La band italiana più popolare al mondo ha fatto ascoltare le canzoni che compongono il loro nuovo capitolo discografico. Tanto punk-rock, tre brani in italiano e molta introspezione. IL COMMENTO
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Vanno di...fretta i Måneskin. E lo si capisce ascoltando Rush, il loro nuovo album in uscita venerdì 20 gennaio e che ho ascoltato in anteprima. La prima sensazione è di un album molto veloce e spinto a conferma che in questo periodo artistico Victoria, Damiano, Thomas ed Ethan surfano su un rock spinto, ai confini del punk, accompagnandolo con testi crudi anche quando volgono all'introspezione. In totale Rush ospita diciassette brani, tre dei quali sono in italiano. Questi ultimi sono presenti anche nella versione destinata ai mercati esteri. La voce di Damiano è fremente e tellurica, difficile stargli dietro anche con i testi davanti. E' stato prodotto principalmente da Fabrizio Ferraguzzo e Max Martin, è stato registrato a Los Angeles, in Italia e a Tokyo.
Una partenza punk, con la voce di Damiano subito incisiva, tagliente come un coltello a testimoniare che non è solo la mente che è sotto controllo ma anche l’energia. Si apre con Own My Mind il nuovo lavoro dei Måneskin, Rush. Il brano ha un incipit realistico, sembra quasi un messaggio d’amore d’antan, prima dei social e delle piattaforme per incontri: "non conosco i tuoi segreti, non sono un visionario
Sì, non conosco la tua storia ma mi piace quello che vedo". E’ curioso che nel testo ogni volta che si reiterano le tre parole del titolo c’è il punto di domanda mentre il titolo vero suona come un imperativo. Subito dopo arriva Gossip, il nuovo singolo con feat di Tom Morello, anche lui a velocità tripla tra gin tonic e american dream. Parte come una ballad la terza traccia Timezone, quel fuso orario che rende una persona distante non solo perché ci sono settemila miglia a fare da separazione ma anche perché il giorno e la notte si rincorrono senza mai trovarsi. Quindi "questa fama non ha significato. Sto tornando a casa, l'unica cosa che ci separa è un fuso orario diverso, domani ho un altro aereo non lo accetterò invece volerò direttamente da te". Si respira il senso delle radici e quella nostalgia che i poeti chiamano nostos. Bla Bla Bla è una filastrocca ritmata da un basso elettrico che ci guida in una storia distopica, tra una coppia che non si trova neanche negli eccessi mentre Baby Said è una indagine sul passato di una persona che diventa disturbante al punto di chiedere di porre fine a questa conversazione. Gasoline trasmette, rimodernate, le sensazioni di Avventura a Durango di Fabrizio de André, tra un conto alla rovescia e un po’ di domande. Sì perché in questo album ci sono tanti punti interrogativi nei testi, quasi a voler provare a mettere ordine nella confusione dell’umanità e in quella interiore. Una fiammata di Gasoline è perfetta per ballare e “giocare a fare Dio con un cuore di pietra”. Feel ha un attacco molto rollingstoniano ed è una storia ribelle come lo sono le situazioni che ritrae, dalla cocaina sul tavolo a quello che la mamma non deve sapere fino a farlo sul pavimento…”is better on the floor”. Don't Wanna Sleep è la fuga dalla solitudine attraverso un ballo sfrenato. Colta la citazione dei Beatles: "Wearing Lucy’s diamonds to get a little shine" ovvero "indossare i diamanti di Lucy per brillare un po’". L’insoddisfazione si doma facendo l’amore con il pericolo. Forse.
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Kool Kids è una macchina in discesa senza freni. Al volante ci sono i ragazzi fantastici che non sembrano così distanti dagli Animali Notturni di Tom Ford. If Not For You ha la dolcezza di una preghiera laica che poi vira in una dichiarazione d’amore: "I wouldn’t sing anymore If not for you", "io non canterei più se non per te" con lo spettro dell’inferno che busserebbe alla porta…(sempre) se non fosse per te. Proseguiamo con le ballad con Red Your Diary: qui convivono tenerezza ed erotismo con la richiesta finale di mostrare tutto l’amore che c’è. Nonostante un titolo fuoriviante Mark Chapman apre il trittico in italiano di Rush. I Måneskin hanno scelto l’assassino di John Lennon per dipingere la figura di uno stalker. Le parole sono dure, pesanti così come la musica che trasmette una sensazione di violenza, fisica e interiore, prepotente: “Si muove a piede libero vestito come un incubo”. La Fine è una riflessione lucida sugli aspetti negativi della fama, di quello status dove anche “la rosa più bella ha le spine” e dove “neanche tutto l’oro del mondo potrà comprare ciò che lasci”. Il basso cupo sottolinea perfettamente la sensazione che i Måneskin vogliono trasmettere e cioè che quello che sembra l’inizio è la fine. L'oasi italica termina con Il Dono della Vita, una carezza filiale, un dono che dice "io rinasco dalla mia cenere per non vedere più mia madre stanca, ridarle indietro il dono della vita". Ammetto che prima di affrontare il finale, che poi è composta dai singoli già usciti, ho avuto un po' di nostalgia per i Måneskin di Marlena. Chissà se almeno lei è tornata a casa mentre ancora "il sole illumina le debolezze della gente". Mammamia, Supermodel e The Lonielest sono già ascoltate. Ascoltando Rush mettete da parte la fretta, possibilmente tenetevi i testi davanti, almeno ai primi ascolti. Così quando riparte il tour sarete pronti a urlare con loro e a condividerne l'energia. Primo appuntamento in Italia il 23 febbraio a Pesaro!