Paolo Benvegnù: "Tra sogni e incoscienza ho trovato il mio equilibrio"
Musica Credit Mauro TalamontiL'artista milanese con l'album "Solo Fiori" ci invita a riappropriarci dei piccoli gesti per poter vivere in un altrove infinito. L'INTERVISTA
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Usare la parola raro è essere ottimisti. Perché quando mai capita di andare a parlare di musica e ritrovarsi persi tra Melville e Buzzati, Caligola, Faust e Dorian Gray? Se però vi trovate davanti Paolo Benvegnù andrete oltre le Colonne d'Ercole dell'anima, in un viaggio senza fine. Con "Solo Fiori", suo nuovo album, Paolo Benvegnù, che troveremo sul palco del Primo Maggio a Roma, ci racconta il bello di vivere in un altrove infinito.
Paolo quando hai iniziato a ragionare sui temi di “Solo Fiori” e quando il lavoro ha preso forma?
Sono partito con l’idea che l’album si chiamasse Transmirabilia perché ora gli esseri umani del primo mondo mescolano arroganza e miseria in maniera stupida e idiota. Poi è arrivato il desiderio di contrapposizione alla narrazione del mondo attuale e rileggendo Shakespeare e i classici, da Omero in poi, è arrivata l’idea di non raccontare il mio mondo ma andare altrove, verso l’amore in senso allargato. Oggi tutto è funzionale e l’amore è inutile se valutato a livello di pragmatismo dunque essere meno verbosi e intercettare il mistero dell’altro significa vivere in un altrove infinito.
Uno dei dubbi che poni è se l’esperienza è formativa: se fosse così oggi tu chi potresti essere, sarebbero nate tante storie e tanta musica?
L’uomo è come un albero, è la stratificazione della propria esperienza. Gli alberi però sono più preparati di noi alla metamorfosi, possono sopravvivere a un uragano. Noi cerchiamo disperatamente uno status di felicità quando non sappiamo cosa significhi. Per entusiasmo, e non solo, non mi sento diverso da uno studente di prima elementare.
Tu parli di amore in modo cavalleresco, quasi stilnovistico e pure viviamo in questa “Italia Pornografia” dove nei cannoni c’è di tutto tranne i fiori. A Sanremo Blanco ha dimostrato poco rispetto per i fiori. Nessuno sfoglia più una margherita per chiedere t’amo non t’amo. Ti senti ospite nella serra del cuore?
Mi sento un ospite, quasi uno spettro, in questo momento storico. Però abolendo l’io e pensando al noi e all’alterità, che non è alterigia, mi chiedo se sono posso ritenermi un essere umano se a chi mi è vicino non regalo una intuizione o un fiore. Non è forse da un piccolo gesto che può partire la rivoluzione?
“Ventuno grammi d’oro per la redenzione”: se è vero che l’anima pesa ventuno grammi…sarebbe anche economico, non credi? Anche se oggi l’oro ha quotazioni molto alte.
Un senso legato alla propria identità vale molto di più. Ci può essere poi un patteggiamento. In questo testo c’è il Cristo come Dorian Gray e il Faust e il quesito è: dimenticheresti l’amore per una vita funzionale e utile? Stiamo abdicando al metafisico, al figurante antropomorfo evocato da Umberto Galimberti: sembriamo uomini ma funzioniamo come una macchina.
La leggenda narra che Caligola nominò console il suo cavallo Incitatus: la tua provocazione “se tu fossi cavallo ti farei senatore” è un ritratto reale ma ansiogeno di una politica “di piccoli aiuti” e che arrivano non solo dallo zio cardinale?
L’Italia è fondata non sul valore ma sull’amicizia e sulle adesioni. E’ un paese lobbistico. Quella tra Stato e Mafia è una trattativa tra sé e sé.
“Our Love Song” si apre con Ismaele che significa Dio Ascolta. Oltre che nella Bibbia è citato anche nel Corano come profeta di Dio: lo consideri il collante di due mondi e due religioni? La fine di ogni crociata o la guerra santa?
Per me è il passaggio tra possibile e impossibile. Dio ascolta l’uomo e in questo contesto, se ci pensi, Ismaele è l’unico testimone della nave di Moby Dick, è colui che transita nell’oceano di sensi accolti nel mio brano: racconta l’amore del corpo, racconta l’appartenenza.
Quando è l’ultima volta che l’impossibile ti ha travolto? Il tuo naufragare nell’amore è l’evoluzione del leopardiano “naufragar m’è dolce in questo mare”?
No, non è dolce il mio naufragare. E’ una perdita incredibile di coscienza e non dà alcuna dolcezza se non la resa all’impossibilità del controllo nella vita. Questo è un naufragare violento, è Prometeo incatenato con l’aquila che gli scava il petto perché è andato troppo in fondo nel rapporto tra uomo e divinità. Siamo sempre pronti a vivere l’impossibile ma la nostra è percezione: fossimo api vedremmo il mondo in modo diverso. L’uomo ha il limite delle verità parziali e soggettive: per me non vanno esposte ma trovate dentro di sé.
“Abitiamo l’assenza per amarci e sparire”: tu poetizzi questa idea ma in chiave più reale non è anche la fotografia dell’amore al tempo dei social? Amarsi e sparire.
Potrebbe anche essere quello. Ho pensato agli inseguimenti tra i personaggi dell’Ariosto. L’amore deve anche essere un inseguire l’altro. Nei social insegui te stesso, perché il soggetto sei tu invece bisogna perdersi nell’altro.
Lo hai trovato il ponte tra gli argini? E il fiume che scorre, simbolo dello scorrere del tempo, non contrasta un po’ con l’incipit del progetto, ovvero la possibile preservazione del sentire dell’infanzia?
Lo ho trovato ed è per questo che il fiume ricorda l’infanzia. Ogni singola goccia d’acqua è completa nella sua essenza, poi noi possiamo frazionarla e farne H2O ma quando beviamo dalla mano è una particella intera che si rinnova ogni giorno. Il ponte lo ho trovato tra i sogni e l’incoscienza e per questo dico grazie alla senilità.
In “Tulipani” dici “io ti aspetterò per sempre”: è un eroe che si usare il concetto di per sempre in amore? E hai riflettuto che potresti fare la fine del Capitano Drogo ne “Il Deserto dei Tartari”: morire aspettando un nemico, o un amico, che mai apparirà?
Sì ed è quello il fantastico. Di Dino Buzzati mi fa impazzire il suo modo di esprimere il concetto di inutilità. Tutto dovrebbe essere utile mentre noi spendiamo tempo a fare cose inutili. Si aspetta per sempre anche qualcosa che sai che ti sarà negato però comunque attendi senza volere nulla in cambio.
Mi affascina l’idea della geometria del vento: quale è il suo teorema?
Lo scirocco va da una parte all’altra ed è una geometria che poi viene rifinita dalle caratteristiche morfologiche delle alture che incontra e dalla morfologia del Mediterraneo ma questo lo sappiamo dire noi non lui. Ogni giorno ci confrontiamo con la geometria del pensiero che è legata alla narrazione di noi ed è umana.
Alla fine e nonostante tutto possiamo dire che il futuro è splendido?
Per me è l’insieme di infiniti presenti ed è splendido. Non lo è se è legato ai precetti religione e ad altre imposizioni. La magia è che in ogni singolo istante si può scegliere.
Che accadrà nelle prossime settimane?
Un paio di pezzi li presenterò al concerto del Primo Maggio e poi sarò in concerto il 6 maggio a Roma e il 12 a Milano. Dopo si vedrà. Vorrei tornare a suonare tanto perché è sul palco che si accende il confronto con se stessi.