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Umberto Tozzi, sarà un lungo addio al palco. L'intervista di Sky Tg24

Musica

Bruno Ployer

foto Cosimo Buccolieri

Ha debuttato alle Terme di Caracalla il tour di addio del cantautore che ha portato al successo 'Ti amo', 'Tu', 'Gloria', 'Notte rosa', 'Si può dare di più', 'Gente di mare', 'Gli altri siamo noi' e tante altre canzoni. I concerti arriveranno in quattro continenti. Incontriamo Umberto Tozzi per parlare dei suoi progetti e delle sue memorie

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Umberto Tozzi, quasi cinquant’anni fa, trovò un modo completamente nuovo di cantare due delle parole più consuete della musica: ‘Ti amo’. Con una ripetitività piena di moderna ostinazione declamò un sentimento spesso vissuto, almeno in musica, soprattutto con sottintesi e timidezza. ‘Ti amo’ era un’affermazione piena di forza, convincente e melodiosa, tanto che la canzone divenne un successo lunghissimo e memorabile.

 

Da lì, fino ad arrivare ad oggi, Tozzi ha venduto 80 milioni di dischi e cantato in oltre 2000 concerti nel mondo. Numeri calcolati dai collaboratori dell’artista, ma credibili a prima vista considerando la tenuta di Umberto Tozzi nel favore del pubblico.

Ora è cominciato il suo tour d’addio, partito da Roma e diretto verso tante tappe italiane, europee, asiatiche, americane, australiane. L’ultimo giro è destinato a concludersi il 25 ottobre 2025, ma come leggerete nell’intervista il lungo saluto al pubblico potrebbe diventare ancora più lungo.

 

Il tuo addio al palcoscenico è davvero definitivo?
“Io penso di sì. Ho appena cominciato un tour che durerà quasi due anni, portandomi in quattro continenti. Non voglio pensare alla fine, perché sarà sicuramente molto triste. Per tutta la mia vita sul palco ho gioito, faticato e ancora oggi mi scarica molto salirci. Lasciarlo sarà un momentaccio.”

 

Dentro di te lasci uno spazio, magari piccolo, per dirti che forse ci si può ripensare e andare avanti?
“Ma chi lo sa… e poi se avrò la fortuna di rendere il tour più lungo, perché no? Staremo a vedere.”


Perché hai deciso di lasciare il palcoscenico?
“È da molto che ci penso, da anni. Ho passato un periodo bruttissimo per la mia salute e questo mi ha fatto riflettere molto, mi sono risvegliato da questi due anni in una situazione molto migliorata. Ho messo a fuoco come potrebbe essere il mio futuro e ho deciso quale direzione prendere. Con mia moglie e mio figlio, che è il manager delle mie produzioni, abbiamo fatto una riunione di famiglia e ci siamo trovati d’accordo sullo stop.”

 

Quindi finiranno i concerti e proseguiranno produzioni discografiche e altri progetti?
“Ancora non lo so. Intanto, dopo otto anni senza inediti, ho in piedi una nuova produzione che uscirà entro il 2024. In questo tour, poi, faccio due nuove canzoni: sono fantastiche e ne sono molto contento.”
 

Visto che questo è il tour d’addio, perché così lo hai presentato, ti chiedo: quali memorie vuoi lasciare nel pubblico che ti segue da decenni, anche venendo ai tuoi concerti?
“Penso che chi mi segue conosca già tutto di me. Penso anche che la memoria della mia musica sarà più lunga della mia esistenza. Io amo anche il mio repertorio meno conosciuto, le canzoni che non hanno avuto successo. Una di queste è ‘Il grido’: è rimasta tra noi, tra me e il mio pubblico, ma la considero una delle più belle produzioni della mia carriera.”

 

Quando negli anni ’70 hai cominciato ad avere successo, che musica hai trovato in Italia? E quale musica trovi invece oggi?
“Io e i miei colleghi abbiamo avuto la fortuna di vivere trent’anni di creatività mondiale pazzesca. Negli anni ’60, ’70 e ’80 ogni settimana arrivava da tutto il mondo un singolo incredibile. Nel dopo-Modugno, è stato il genio Battisti che ha riscritto la nuova canzone italiana. Dopo Lucio ci sono stati gli artisti che conosciamo: De Gregori, Dalla, De Andrè….”


Per arrivare a oggi.
“Io non mi emoziono con la musica di questa nuova generazione, però li capisco. È giusto che facciano queste cose perché è il loro tempo. C’è una cosa che mi dispiace: noi abbiamo avuto la fortuna di avere dietro di noi una famiglia, per così dire: la discografia, la produzione, l’editore: tutte persone con le quali ci confrontavamo e che ci consigliavano. I ragazzi di oggi non hanno tutto questo, hanno solo il computer e lì non ci si confronta a livello musicale, purtroppo. Tutte le produzioni hanno lo stesso suono, mentre noi pensavamo ad avere originalità, non solo vocale. Per ogni artista il suono di una produzione era importante. Oggi questo non c’è più.”

 

Non ricordo un tormentone più dominante di “Ti amo”, dell’ estate 1977. Dieci anni più tardi, con Morandi e Ruggeri, realizzasti “Si può dare di più”, che è diventato perfino un modo di dire. Vorrei che tu ci ricordassi questi due momenti della tua carriera.
“Sono due bei momenti, completamente diversi. ‘Ti amo’ è tra l’altro la canzone più originale del mio repertorio, secondo me. È nata e improvvisamente ha passato le frontiere italiane ed è esplosa in tutta Europa. ‘Si può dare di più è stato un evento molto bello a diversi livelli: a livello umano, a livello del messaggio del testo, a livello artistico. Avere diviso il palco con Morandi e Ruggeri mi ha gratificato tanto. È stata un’impresa cominciata senza alcun calcolo, poi è arrivato Sanremo: non pensavamo di vincerlo, ma il premio è stato certamente benvenuto. ’77 – ’87: è stato un decennio importante della mia carriera. “