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Come poche cose al mondo è il singolo di Giovanni Carnazza: il video

Musica

Uno scenario post-apocalittico in cui i colori compaiono lentamente come a dipingere il graduale percorso interiore rispetto al riconoscimento della bellezza dell’esistenza. Il video è introdotto da un testo originale dell'artista

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Nasciamo sulla stessa terra dove poi ritorniamo quando finisce il nostro tempo e nel corso della nostra esistenza cerchiamo sempre in continuazione le nostre radici, le motivazioni profonde del nostro stare al mondo. Ci sono stati momenti in cui mi sono sentito appartenere a un luogo, come se lo scenario in cui improvvisamente mi ritrovavo rappresentasse di fatto il mondo dal quale provenivo. Tutte le volte che ho provato questa sensazione mi rendevo conto di trovarmi lontano dall’umanità: ero solo a contatto con la natura, una natura incontaminata che era riuscita a resistere

o a prevalere di fronte all’avanzata dell’uomo. Con il passare degli anni ho però compreso l’importanza degli altri nella mia esistenza, come se non potessi di fatto esistere senza la testimonianza di chi aveva deciso di far parte della mia vita. Ogni volta che il dolore della carne diventava troppo grande da poter essere sopportato e io non facevo altro che lottare contro il richiamo ancestrale della Terra a ritornare cenere, i miei affetti diventavano bastioni di resistenza a non perdermi d’animo. È strano quanto la sofferenza apra gli occhi sulla bellezza dell’esistenza: amare la vita anche nel rinnegarla, comprenderne le sfaccettature e le ripercussioni rappresentano

momenti chiave nel percorso di consapevolezza che ognuno di noi dovrebbe compiere. Aprirsi agli altri però porta con sé la possibilità di rimanere ferito. Sono stato male tutte le volte in cui le persone cui volevo bene avevano deciso di andarsene. Poi ho capito che questo perdersi e lasciarsi fa parte della ciclicità della vita, dello sviluppo naturale delle cose: la fenice che rinasce dalle proprie ceneri come metafora fondamentale del corso ineluttabile dell’esistenza. L’eterno ritorno dell’uguale con la consapevolezza, tuttavia, che ad ogni giro di giostra quell’apparente uguaglianza altro non è che la mutazione inerziale a cui la vita ci condanna.
 

Su queste premesse poggia la mia interpretazione del videoclip. Uno scenario post-apocalittico in cui i colori compaiono lentamente come a dipingere il graduale percorso interiore rispetto al riconoscimento della bellezza dell’esistenza. Paesaggi solitari contrapposti alla mia presenza sporadica che cerca spazio e appartenenza nel posto che la sta ospitando con incursioni dell’ideatrice del videoclip, Olga Shapoval, a ricordare l’importanza delle persone nella vita di ognuno. È stata una giornata liberatoria quella delle riprese, girate interamente alle Solfatare di

Pomezia, luogo dimenticato nei dintorni di Roma. Non c’è rete per il cellulare, vengono pochissime persone, qualsiasi rumore di civiltà è lontano e sembra appartenere a un’altra realtà. Olga è riuscita in poche ore con un semplice smartphone a creare un video poetico, mai didascalico, che esiste di vita propria al di là della musica che lo accompagna, sposando la mia idea che l’immagine non debba spiegare le parole di una canzone ma andare per la sua strada simbolica ed eterea. Perché è proprio così che si rimane arrivando alla fine del videoclip: sospesi tra la realtà e il sogno, tra

l’appartenza e il richiamo del ritorno alle proprie origini.
 

Un video di Olga Shapoval

Testo e musica: Alessandra Nazzaro / Giovanni Carnazza

Produzione: Giovanni Carnazza

Ufficio stampa: Conza press (Morgana Grancia)

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