"La vita straordinaria di Ibelin", entrare in un videogioco per affrontare la malattia

"La straordinaria vita di Ibelin", il documentario diretto da Benjamin Ree distribuito da Netflix, è uno dei ritratti più riusciti e commoventi del legame che si può instaurare tra vita quotidiana e videogioco. Nemmeno per un momento c’è il tentativo di semplificare o di banalizzare quelli che sono i rapporti tra causa ed effetto, e non c’è neppure l’intenzione di spogliare il linguaggio videoludico della sua ricchezza e – cosa, forse, più importante – delle possibilità che può offrire al giocatore. L’Ibelin del titolo è il nickname che Mats Steen, un ragazzo norvegese affetto dalla Duchenne, una malattia degenerativa muscolare, aveva scelto per il suo personaggio su World of Warcraft. Quando Steen è scomparso, i suoi genitori e sua sorella hanno ereditato la password del suo blog – e non è chiaro se per una pura coincidenza o per una precisa volontà di Steen. In questo modo, i due mondi, le due vite, hanno finito per incontrarsi e conoscersi. Con il progredire della sua malattia, Steen ha cominciato a passare sempre più tempo online. Per i suoi genitori non è mai stato facile capire perché. Per loro, un videogioco era “solamente” – virgolette obbligatorie – un videogioco. Quando però hanno ricevuto decine e decine di e-mail dalle persone che Steen aveva conosciuto attraverso Ibelin, hanno finalmente capito: la vita che avevano sperato che loro figlio vivesse era avvenuta altrove, a una manciata di click da loro. Per Steen, WOW non è mai stato un sostituto della realtà: è stato, semmai, un’estensione di sé stesso, una possibilità per fare finalmente amicizia e per innamorarsi. A ogni invito a usare la chat vocale o a farsi riprendere da una webcam, Steen ha sempre risposto di no. Ha scritto, e ha scritto tanto, e alla fine, contando tutte le chat delle sessioni di gioco, si arriva a più di 45mila pagine. Ree, per il suo documentario, ha sfruttato questo archivio ampissimo e ha ricostruito – grazie a un motore grafico del tutto simile a quello di WOW – la vita di Ibelin. Con l’aiuto di doppiatori e l’alternanza di riprese dal vivo, tra interviste e testimonianze, e immagini sviluppate al computer, ha creato un doppio canale in cui poter raccogliere ogni cosa: il videogioco, la crescita di Steen, la sua infanzia, il rapporto con i genitori e con la sorella; la malattia e il suo progredire; la sofferenza, la paura costante; persino, e forse soprattutto, la sua fragilità come essere umano e il suo bisogno di provare a essere in qualche modo rilevante. Su WOW, Steen è stato sé stesso. Ed è stato in grado, talvolta in modo del tutto indiretto, di aiutare gli altri: ha riavvicinato una madre e suo figlio; ha aiutato una ragazza a trovare un dialogo con i suoi genitori; ha ascoltato, scherzato e preso parte a quest e a chiacchierate, e si è divertito, si è arrabbiato ed è stato deluso. In particolare, però, ha amato. Sarebbe riduttivo, ora, generalizzare il discorso e dire, in modo assoluto, che i videogiochi sono molto più di mondi virtuali, che nei videogiochi c’è solo del bene e che i videogiochi sono un futuro possibile. La verità è sempre più complicata e sfumata di così, e anche di questo parla "La vita straordinaria di Ibelin". Ci sono tanti aspetti della stessa cosa che non per forza vengono colti o condivisi. Nel caso di Steen, c’era Ibelin, c’era WOW, c’erano i suoi genitori e c’era la malattia, con la sedia a rotelle e il suo appartamento. Il videogioco, inteso come spazio espressivo, era un prolungamento della sua quotidianità: non era un rifugio, una via di fuga, una scusa per non uscire o per non farsi vedere; era un modo per trovare finalmente un contatto con gli altri. Raccontando questa storia, e non nascondendosi mai dietro qualunquismi o scelte facili, Bee ha rappresentato perfettamente quanto i videogiochi possano dare alle persone e quanto genuini possano essere i rapporti e le relazioni che si stringono online, tramite una chat o qualche emoji. Non c’è nessuna ricerca frenetica di certezze e sentenze. C’è una storia, quella di Mats Steen, conosciuto anche come Ibelin, investigatore privato e nobiluomo, e c’è la storia di tutte le persone che lo hanno incontrato, online o dal vivo, e che sono state profondamente influenzate dalle sue parole e dal suo carattere. Documentari come "La vita straordinaria di Ibelin" riescono nel difficilissimo compito di tenere tutto insieme, contemporaneamente, senza abbandonarsi a soluzioni scontate e senza scendere a compromessi. C’è, in questo film, una ricchezza e una solennità incredibili. Le parole che Steen aveva scritto sul suo blog, e che oggi rimangono lì, a memoria della persona che era, hanno una forza e una chiarezza uniche. Sono piene di ironia, di sincerità e di maturità. Sono le parole di un ragazzo – di un uomo, anzi – che ha amato, che ha avuto paura e che ha vissuto.