Il nuovo disco del pianista compositore jazz italiano più acclamato dal pubblico e dalla critica con la partecipazione straordinaria di Simona Severini e Andrea Delbucco
Time’s Passage (Abeat Records) è il nuovo disco di Enrico Pieranunzi Jazz Ensemble. L’artista romano, che si colloca ai vertici del pianismo internazionale nel mondo fisico così come in quello digitale, dove colleziona più di 15 milionidi streaming Spotify con una media di 400.000 ascoltatori mensili, torna con il disco evento dell’anno nel quale la sua consueta originalità e creatività compositiva si miscela ad un’interessante svolta nell’impatto sonoro, grazie alla partecipazione straordinaria di Andrea Delbucco al vibrafono e di Simona Severini alla voce. A completare la formazione, i due partner storici: il maestro francese delle arti percussive Dedè Ceccarelli e Luca Bulgarelli.
Come nasce il disco? In lockdown o il lockdown ne ha spostato l’uscita?
Ho finito le varie post produzioni a gennaio quando ancora si parlava poco di quello che avremmo vissuto…dunque era già pronto.
Il titolo ha un valore simbolico, Time’s Passage: il suo passaggio nel tempo dove ci porta?
Ho fatto 70 anni nel 2019 e siccome in generale ho sempre amato fare riflessioni e mi pongo domande sul tempo e sul passato e dico che nell’era digitale tanto viene un po’ svilito. E’ cambiato il rapporto col tempo. Mi diverto a scrivere anche testi, questo è scritto da me. Scrivo in senso lato e anche più specifico e personale. I miei 70 anni sono stati belli pieni, non ho recriminazioni, ho speranza, si va avanti, penso ad altre uscite bloccate.
Mi incuriosisce Valse pour Apollinaire.
Amo molto la musica francese in generale, avendo una doppia vita italiana e francese. Amo molto quell’epoca dell’Europa, quella che precede la prima guerra mondiale. Penso a Debussy, Ravel, Picasso, i poeti…fu un periodo incredibile. E’ successo di tutto anche dal punto di vista scientifico in quella stagione. L’Ottocento è un secolo di grandi scoperte, basti ricordare che da poco era nato il fonografo. Per l’Europa è stato un periodo di fioritura delle arti. Il jazz è arrivato grazie due guerre mondiali, gli americani, il ballo…
Interpreta due brani, uno di Mann & Hilliard e l’altro Hamilton/Mandel: perché queste scelte?
Per Mandel ho una grande passione, non è notissimo ma ha scritto cose straordinarie, da The shadow of your smile e alla colonna sonora Mash fino a Time for love: brani che conosciamo tutti ma spesso non sappiamo di chi sono. E’ un pezzo spiritosissimo, è un pezzo positivo che può aiutare di questi tempi. Inoltre ho risuonato divertendomi il piano elettrico. Sull’altro versante ho scelto un brano fatto di tre note, quasi una ninna nanna delle ore che accompagnano alla fine della notte. Ho messo lersione in due e in quartetto perché Simona Severini è una grande interprete e ha capacità narrativa. Da anni volevo incidere questo pezzo.
A Nameless gate, una porta senza nome: cosa c’è dietro?
Espressione rubata a una poetessa americana, ci vuole coraggio a esprimersi in poesia. Mi affascina il suo codice segreto. Dietro la porta spero ci sia bella musica. Anche qui ho scritto le parole.
Oltre a Simona Severini, nell’album c’è Andrea Delbucco.
E’ una prima volta. Adoro il vibrafono, mi ricorda campanelli, carillon, il metallo vibrante, anche Babbo Natale. Volevo un disco con un suono diverso. Anche con lui ne parlavamo da anni, ci siamo incrociati a Milano anni fa e ora è arrivata l’occasione. Il vibrafono da un coloro speciale e misterioso.
Jelly Roll Morton è davvero l’inventore del jazz?
Era un personaggio di una simpatia travolgente, pare che girasse con un biglietto da visita con scritto che ha inventato il jazz. Ha iniziato nei bordelli di New Orleans. Personalmente non credo che ci sia stato un solo fondatore. Il jazz è fenomeno unico che nasce grazie a Cristoforo Colombo o Napoleone ai primo dell’Ottocento quando fu venduta la Luisiana che si chiamava Nouvelle Orleans e si è esteso il fenomeno. Morton ci giocava un po’ sull’invenzione.
A un adolescente come spiegherebbe il jazz?
Gli direi che è una musica un po’ misteriosa che vale la pena di scoprire in autonomia. E’ un luogo dove ci sono suoni particolari, diversi da quelli che si sentono normalmente. A volte è il caso che te lo fa incontrare. E’ fatto molto di innamoramento, non si sente senza un coinvolgimento. Può anche essere detestabile, è accusato di essere snob perché non nasce commerciale. Io non mi preoccupo che venda mente incido, ragiono che sia un lavoro bello secondo la mia idea di bello. Non piego la musica alle aspettative. Il jazz nasce semplice e diretto. E’ difficile anche da ascoltare, si può restare disorientati: ecco perché richiede lo sforzo di un innamoramento. Ad esempio Chet Baker prende anche un pubblico non specializzato John Coltrane no.
La emoziona ancora ricevere riconoscimenti?
Mi emoziona nella misura in cui è conferma che ho fatto cose belle. Il regalo più grande resta capire come funziona la musica: arrangiare, scrivere, comporre…c’è tanto che uno non sa. Sono belli i messaggi sui social soprattutto se riguardanti brani che io ho rimosso, sono piccoli segnali molto preziosi. Le composizioni stabiliscono un ponte con l’ascoltatore, una comunicazione indiretta ma molto forte. Spesso mi sorprende per il mare magnum che la gente ascolta come riesca a cogliere sfumature personali che magari sono sfuggite anche a me.
Oggi il jazz italiano è vivo, ha fermenti oppure non percepisce emozioni?
Enrico Zanisi è un pianista che mi emoziona. Simona Severini quando canta mi emoziona. Ci sono molti giovani validi ed è un problema perché le prospettive sono complicate. Io vorrei realizzare un disco con ragazzi individuati a Roma, tutti ventenni, e con loro condividere la musica. I giovani vanno supportati anche finanziariamente.
Che pensa dei live?
Farò delle presentazioni, qualche concerto ce l’ho, sarò a Milano la Jazz Mi. In questa situazione così complicata la musica piccola ha trovato un suo spazio. Sarà a Milano al Jazz Mi. In generale c’è una grande incertezza e si naviga a vista.