Che Io Mi Aiuti è il primo album ufficiale di Bresh, rapper genovese che in questo lavoro si libera dei suoi conflitti interiori e delle ansie generazionali per andare a conquistare il futuro consapevole della propria forza. L'INTERVISTA
(@BassoFabrizio)
Oggi è difficile trovare qualcuno che sfoglia un giornale quindi potete immaginare lo stupore quando un giovane rapper cita Umberto Galimberti. Bresh con Che Io Mi Aiuti infila le mani nella sua anima e ne tira fuori una consapevolezza nuova. D'altra parte se non si affrontano le proprie debolezze non si può affrontare la vita con coraggio. Dieci brani per intraprendere un viaggio verso un continente chiamato futuro. Ci siamo fatti una chiacchierata al telefono...causa coronavirus.
Partiamo dalla tua Genova.
A Genova ho, abbiamo iniziato in uno studio unendo le nostre forze. Di rap non ce n’era molto e dunque quando si è iniziato a spaccare la destinazione naturale è stata Milano.
Un salto quasi nel buio. Ma ricco di contaminazioni.
Tutto era una incognita ma si aperto un dialogo più ampio, ho allargato il giro delle conoscenze, delle collaborazioni.
Tu sei del 1996, sei parte della generazione che ha riscoperto il valore di manifestare il proprio dissenso civilmente in piazza. Ti ritrovi?
Mi riconosco, siamo la generazione della consapevolezza. Abbiamo capito che siamo nella m..a e automaticamente abbiamo reagito. Ci stiamo svegliando: siamo ancora un po’ sconclusionati ma la riscoperta delle piazze è un segnale forte e importante.
Il tuo disco è un viaggio liberatorio nella coscienza: mai piangersi addosso bensì reagire.
Il lavoro interiore su di me lo ho fatto già dalla nascita. Se hai coscienza del dolore, per citare Umberto Galimberti, è più facile sconfiggerlo. Mi sono pianto addosso per dei limiti personali poi mi sono detto che ho anche delle doti e devo valorizzarle.
Canti che non ci sono eroi oggi. Eppure dovrebbe essere fortunato un popolo che non ha bisogno di eroi.
Gli eroi, i miei eroi…che confusione. Non ho un punto di riferimento preciso da seguire. Potrei dire Fabrizio De Andrè poiché mi tocca l’anima, mi emoziona oppure grandi sportivi. Mi ritengo eccessivamente profondo e sensibile.
L'empatia non sempre è positiva. Spesso annulla il valore del dire no. Il no è libertà.
Sì, l'empatia non è un concetto perbenista. E' non limitare la libertà ma se infrangi la mia ti posso toccare. E’ stare al proprio posto nel rispetto degli altri.
Le tue parole sono forti: la musica può cambiare la società?
Cerco di fare musica costruttiva per chi ascolta, cerco di dare energia ai miei fan ma la mia, e molte altre, rischiano di restare azioni isolate: finché la forza comunicativa sarà in mano alle multinazionali e non esisterà un contatto con i mondi dell'istruzione e accademico è difficile che cambino le cose.
Hai paura di non essere compreso? Hai un senso di responsabilità?
Non mi sento responsabile della mia musica anche perché scrivo troppe cose personali e dunque non posso avere responsabilità. Ci sta che non sia capito ma invito a una riflessione: il lavoro fatto in un anno non si comprende in 45 minuti di ascolto. Serve dedizione.
C'è un momento in cui hai capito che la musica da gioco poteva diventare un mestiere?
Gli altri me lo hanno fatto capire. Ho iniziato a fare musica a 11 anni poi a un certo punto ho mollato. In quella fase molti mi hanno chiesto di continuare e allora ho capito che dovevo cogliere la sfida.
Che farai prossimamente?
Continua a scrivere. Poi è previsto il tour di una decina di date. Tanto per cominciare!