È stato un live fuori dagli schemi e pieno di sorprese quello del cantante milanese. Il modo migliore per celebrare (con un anno di ritardo) i 25 anni del suo album più controverso ma, anche in generale, una vita vissuta sempre al massimo
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Quando nel 1996 uscì La fabbrica di plastica in tanti non capirono: troppo acido, troppo rock, troppo poco italiano e forse un po’ troppo Gianluca Grignani. Se, ai tempi di Destinazione paradiso, si poteva chiudere gli occhi e fingere di avere davanti un idolo delle teenager qualsiasi ora la maschera era caduta. Il cantante si mostrava finalmente per quello che era senza sovrastrutture: in La fabbrica di plastica emergeva la Rok Star (non è un refuso ma la citazione del titolo di un brano), l’artista che davvero desiderava essere. Sul momento, non tutti apprezzarono ma con l’andare del tempo fu impossibile non riconoscere il valore dell’operazione. Oggi quell’album è un classico unanimemente riconosciuto e la celebrazione del suo venticinquennale (ritardata di un anno causa pandemia) è stata un modo anche per rimettere in ordine tutto.
La Fabrique di plastica
Al Fabrique di Milano si è visto un concerto gioiosamente senza regole, dove l’artista ha “fatto l’artista” scompaginando la scaletta e fregandosene del programma prestabilito. Non c’era d’altra parte maniera migliore per omaggiare quel lavoro così coraggiosamente sperimentale, che risentiva dell’ascolto di band come i Radiohead e che era un ufo nell’Italia di quel periodo. Un album talmente strano da dover essere registrato ad Abbey Road, con la collaborazione di chi con band come Oasis o appunto Radiohead ci aveva lavorato davvero.
Come allora, anche stavolta Grignani ha fatto a modo suo, celebrando uno dei dischi più autenticamente rock della musica italiana a casa sua, a Milano, al Fabrique. Ha rinunciato al Forum “anche per poter avere biglietti a prezzi bassi”, per sentire meglio il calore di un popolo che è cresciuto anno dopo anno, come la considerazione generale per La fabbrica di plastica.
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dove eravamo rimasti
La promessa era quella di suonare per la prima volta live tutto il disco uscito nel 1996, dall’inizio alla fine. In mezzo ci sarebbe stato un intermezzo, con tutti i successi di una carriera dove Grignani si è evoluto diventando tante cose diverse. Tutte le meravigliosi contraddizioni dell’artista milanese sono riemerse nelle due ore abbondanti di concerto. Abbiamo assistito a un’esibizione dalla vena anarchica, dove l’artista si prende persino la libertà di non eseguire una hit come Falco a metà, in barba alla scaletta e a quanti stream faccia ancora su Spotify (il conteggio mentre scriviamo è fermo a 3003057 riproduzioni). Alla fine l’uomo sul palco non resiste e decide di cambiare all’ultimo pure la chiusura, passando da Qualcosa nell’atmosfera a Il cielo sopra il 2000, senza che nessuno possa avere da eccepire. In fondo la sensazione è che in fondo sia meglio così. Il titolo dell’evento era chiaro ma conteneva in sé una promessa ambiziosa: La fabbrica di plastica and only the best. Ora possiamo dirlo: quanto era stato assicurato ha finito per essere poi garantito, anche se nell’ordine e nel modo a volte meno ortodosso. D’altronde Grignani lo aveva anticipato: “Questo disco è per la gente, perché in fondo parla di loro e di me”. Un popolo di ascoltatori che si è ritrovata per una sera nel 1996, scoprendosi sì cambiata ma non troppo. Quanto basta, come nelle ricette.