Arancia Meccanica, il futuro disturbante di Kubrick che ci parla ancora

Dal 13 al 15 ottobre 2025, "Arancia meccanica" torna nei cinema italiani in versione originale con sottotitoli italiani. Non è solo una riedizione, ma un rito collettivo: sedersi in sala oggi, come nel 1971, significa affrontare uno specchio che riflette la parte più oscura di noi. La sequenza iniziale è già un manifesto: su uno sfondo di rosso accecante appare il titolo, e subito un piano sequenza in primissimo piano sul volto di Alex. Occhio spalancato, ciglia finte, bombetta inclinata: sembra una fotografia immobile, e invece, con una carrellata all’indietro, lo spazio si rivela. Il Korova Milk Bar prende forma, il Latte+ scintilla nei calici, compaiono gli altri drughi. Alex inizia il suo monologo con quella voce melliflua e crudele, e lo spettatore è già prigioniero del suo sguardo. Kubrick costruisce un trionfo di simmetrie, di ritorni speculari, come se la violenza fosse anche geometria, coreografia ossessiva. Latte+ come cocktail del secolo Prima di scatenarsi nella notte, Alex e i suoi drughi bevono Latte+, un latte “rinforzato” con droghe psicotrope. È il cocktail più inquietante della storia del cinema: innocente nel nome, letale nella sostanza. Un "Quattro bianchi" al cianuro, un White Russian avvelenato. È l’ebbrezza che non rilassa, ma arma la mano. Kubrick lo trasforma in simbolo: l’euforia e la violenza mescolate nello stesso bicchiere. Violenza estetizzata, violenza condivisa Alex canta "Singin’ in the Rain" mentre commette lo stupro, balla tip tap tra il sangue. La brutalità diventa spettacolo. Nel 1971 fu scandalo, oggi appare profezia: la violenza trasformata in performance, in intrattenimento virale. Kubrick aveva già intuito che l’orrore potesse diventare show, e ci mise Beethoven a fare da contrappunto. In un’epoca di dirette social e di aggressioni filmate, quella danza macabra risulta più attuale che mai. Arte, citazioni, contaminazioni Kubrick non parla solo di violenza: parla di arte. Nel Korova Milk Bar, i corpi femminili diventano arredi, sedie e tavoli. Una scelta che riecheggia le provocazioni di Allen Jones e le sue sculture Chair e Table del 1969, dove il corpo femminile veniva ridotto a oggetto funzionale. E quando Alex ha un’ora d’aria in carcere, la macchina da presa cita apertamente Van Gogh e la sua Ronda dei carcerati. Kubrick trasforma la tela in immagine vivente: i detenuti che camminano in cerchio, osservati dall’alto, diventano eco pittorica e insieme visione claustrofobica. È la prova ulteriore che "Arancia meccanica" è un museo in movimento, un film che dialoga con la storia dell’arte e la ribalta. Beethoven, Rossini e il negozio di dischi Beethoven ritorna però subito dopo, in una scena cult ambientata nel negozio di dischi. La nona sinfonia risuona rielaborata elettronicamente, mentre Alex percorre lo spazio come un re, con abito elegante e atteggiamento spavaldo. La scena è carica di riferimenti sessuali: dai lecca-lecca fallici alla rivista erotica che Alex sfoglia con noncuranza. Qui Kubrick mostra un ragazzo che vive la musica come potere e seduzione. Subito dopo, l’incontro con due ragazze conduce a una scena di sesso accelerata sulle note del "Guglielmo Tell" di Rossini. Un crescendo gioioso reso meccanico dal montaggio, che trasforma l’atto più intimo in gesto parodico, satirico, meccanizzato. Kubrick stesso dichiarò: "Mi pareva che consentisse di rendere satirica sullo schermo la scena di un banale rapporto sessuale". Il libero arbitrio come malattia La “cura Ludovico” resta il cuore filosofico. Alex non può più compiere violenza, ma non per scelta: