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International Washing Machines canta le False Ipotesi: il video

Musica

Il brano nasce durante un periodo pieno di dubbi, dove tutto era in sospeso e aleggiavano sensazioni contrastanti. Il video è introdotto da in testo originale dell'artista

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International Washing Machines, al contrario di quello che sembra, non è un una band, ma è il progetto musicale di un singolo, cioè io: Matteo Scansani. Il progetto nasce da un mio bisogno di tradurre la realtà che mi circondava, sia fisica che astratta, e i miei pensieri in un qualcosa di intimo che mi permettesse di esprimermi al meglio. Avevo anche bisogno di dare un’ordine alla mia mente, che molto spesso si ingarbuglia e fa dei brutti scherzi. Così ho capito che l’unico mezzo che avevo a disposizione per soddisfare questi miei bisogni era la musica, che poteva comprendere anche un’altra mia grande passione: la scrittura. Così ho iniziato il mio percorso, che mi piace definire un percorso di “continua ricerca”, dove non

so la meta e non so neanche quanto possa essere dannoso. Vedremo.

False ipotesi
 è un brano che nasce durante un periodo pieno di dubbi, dove tutto era in sospeso e provavo delle sensazioni contrastanti: da una parte c’era la paura dell’ignoto e dall’altra l'ebbrezza di quando sei in bilico sulla fune immaginaria chiamata futuro. Mi sono sentito di trasformare queste sensazioni in vibrazioni e di provare a descrivere quello che mi circondava, quello che vivevo, a volte come spettatore, a volte come protagonista. Volevo inoltre ricreare un’atmosfera che fosse in grado di alienare l’ascoltatore da se stesso e dal contesto che lo circonda mentre ascolta il brano, così da creare la giusta situazione per essere concentrati sul significato del testo. Allo stesso tempo la musica doveva fungere anche da

trasportatrice di parole. Credo che si capisca che sono nate prima le parole che la musica in “false ipotesi”.

Trovare i suoni giusti per il brano non è stata una cosa semplicissima: inizialmente nasce come un pezzo suonato da una chitarra acustica, con una batteria quasi assente, un basso molto basilare e con un’elettronica minimale che fungeva da tappeto. Il tutto si è poi evoluto: ho scelto di passare dalla chitarra acustica a quella elettrica, così da riuscire a trasmettere un suono forse leggermente più freddo, ma sicuramente più elaborato e studiato per il pezzo; la batteria è diventata il maestro

che regola l’andamento del brano, ritmata sulle strofe e molto ripetitiva, per poi creare delle movenze quasi tribali sul ritornello ed esplodere sulla parte finale; la parte elettronica ha mantenuto il suo ruolo di tappeto, ma posso dire che le maggiori conoscenze acquisite nel tempo mi hanno permesso (insieme a Mauro Rosati) di osare di più senza essere troppo invadente; il basso invece (frutto del lavoro di Eugenio Bordacconi, mio produttore) ha assunto, soprattutto nel ritornello, un ruolo quasi di primo piano, dando una grande mano nella creazione di quell’atmosfera

sopracitata.

Il testo è invece stato scritto in due momenti diversi, molto distanti tra loro: la parte cantata è stata scritta due anni fa, mentre invece il monologo parlato è stato partorito poco prima di registrare le voci, mentre assistevo all’organizzazione di una vacanza di altre persone, fatta in un modo che in quel momento mi è sembrata la triste metafora dei nostri tempi post-moderni.