In Evidenza
altre sezioni
Altro

Per continuare la fruizione del contenuto ruota il dispositivo in posizione verticale

30 anni fa The Wall a Berlino: quando Roger Waters buttò giù il Muro

Musica

Giuseppe Pastore

Il 21 luglio 1990 il cantante e fondatore dei Pink Floyd portò in scena la sua maestosa opera rock a Potsdamer Platz, luogo simbolo di quarantacinque anni di divisioni e tensioni politiche nella capitale tedesca.

Condividi:

“Riporterai mai in scena The Wall?”, chiese l'8 agosto 1988 il disc-jockey statunitense Redbeard a Roger Waters, ospite della sua trasmissione radiofonica. “Non penso. Sicuramente non al chiuso, sarebbe troppo dispendioso”, rispose lui. “E poi, visto che The Wall è anche un attacco alla natura lucrosa di tutti i grandi tour negli stadi, sarebbe sbagliato farlo anche all'aperto in uno stadio... però a pensarci bene potrei farlo all'aperto se buttassero giù il muro di Berlino”. Fu di parola: la grandiosa opera rock immaginata e concepita dai Pink Floyd tornò a vivere il 21 luglio 1990 a Potsdamer Platz, una piazza rimasta per quarant'anni vuota e inaccessibile, terra di confine della Berlino divisa tra zone americane, inglesi e russe, a due passi dal Checkpoint Charlie, a cavallo tra l'Est e l'Ovest.

Al momento di iniziare le pulizie dell'area per allestire il palco, su Potsdamer Platz furono ritrovate grandi quantità di bombe, bossoli, proiettili e persino i resti dei bunker sotterranei usati dalle SS prima della caduta di Hitler. Il vento della Storia spirava forte: fu un concerto epocale, in grado di radunare sulle macerie del Muro abbattuto il novembre precedente oltre 200 mila persone (qualcuno dice 300 mila, altri addirittura 500 mila). Uno show trasmesso in diretta televisiva in oltre 50 Paesi a cui Waters aveva invitato il meglio del meglio della scena internazionale, dovendo incassare i rifiuti di Peter Gabriel, Bruce Springsteen o Eric Clapton, ma radunando un cast comunque stellare: Bon Jovi, Bryan Adams, Sinead O'Connor, Cyndi Lauper, Joni Mitchell, Marianne Faithfull, eccetera. Naturalmente era Roger Waters e basta, da solo, senza gli amici di una volta: la vecchia versione dei Pink Floyd aveva cessato di esistere nel dicembre 1985, il nome del gruppo era rimasto a David Gilmour ma la paternità artistica di The Wall era tutta – giustamente – di Waters. Gilmour respinse la tentazione di una riconciliazione artistica che sarebbe arrivata solo 15 anni più tardi, sul palco del "Live 8" del 2 luglio 2005.

Roger Waters "attraverso il Muro" a Berlino il 21 luglio 1990 - ©Getty

Lo show

The Wall raccontava – e racconta tuttora – la storia di Pink, personaggio a immagine e somiglianza di Waters, con tanti spunti autobiografici e ossessioni direttamente riferite a lui. La storia è impreziosita dai disegni animati del fumettista Gerald Scarfe e da memorabili trovate scenografiche come gli enormi pupazzi alti otto metri che campeggiano sul palco, il maiale volante e la stanza d'albergo dove sono ambientati i pezzi più intimisti dell'album. Tutti elementi che tornarono nel concerto berlinese del 21 luglio 1990, aperto da una versione di “In the Flesh?” eseguita dagli Scorpions, gruppo di Hannover che l'anno dopo fisserà le importanti svolte politiche della Germania nella celeberrima “Wind of Change”. Iniziò poi la vera e propria opera rock, a cominciare dai flashback sull'infanzia di Pink: sua madre era interpretata da Ute Lemper, giovane attrice brechtiana che eseguì con Waters “The Thin Ice”, con il ghiaccio sottile come metafora della precarietà della vita. Quindi la prima parte di “Another Brick in the Wall”, che parla di un padre pilota d'aerei morto in guerra e mai conosciuto (proprio come il vero padre di Waters, Eric Fletcher Waters, morto ad Anzio nel 1944 durante la Seconda Guerra Mondiale), poi i primi problemi con l'autorità sperimentati a scuola in “The Happiest Days of our Lives” e il pezzo più famoso dell'album, “Another Brick in the Wall (Part 2)”, eseguito da Cyndi Lauper.

approfondimento

Pink Floyd, "The Wall" compie 40 anni. FOTO

Sulle macerie

Torna la figura materna (in “Mother”, eseguita da Sinead O'Connor), il muro cresce sempre più opprimente e minaccioso e oscura il cielo azzurro, cui Joni Mitchell dice addio in “Goodbye Blue Sky”, mentre Pink cresce e diventa una rockstar attratta dagli aspetti più effimeri e materiali della sua vita: Bryan Adams li riassume in “Empty Spaces” e “Young Lust”, mentre in “Oh My God – What a Fabulous Room” Jerry Hall recita la parte di una groupie che si offriva al cantante. Poi Waters resta solo nella sua malinconia e distrugge la stanza d'albergo gettando dalla finestra ogni tipo di soprammobile a cominciare dall'odiato televisore in “One of my turns”. È il momento più cupo dell'opera: il muro isola completamente il palco dalla platea e diventa uno schermo dove vengono proiettati video e disegnati murales, mentre Waters/Pink prosegue a cantare il suo isolamento con “Is There Anybody Out There?”. Entra in scena un'ambulanza, ne scende un medico in camice bianco che porge a Pink una grossa siringa, mentre arriva Van Morrison a cantare “Comfortably Numb” sui pericoli della medicina e degli psicofarmaci (questa versione compare anche nella colonna sonora di “The Departed” di Martin Scorsese). Il coro di “Bring the Boys Back Home”, che suggerisce un parallelo tra i soldati di ieri e i drogati di oggi, entrambi vittime della follia del potere, porta all'impetuoso crescendo finale: arrivano mezzi militari simbolo di tutti i totalitarismi, una specie di Hitler che recita i versi tremendi di “Waiting for the Worms”, i disegni di Scarfe raffigurano soldati che marciano al passo dell'oca, arriva il maiale volante e quindi “The Trial”, il processo interpretato da Albert Finney, Marianne Faithfull, Ute Lemper, Thomas Dolby in cui viene emessa la sentenza liberatrice: “Abbattete il muro”. E il Muro crolla sulle note di “The Tide is Turning (after the Live Aid”), la nuova canzone – come suggerisce la frase tra parentesi nel titolo – ispirata al vento del cambiamento proveniente anche dai nuovi concerti di massa come quello benefico di Wembley del luglio 1985. Si canta sulle macerie, tra i brividi e le lacrime degli spettatori: l'epilogo di un'opera indimenticabile che verrà rimesso in scena soltanto vent'anni dopo, in un tour mondiale lungo tre anni che in Italia è approdato a Milano (dal 1° al 5 aprile 2011), a Padova (26 luglio 2013) e a Roma (28 luglio 2013).

approfondimento

Pink Floyd: 50 anni di storia della band in mostra a Roma