Senza di lui, molte volte, un concerto sarebbe solo un concerto. Ma quando Space One è sul palco un concerto diventa un viaggio, una esperienza. Mi racconta la sua storia, dai tempi della scuola all'ultimo singolo Isola di Città, e le sue parole sono una camminata nel tempo a ritmo di rap e umanità
(@BassoFabrizio)
Che sei di fronte a una persona speciale lo capisci da tre motivi: il suo racconto, le sue storie sono come leggere un libro; è sempre positivo e non è facile di questi tempi; esci dal Block 51 di Milano dove cura l'arte del tatuaggio e ti senti migliore. Lui si chiama Piergiorgio Severi ma è leggenda come Space One e ha subito una sola sconfitta importante nella vita. Con Wikipedia: l'enciclopedia della rete dice che è nato a Taranto quando invece è nato a Milano. Ha parenti tarantini ma il primo vagito è milanese. Ci ha provato a correggerlo ma inutilmente e allora ha abbandonato la sfida. Tanto la carta di identità in tasca la ha lui. Mica Wikipedia. Lo ho incontrato in quel luogo speciale che è il Block 51 e abbiamo chiacchierato seduti su due poltrone da barbiere. Il loro movimento rotatorio aiuta la memoria e vi assicuro che ascoltare i suoi racconti è come entrare in una dimensione parallela. Solo che poi, quando apri la porta e torni alla quotidianità la sensazione è che sia quella la realtà parallela e la vita siano le parole di Space One (per altro fresco sposo, lo scorso 12 giugno con Emanuela Muratore).
Partiamo dalle origini, dalla storica crew Spaghetti Funk. O andiamo ancora più indietro?
Dopo gli esordi in inglese, mi legai a J-Ax e agli Articolo 31, era il 1996. Da lì la responsabilità di tenere le redini del gioco e portare quel nome che nasce alle scuole superiori.
Ecco, perché Space One?
Frequentavo l'Istituto Tecnico per il Turismo e nel 1982 avevo un cugino che si approcciava alla break dance. Io di conseguenza mi avvicinai a quelle sonorità black che fino ad allora mi erano sconosciute se non per qualche grande classico.
Il primo ricordo?
La prima cassettina fu dei Break Machine, maestri di street dance: la comprai in vacanza a Rimini per regalare a mio cugino Luciano e intanto me la sono ascoltata. Iniziate le superiori grazie a compagni più grandi sono entrato meglio nel rap, anche se già conoscevo quel mondo tramite mio cugino. Ci aggiungo che mia mamma lavorava in San Babila e quando andavo a trovarla era fissa una tappa al muretto e dunque mi trovai subito rapito e coinvolto da quel suono. Studiavo tre lingue, provai nel 1985 a fare rime in inglese e da lì è diventata una passione e siamo arrivati a Space One: mi piacevano storie extra-terrestri e dunque Space e poi mi sentivo il numero uno quindi One.
Oggi la break dance è sparita.
Solo in Italia nel mondo è in ottima salute. Se guardi i video americani ci sono ballerini nei video.
Nei primi anni Duemila hai avuto una crisi verso il rap: a cosa è dovuta?
Non è esatto. Non verso il rap ma verso l’industria musicale. Usciamo dal ghetto, raccontiamo la vita, educhiamo i giovani a fare lo stesso ed è un mix di educazione e intrattenimento. Poi è venuta a mancare quella trasmissione di cultura. Quella pausa artistica mi porto fuori dal mondo musicale. Ma mai mi sono allontanato dal mondo: dopo i passaggi su MTV, la radio, l’esplosione mi trovai ad avere difficoltà ad aprire certe porte, e quindi smisi.
La contemporaneità e la diffusione del Rap sono dovute al fatto che racconta la vita? I rapper sono i nuovi cantautori?
Con quel nome io penso ai grandi, a Fabrizio De Andrè, Francesco Guccini, Francesco De Gregori e pochi altri. Tra quelli che nel mio genere si avvicinano a quei nomi cito Ax che ha avuto la forza di percorrere ogni era. Lui ha alle spalle una lunga scuola di musica italiana e ci metto anche quelli più rivoluzionari come Rino Gaetano. Ha sempre capito come parlare anche a chi il rap non lo capiva. Ha sempre la chiave giusta per entrare nel cuore e nella testa della gente.