è condizionato, come un ingranaggio a molla. È l’arancia che sembra naturale e dentro è meccanica. Senza scelta, dice il cappellano, non c’è più uomo. Oggi, tra algoritmi che orientano consumi, IA che riscrivono desideri e propaganda che si traveste da informazione, quel tema è più vivo che mai. Scandalo, censura, mito "Arancia meccanica", film cult di Stanley Kubrick del 1971, fu subito scandalo. Accusato di incitare alla violenza, vietato ai minori, perfino ritirato dallo stesso regista in Inghilterra dopo lettere minatorie. In Italia restò proibito agli under 18 fino al 1998. Ma il proibito alimenta il mito: vederlo significava appartenere a una comunità di iniziati. Oggi che il film torna in sala, quel tabù diventa rito culturale. Icone pop che non smettono di mutare L’estetica dei drughi – bianco candido, ciglia finte, sospensori da rugby – è diventata moda, citazione, travestimento. Dai club londinesi ai videoclip di popstar contemporanee, Alex è ovunque. È un’icona che non invecchia, perché non rassicura mai. Si reinventa, muta, contamina. Ogni generazione trova nel suo sguardo un riflesso disturbante. Un pugno che resta nello stomaco Arancia meccanica non offre scorciatoie morali. Non consola, non chiude con una sentenza. Ci lascia nel disagio, nella zona grigia tra fascino e orrore. “Nel 1971 fu uno shock, oggi è ancora un salutare pugno nello stomaco”, scrisse il Mereghetti. Non sorprende allora che Luis Buñuel abbia sentenziato: “Arancia Meccanica è l’unico film in grado di spiegare davvero cosa sia il mondo moderno”. Un giudizio che pesa come un marchio di fuoco, e che spiega perché ancora oggi il film resti necessario. Tre giorni in sala, un’eternità nei nostri incubi Dal 13 al 15 ottobre 2025, per tre giorni, "Arancia meccanica" torna sul grande schermo in versione originale con sottotitoli italiani. È poco, ma basta: il tempo di farsi ancora una volta ipnotizzare da Alex e dal suo ghigno. Perché "Arancia meccanica" non si guarda soltanto, ci guarda. E ogni volta che Alex fissa la camera con il suo occhio ironico e crudele, ci costringe a rispondere alla stessa domanda: e tu, fratellino, da che parte stai? CUriosità da bancone "Singin’ in the Rain" improvvisata: Malcolm McDowell cantò e ballò la canzone sul set per caso; Kubrick ne fu così entusiasta da acquistare subito i diritti. Milena Canonero e il bianco degenerato: i costumi dei drughi, pensati come incrocio tra poliziotti e supereroi perversi, trasformano la purezza in perversione. Kubrick e la censura: in Inghilterra il film fu ritirato dallo stesso regista dopo minacce; tornò in sala solo dopo la sua morte. Un film-cocktail: Rossini, Beethoven, Pop Art e ultraviolenza; Kubrick distilla generi diversi come fossero ingredienti di un long drink disturbante. Se "Arancia Meccanica" fosse un cocktail Se "Arancia meccanica" fosse un drink, sarebbe inevitabilmente il Latte+ del Korova: bianco come la purezza e sporco come la mescalina. Un cocktail che inganna con l’innocenza del latte e poi ti rovescia addosso il brivido della violenza. Più corrosivo di un Martini sbagliato, più disturbante di un Negroni sbilanciato, è la bevanda che non consola ma accende il lato oscuro. Kubrick lo serve come un barman sadico: bicchiere scintillante, sorriso ironico, e poi il colpo secco che ti lascia stordito. Bevi e non sei più lo stesso. Perché "Arancia meccanica" è questo: un sorso che brucia, un cocktail che non smette di girarti in testa, molto tempo dopo l’ultima inquadratura.

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Arancia Meccanica, il futuro disturbante di Kubrick che ci parla ancora

Paolo Nizza