Marcello Mastroianni, tra Visconti, Fellini e Loren l’antidivo che conquistò mondo

“Sono diventato attore all’italiana, cioè non per vocazione. Infatti, fu per caso e necessità. Le molle tipiche di un Paese di improvvisatori Seguitai a fare cinema perché i produttori mi volevamo, perché realizzavo un mio antico sogno di ragazzo, perché la cosa mi divertiva. Tutto qui”. Bastano queste parole per comprendere che Marcello Mastroianni è sempre stato un antidivo. Pure agli inizi della sua carriera che si dipanerà in 140 film. Sono passati 100 anni dalla sua nascita. Oggi il suo nome viene celebrato in tutto il globo terraqueo. La Festa del cinema di Roma gli ha dedicato la locandina ufficiale. "Marcellino", come, lo aveva soprannominato Federico Fellini, avrebbe liquidato i festeggiamenti in suo onore con una battuta salace. O forse si sarebbe eclissato sotto i tavoli come il Guido Anselmi di 8 ½ quando cerca di sfuggire alle domande dei giornalisti durante la conferenza stampa. D’altronde, per sua stessa ammissione, è sempre stato il suo personaggio preferito, quello con cui si è più identificato. Perché va bene che l’esistenza è una festa, ed è un bene seppellire tutto ciò che c’è di morto in noi, ma il vero piacere è festeggiare con chi amiamo, con chi ci piace davvero. E Marcello sul set amava portare a cena gli elettricisti, i macchinisti. Sbertucciava gli snob, i gazzettieri, i fini dicitori, metodo Stanislavskij. Mastroianni amava la vita e la vita amava Mastroianni. Tutto il resto non conta. Per Mastroianni, la qualità più importante per un attore di cinema era la pazienza. In fondo, si tratta solo di aspettare che qualcuno batta il ciak e voilà, le jeux sont faits. Perché per Marcello recitare è un gioco, d’altronde in francese si dice jouer e inglese to play. Tant’è che, al culmine del successo, snobba Hollywood e le sue vantaggiosissime e ben remunerate proposte di lavoro. Nessuna ha voglia di apprendere un'altra lingua o di volare nella patinata fabbrica dei sogni. Forse all’attore è bastata la storia d’amore con Faye Dunaway, la star premio Oscar che gli prepara le polpette ogni domenica e poi d’improvviso lo lascia. Per amore della burla si dice disposta a recitare in un western a stelle e strisce solo se può interpretare uno sceriffo sordomuto. E puntuale dagli Studios arriva lo script con protagonista un tutore dell’ordine con stella appuntata al petto e muto come Bernardo, il servo di Zorro. Ça va sans dire, il progetto finisce nel cestino tra i frizzi e i lazzi. Indolente, sornione, Mastroianni somiglia alla Roma descritta da Marcello Rubini in La Dolce Vita: “Una giungla, tiepida, tranquilla, dove ci si può nascondere bene.” Mastroianni ci tornava malvolentieri a Fontana Liri, il paese in provincia di Frosinone in cui è nato il 26 settembre del 1924 . Quel luogo, nel ricordo dell’attore, ha il sapore acre della povertà, della miseria, della disperazione, della dittatura fascista, degli orrori della guerra. Però, come tutti gli italiani, Marcello è “un figlio di mamma”. Adora la madre Ida Rolle. È memorabile una celebre intervista in cui comunicano alla genitrice che il figlio guadagna 220 milioni a film, e lei, serafica risponde: "Per me stava bene anche all’anagrafe". Ma per nostra fortuna e grazie a Luchino Visconti, Mastroianni ha fatto una scelta diversa. È proprio “il conte rosso” che lo vede recitare in teatro all’università e lo ingaggia nella sua prestigiosa compagnia. I testi di Tennessee Williams, di Shakespeare, di Cechov diventano il suo pane quotidiano. Come dichiara in svariate interviste, il teatro è il suo primo, grande amore. Certo poi arriverà il cinema, la schidionata di ruoli nella parte del “bell’ingenuo”, le esilaranti commedie firmate da Alessandro Blasetti a fianco di Sophia Loren, ossia Peccato che sia una canaglia e La fortuna di essere donna. Solo che Marcello è stanco di essere quello di una Domenica d’agosto di Luciano Emmer. La svolta si chiama La dolce Vita. Eppure, il produttore Dino De Laurentis voleva Paul Newman o Gerard Philippe, ma Fellini si impone. E all’inizio la motivazione può risultare non troppo lusingheria: "Marcello non ti ho scelto perché sei un bravo attore ma perché hai un volto anonimo". Non voglio una superstar, cerco una persona normale. Sicché con il viso reso emaciato dal trucco e le ciglia finte, Mastroianni affronta il ruolo che gli renderà la vita più dolce, ma pure più amara per certi versi. Marcello passerà gli anni successivi a sfuggire al ruolo del prestante latin lover, dell’impenitente maschio latino. Interpreta un impotente in Il bell’Antonio, un futuro cornuto in Divorzio all’italiana, un gay in Una giornata particolare. Anche nelle interviste sminuisce di continuo il suo fascino, la sua prestanza fisica. In questo senso è epocale il suo intervento al Dick Cavett Show nel 1977, quando di fronte a un’attonita Loren nega di essere una sex machine. Ma quello che resta è il suo saluto sulla spiaggia, in abito bianco stropicciato all’alba dopo una notte di deboscia. Il saluto malinconico e dolente al sorriso di Valeria Ciangottini. Un'immagine tra le più potenti della storia del cinema. Al pari del finale di Otto e mezzo, con quel girotondo collettivo sulle note della musica di Nino Rota introdotto da queste parole: "Ma che cos'è questo lampo di felicità che mi fa tremare e mi ridà forza, vita? Vi domando scusa dolcissime creature, non avevo capito, non sapevo... com'è giusto accettarvi, amarvi... e com'è semplice. Luisa, mi sento come liberato: tutto mi sembra buono, tutto ha un senso, tutto è vero. Ah, come vorrei sapermi spiegare... ma non so dire. Ecco, tutto ritorna come prima, tutto è di nuovo confuso, ma questa confusione sono io... io come sono, non come vorrei essere e non mi fa più paura". E non a caso, nell’ultimo periodo Mastroianni ha girato film in ogni parte del mondo, dalla Russia alla Grecia al Portogallo. Come il protagonista del racconto di Kafka, citato nello straordinario documentario Marcello Mastroianni, mi ricordo, sì mi ricordo, l’attore sognava di raggiungere il prossimo villaggio. E grazie al cinema lo ha raggiunto. Anzi, il suo viaggio continua all’infinito. Perché sono trascorsi 100 anni e Marcello è sempre qui tra noi, anzi, uno di noi. Solo infinitamente più bello, talentuoso, gentile e affascinante. Però, mi raccomando: non glielo dite.