Il brano racconta una storia vera, accaduta negli anni venti del secolo scorso nel New Jersey. Il video è introdotto da un testo esclusivo dell'artista
RadioMagia è una brano uscito quasi di getto. Appena dieci minuti per la parte strumentale, poche take di improvvisazione per la parte vocale poi assemblata nelle sue parti migliori, più una traccia di ottoni in fase di completamento. Il testo è stato scritto in un secondo momento. RadioMagia racconta di una storia vera, accaduta negli anni venti del secolo scorso. Siamo nel New Jersey, qualche anno dopo le scoperte riguardanti la radioattività. I prodotti radioattivi che conquistarono il mercato purtroppo fecero grandi danni. Una fabbrica locale assume personale per la colorazione dei quadranti degli orologi. Saranno delle giovani donne ad occuparne i posti, in un momento storico dove l’occupazione femminile praticamente era inesistente. Un’occasione come questa sembrava essere la felicità di un futuro più agiato e tranquillo. Tuttavia la storia ci dirà che quel lavoro sarà pagato con la loro stessa vita. Per applicare il radio nei quadranti, le giovani operaie da prima inumidiscono con le labbra le setole del pennello per poi immergerle nella sostanza ed applicare il radio sui numeri - una pratica che risulterà fatale. Morirono tutte, tranne quelle che per una provvida intuizione, si licenziarono. Le ossa cominciarono a sgretolarsi e non ci fu più nulla da fare.
Il video però racconta un’altra storia, una storia strana, un sogno. Era da tempo che volevo pubblicare una canzone col supporto video di un cartone animato. Ho voluto inventarmi qualcosa. E così, un po’ alla cieca, ho cominciato a disegnare, ad articolare questa storia di tre dirigibili e del loro strano viaggio tra partenze, imprevisti di percorso e atterraggi da incubo. Nel video ricopro il ruolo di tutti i personaggi. Elementi comuni offrono facili collegamenti a citazioni tratte da film. Sono nei panni di Oliver Reed che abbandona il dirigibile in fiamme a bordo di una scialuppa/mongolfiera come dentro “Assasination Bureau” (B. Dearden 1969); precipito dalla statua della libertà al posto di Norman Lloyd come in “Saboteur” (Hitchcock 1946). Non muoio, vengo ricoverato in ospedale come in “L’inquilino del terzo piano” (Polansky 1976). A trovarmi vengono Roman Polansky (sempre interpretato da me) e Isabelle Adijani che del film era la protagonista. Mentre uno dei tre dirigibili sorvola la città, la mamma di Antoine Doinel (e qui cito “I 400 colpi” di F. Truffaut del 1959) si guarda allo specchio, si carezza le guance e forse riflette sul tempo, il tempo che non esiste, ma passa, passa in fretta. Ma perché il cartone animato? Perché il disegno? Perché come dice Robert Hughes “il disegno non muore mai. Riesce a sopravvivere perché la fame che soddisfa - il desiderio di un rapporto attivo, investigativo, manualmente vivido con le cose che vediamo e desideriamo conoscere, è evidentemente immortale”. Arrivo al disco dal titolo “Phara Pop Vol. 1”: un doppio album che vedrà la luce prossimamente per Creamcheese Records e che non conterrà questo primo singolo. Come era d’abitudine per i Beatles i singoli si pubblicano per conto loro…Beatles docet.