King Crimson all'Arena di Verona: 50 di storia e i sogni di una generazione

Musica

Fabrizio Basso

I King Crimson nel 1971
king_crimson_Getty

I King Crimson celebrano il 50mo anniversario del gruppo con un tour mondiale che li vedrà toccare tre continenti. In Italia tre appuntamenti: l’Arena di Verona, dove li abbiamo visti, e poi la Palazzina di Caccia a Nichelino (Torino) il 10 luglio e l’Arena Santa Giuliana di Perugia il 18 nell'ambito di Umbria Jazz. La recensione

(@BassoFabrizio
Inviato a Verona)


La loro musica ha camminato per 50 anni e continua a farlo. E non è facile raccontare di una band che è storia e fugge alla contemporaneità scegliendo di non farsi fotografare. Ma quando si parla di Rock e di Prog è impossibile prescindere dai King Crimson, punti di riferimento, maestri per almeno quattro generazioni di musicisti. Ma nella notte di lunedì 8 luglio all'Arena di Verona non si è solo celebrata una band, si è celebrato il genio del suo creatore, Robert Fripp, vero cardine della band e unico punto fisso in questi cinquant'anni. Lui, per natura schivo e riservato, appare sul palco che sono da poco passate le 21 e prima ancora che la musica abbracci l'Arena è standing ovation. Fripp appare sinceramente stupito da tanto affetto e decide che è il momento che lo show inizi: siede sul suo sgabello e da lì non si muoverà per due ore e mezzo.

Il pubblico si accinge allo spettacolo, neanche il tempo di sederci che veniamo avvolti da un tripudio di batterie. Non è un errore il plurale, questa formazione della band prevede ben tre batteristi davanti cioè agli altri strumentisti. Esattamente l'opposto di tutte le altre band, ma si sa che i King Crimson osano e stravolgono. Si parte con le batterie protagoniste, come è giusto che sia: uno strumento di straordinario valore, vi rammento che se una chitarra sbaglia può rientrare nel giusto ritmo mentre se è la batteria a fare una pausa tutti rischiano di andare fuori tempo. Accanto allo storico Pat Mastellotto troviamo Gavin Harrison e Jeremy Stacey, impegnato anche alle tastiere. È Hell Hounds of Krim che apre la prima parte del concerto, sotto ai pesanti e precisi colpi di rullanti, piatti e grancassa su cui i tre improvvisano e si sfidano. Gradualmente scena la furia che cede spazio all'epica Picture of a City, opening track del secondo disco della band, In the Wake of Poseido del 1970. I suoni sono chirurgici e puliti nonostante sonorità complesse e ricercate, partiture oniriche e atmosfere soffuse.

Una discografia così vasta permette alla band di giocare con la scaletta e con le tonalità: ogni versione di ogni singola canzone risulta diversa dalle altre visto che l'improvvisazione è l'elemento cardine. In occasione del cinquantenario scelgono alcuni dei brani più celebri della band abbinati ad alcuni pezzi rari. Si scivola dalle austere elegie di Epitaph alla gioiosa e più energica Cat Food, fino alla sinuosa Islands. L'improvvisazione dei musicisti continua a sorprendermi. Partendo da melodie e canzoni complesse per natura ogni musicisti, e sono sette, contribuisce con parti inedite e improvvisa variazioni del tema. Nulla sfugge all'armonia generale, la canzone resta al centro della serata. Affascinante l'approccio jazz garantito dal polistrumentista Mel Collins, protagonista soprattutto con sassofono e fiati. Una manciata di altri canzoni per qualche decina di minuti di arpeggi, suggestioni e improvvisazioni, tra cui Suitable Ground for Blues, Frame by Frame e Level Five, prima della pausa tra i due set in cui è diviso lo show.

Il secondo set parte con una incursione nel passato più recente della band con The ConstruKction of Light che manda in visibilio il pubblico. E' il momento della seduzione più profonda: arrivano le hit, molte delle quali da anni non passano nelle radio, ma che non hanno mai smarrito il loro carico di suggestioni, magia e incanto. Sono rese ulteriormente speciali da un assolo di batteria, dal contrabbasso di Tony Levin e qualche riff improvvisato di chitarra. Dopo Cirkus ecco il capolavoro che, nel 1969, ha reso la band immensa: è In the Court of the Crimson King da cui sono tratte Moonchild, allungata nel finale per permettere un momento di improvvisazione a tutti, e la possente e solenne title track, che fa esplodere il pubblico in un applauso infinito. Chiudono il set Indiscipline e Starless.

Il finale è appannaggio del brano più celebre del gruppo, un pezzo di storia della musica, che con la sua energica aura di rottura, tra virtuosismi Prog, venature jazz e primi echi di influenze heavy, rappresenta anche in questo 2019 il vero e proprio inno di un'epoca. Si tratta di 21st Century Schizoid Man, le cui liriche oniriche e strazianti sono urlate da Jakko Jakszyk. Un brevissimo saluto al pubblico e la band si allontana mentre Fripp si sofferma ancora qualche secondo per un surplus di applausi. Lasci l'Arena di Verona certo che tra 50 anni l'opera dei King Crimson continuerà a rappresentare il desiderio di cambiamento di una generazione, una eredità artistica e umana destinata all'eternità. 

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