L'opera di Richard Strauss è "Un soggetto bestiale e commovente", ha detto il direttore musicale Antonio Pappano
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Cento minuti senza pausa, atto unico che ti immerge in un oceano misterioso e buio di odio violento e amore sublimato, di vendette, eroismi, trionfi e sconfitte della coscienza, inviolabili volontà delle divinità dell’Olimpo. Elektra di Richard Strauss è tragedia greca e decadentismo mitteleuropeo, è canto dal ritmo inesorabile e musica sfavillante di mille luci e riflessi. “Un soggetto che mostra un lato selvaggio, direi anche bestiale. Ha però anche un lato umano, fragile, commovente”, ci ha detto durante un’intervista il direttore musicale di Santa Cecilia Antonio Pappano.
Il mito da cui Elektra proviene è quello ellenico raccontato da Sofocle e riscritto da Hugo Von Hofmannshtal: Elettra odia la madre Clitennestra, la quale ha assassinato con la complicità dell’amante Egisto il proprio marito Agamennone, re di Micene. Elettra vuole vendicare il padre uccidendo i due e si prepara a farlo quando giunge inaspettato il fratello Oreste. È lui a massacrare nel palazzo reale la madre Clitennestra e l’usurpatore Egisto. Vendetta è fatta, Elettra ha raggiunto il suo scopo esistenziale, si abbandona a una danza isterica e cade a terra, morta.
Elektra "estrema e rara"
L’ esecuzione in forma di concerto che ha inaugurato ieri sera la stagione 2022-23 ha permesso al pubblico di concentrarsi sulla musica in continuo movimento e sui cupi, densi versi tradotti in Italiano in uno schermo ben visibile. Nessun costume, nessuna scenografia, azioni appena accennate dai cantanti.
Grandi registi hanno messo in scena Elektra, ma stavolta, al Parco della Musica, tutta l’attenzione è stata per il suono. “C’è un’orchestra gigantesca che asseconda ogni minima parola. In sé la parte orchestrale è teatro. Posso dire che è una cosa estremamente estrema, ma anche di una bellezza rara”, commenta Pappano.
L’ opera è del 1909, quando il linguaggio musicale stava radicalmente cambiando: un’opera che era di avanguardia allora e che mantiene una potenza aspra e dirompente anche oggi. L’esecuzione ha messo pienamente in luce quanto musica e parole vicendevolmente si rincorrano e si rispondano in un effetto complessivo che ha creato stupore e tensione.
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Un lungo applauso
Applausi compatti e lunghissimi alla fine del concerto: la quota maggiore è andata a Pappano, che ha cominciato il suo ultimo anno da direttore musicale di Santa Cecilia. Apprezzata Ausrine Stundyte, la soprano lituana che ci ha dato un’Elettra altera e manipolatrice. Molti applausi anche per Petra Lang, la mezzosoprano di una Clitennestra dominata dalla paura del destino. Elisabet Strid, soprano, completava il quadro delle principali donne dell’opera: la sua Crisotemide, sorella di Elettra, era una donna sopraffatta da un vicenda troppo più grande di lei. L’ Egisto di Neal Cooper e l’Oreste di Kostas Smoriginis hanno avuto la loro parte di battimani. Il fragore dello applauso si è fatto più grande quando a riceverlo sono stati l’orchestra e il coro dell’Accademia. Quest’ultimo compare sugli spalti che sovrastano il palcoscenico nella parte finale di Elektra, scandendo con impressionante potenza il nome fatidico di Oreste.
È stata la prima esecuzione di Elektra nei concerti di Santa Cecilia, che ha una tradizione soprattutto sinfonica.
Uscendo dalla sala alla fine dell’esecuzione sento casualmente un frammento di conversazione tra due spettatori in fila vicino a me: “Non pensavo fosse così bella, non l’avevo mai sentita”, dice uno all’altro. Mi sono rallegrato per questo signore sconosciuto: il giorno in cui un capolavoro entra nella tua vita è un giorno memorabile.