facendo degenerare l'intero mondo del rap. Il titolo, quasi preveggente, è “Watch The Party Die”.

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