Come lo hai conosciuto?
Abbiamo iniziato con Zippo e lui mi parlava di un ragazzino che stava iniziando ed era molto bravo. All'epoca frequentavo l’Hollywood, quello vero quando la sera ci trovavi gli ZZ Top che scrivevano una canzone. Ecco la prima volta è stato all’Hollywood. Successivamente sentii la sua musica e nacque una forte amicizia.
Poi che è successo?
Poco prima dei suoi esordi andai per un po’ a Miami e quando tornai era esploso il fenomeno Articolo 31. Quando le radio iniziavano a interessarsi al fenomeno accadde un gruppo fece casino a Riccione e disturbò una serata di Radio DeeJay. In quel periodo quando arrivava all'emittente un progetto Rap Albertino mi chiedeva consulenza e sugli Articolo 31 gli dissi di andare tranquillo. E iniziarono a passarli.
Tu sei un Hype-Man: stai sul palco con una responsabilità enorme. Sei un'ombra senza la quale un concerto faticherebbe a decollare.
Quando fai l’Hype Man sai perfettamente cosa devi fare. Io fui il primo. Ho vissuto molto in America e ho vissuto la cultura black americana. Bisogna aumentare l’energia che si da alle rime, al pubblico e ai ritornelli. Non è facile ma dopo 25 anni con J-Ax so già dove molla, dove prende fiato, dove sale con la voce, dove coordina il pubblico. L'esperienza ti porta a farlo al meglio. Posso dirti una cosa?
Certo.
I numeri 1 lavorano con i numeri 1.
Oggi la Rete agevola la popolarità.
Chi ha talento viene fuori ma resta un'arma a doppio taglio perché fornisce anche l’illusione di farcela. Il passaparola va affrontato con attenzione ma ciò detto resta un aiuto e ha molti ha portato un contratto. La rete è lo scouting di questa epoca.
Il Rap resta una forma di educazione?
Oggi ci sono pochi rapper che cercano ancora di educare. Ora nei testi c'è una ostentazione esagerata di ricchezza, donne e soldi. Forse lo hanno fatto in passato. Non ci sono esempi positivi.
Dal passato?
Ne cito uno. Tupac era un Black Panther con la musica, arrivava da New York e col suo linguaggio interagiva serenamente con un ragazzino argentino.
Hai vissuto molto negli States: hai mai pensato che potevi trasferirti Oltreoceano?
Mi hanno bloccato la famiglia o il lavoro oppure un amore americano che finiva e dunque rientravo a casa. Comunque non rimpiango nulla.
Ti sei appena sposato?
Matrimonio a 48 anni e ogni tanto penso che potremmo andarcene da questo paese di me..a e andare negli Stati Uniti. Ma alla fine scegliamo l'Italia.
Che fai in estate?
Sono in tour con J-Ax, poi è uscito il mio singolo Isola di Città col featuring di Chiara Galiazzo. Poi ci saranno altre cose in arrivo ma più sul mondo dei tattoo (Space One al Block 51 ha un suo spazio da tatuatore, ndr). Resta comunque la voglia di fare qualcosa di nuovo pure musicalmente, un altro singolo.
Sei uno istintivo nella scrittura?
Quando registro è buona la prima ma quando scrivo no. Non riempio i cassetti di appunti.
Sei un accumulatore?
Di un'epoca bisogna vedere quanto rimane. Ora sta tornando la moda Anni 80 e il Punk. Si chiudono cicli e si riaprono. Io tendo a buttare via ma per alcune cose sono un accumulatore.
Tipo?
Collezione i pass, ognuno racconta una storia.
Cosa canti sotto la doccia?
Niente perché la mia doccia è veloce con insaponata e scrubbing ma in bagno ho una cassa per ascoltare.
A un ragazzino di 8, 9 anni che ti chiedesse cosa è il Rap che risponderesti?
Se lo chiedesse a me sarebbe fortunato…il bambino. Se non sei mai stato con i neri non puoi sapere come vivono e cosa pensano.
Tradotto: se di un mondo non ne sei parte non puoi parlarne. E invece troppi lo fanno: giusto?
Direi di sì. Ecco perché sarebbe un bambino fortunato a parlare di Rap con me.