“Gli asteroidi sono fatti della stessa materia dei pianeti, a cui gravitano intorno senza trovare una propria collocazione: si perdono per traiettorie imprevedibili, spesso rischiando collisioni violente” Con questa immagine fissa in testa il trentanovenne bolognese Germano Maccioni - reduce dal bel documentario Fedele alla linea, dedicato all’ex cantante dei CCCP Giovanni Lindo Ferretti – ha iniziato a girare il suo lungometraggio d’esordio, intitolato appunto Gli asteroidi, poi presentato all’ultimo Festival di Locarno e dal 1° novembre visibile nelle sale cinematografiche
Il film di Maccioni racconta la storia di tre ragazzi di oggi sperduti nella provincia italiana, in particolare quella bolognese: un tempo florida, oggi impoverita dalla crisi economica; della quale rimangono, come vestigia di un passato forse rimpianto, le vecchie insegne del Pci e le balere in cui si continua, nonostante tutto, a ballare il liscio. In questo paesaggio vagamente tetro, i tre adolescenti fanno quello che possono, aggrappandosi a un vitalismo anagrafico che il contesto ostile s’incarica tuttavia di frustrare puntualmente. Pietro vive con la mamma in una casa a rischio pignoramento a causa dei debiti contratti dal padre che (come ci raccontano troppo spesso le recenti cronache) dopo averli accumulati si è tolto la vita. Il suo amico Ivan, pur di non finire a lavorare in fabbrica (come un padre al quale, ancora una volta, non si vorrebbe mai assomigliare), si arrabatta a lavorare in una pizzeria che è la copertura di un malvivente con cui ruba i candelabri in chiesa. Infine Fabio detto Cosmic: fissato con filosofia e astronomia, è ossessionato dall’arrivo di un asteroide che, secondo le previsioni, rischierebbe di colpire la terra annientando l’umanità.
Racconto di formazione calato in una contemporaneità piuttosto verosimile, Gli asteroidi è interpretato da un gruppo di attori esordienti scovati nelle scuole della Città metropolitana di Bologna, supportati dalla bravura consumata di Chiara Caselli, nel ruolo della mamma di Pietro, e da quella del grande Pippo Delbono, in quello del truce proprietario della pizzeria. La colonna sonora è affidata al gruppo elettro-pop bolognese Lo Stato Sociale.
Nonostante alcune ingenuità, il film di Maccioni scorre via piuttosto gradevolmente, riuscendo persino a commuovere grazie alla poesia di Eugenio Montale, Meriggiare pallido e assorto, che segna uno dei passaggi cruciali del fragile e violento percorso di crescita del giovane Pietro.